Il caso in
commento è quello di un funzionario dell’Ufficio Imposte Dirette di Monza che
era stato definito “presuntuoso, arrogante e sleale” in un rapporto informativo
relativo al suo comportamento in servizio redatto dal proprio superiore.
Il
lavoratore si era rivolto al Giudice del lavoro chiedendo la condanna del
superiore e del Ministero dell’Economia per il contenuto ingiurioso della nota
informativa.
In
accoglimento della domanda del ricorrente, il Tribunale aveva condannato i
resistenti al pagamento di un risarcimento stimato in 1.550,00 €. Tale
decisione, confermata successivamente dalla Corte di Appello di Milano, era
stata impugnata dinnanzi alla Corte di Cassazione.
La
Cassazione ha ritenuto corretta la pronuncia della Corte di Appello che aveva
ritenuto ingiuriose e diffamatorie le espressioni utilizzate nel rapporto
informativo, finalizzate a porre in cattiva luce il lavoratore. Il giudizio di
merito aveva inoltre precisato come tali espressioni non fossero necessarie per
descrivere le eventuali carenze del ricorrente
e si erano dunque rivelate del tutto gratuite.
Quanto alla
sussistenza della diffamazione, la Suprema Corte ha ribadito che i giudizi
espressi dal superiore gerarchico difettavano del requisito della riservatezza,
dal momento che erano risultati posti a conoscenza di un numero indefinito di
persone.
Dopo la
declaratoria della sussistenza della diffamazione nei confronti del lavoratore,
la Cassazione ha concluso confermando l’entità della liquidazione del danno
stimata dalla Corte di merito, ritenuta correttamente commisurata all’entità e
alla gravità delle offese e alle sofferenze, nonché al turbamento d’animo,
procurati al dipendente.
Valerio
Pollastrini
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