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lunedì 3 febbraio 2014

Dipendente imputato in un processo penale: conseguenze sul rapporto di lavoro

Nella sentenza n.1923 del 6 novembre-29 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il comportamento dell’azienda che, venuta a conoscenza del coinvolgimento di un proprio dipendente in un processo penale, ne aveva disposto, dapprima, la sospensione cautelativa dal servizio, per poi, in seguito alla condanna del lavoratore, dare inizio all’iter disciplinare al termine del quale ne aveva disposto il licenziamento.  

Il caso in questione è quello che ha riguardato un lavoratore   condannato in primo grado alla pena di quattro anni e venti giorni di reclusione e che in Appello aveva patteggiato la pena di tre anni e dieci giorni di reclusione oltre una multa di 1.600,00 €.
Al termine del suddetto iter giudiziale  il lavoratore aveva presentato una richiesta di riammissione in servizio ma l'azienda aveva, invece, dato inizio  ad un procedimento disciplinare nei suoi confronti, al termine del quale lo aveva licenziato con preavviso di quattro mesi.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento, chiedendo al Giudice del lavoro di accertare l’illegittimità dell’atto di recesso.
Sia il Tribunale, che la Corte di Appello, avevano però respinto le pretese del ricorrente.

Investita della questione, anche la Cassazione ha confermato la correttezza del licenziamento.

La Suprema Corte, in particolare, ha richiamato quanto disposto dall’art.5 della legge n.97 del 27 marzo 2001 (1), ai sensi del quale la Pubblica Amministrazione datrice di lavoro può estinguere il rapporto di lavoro qualora sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna.
La richiamata normativa consente, infatti, all’azienda di iniziare il procedimento disciplinare per poi sospenderlo in attesa della sentenza che chiude il processo penale, oppure, dopo aver sospeso cautelativamente il lavoratore  in relazione al provvedimento di custodia cautelare, di aspettare l'esito del giudizio penale, e quindi una sentenza che accerti il fatto con la forza del giudicato, per iniziare il procedimento disciplinare.

Quest’ultima soluzione fornisce una maggiore garanzia del dipendente, che non può risolversi in una penalizzazione del comportamento prudente dell'azienda.

La Cassazione conclude affermando che l'attesa di una sentenza irrevocabile permette di basare l'avvio del procedimento disciplinare su una conoscenza del fatto in tutte le sue componenti, materiali e giuridiche, in quanto il "fatto" da considerare per valutarne le conseguenze sul piano disciplinare, è il fatto-reato, comprensivo di tutte le sue componenti, incluse quelle attinenti all'elemento psicologico. Tale fatto viene compiutamente accertato non con il provvedimento di custodia cautelare, ma con la sentenza che conclude il processo.

Valerio Pollastrini


(1)   - Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche;

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