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domenica 23 febbraio 2014

Licenziamento per sopragiunta inidoneità fisica del lavoratore

Nella sentenza n.3224/2014 la Corte di Cassazione ha chiarito che l’inidoneità fisica del lavoratore allo svolgimento delle abituali mansioni, ne legittima il licenziamento nel caso in cui l’azienda dimostri l’impossibilità di adibire lo stesso ad una diversa occupazione.

Nel caso di specie, in entrambe i gradi del giudizio di merito era stato respinto  il ricorso di un lavoratore che aveva contestato la  legittimità del licenziamento irrogatogli per sopraggiunta inidoneità fisica.

Il Tribunale aveva però condannato l’azienda a risarcire il danno biologico, stimato in 11.571,00 €, procurato al dipendente che, a causa delle mansioni assegnategli, aveva subito l’aggravamento di alcune patologie sofferte in seguito ad un infortunio occorsogli durante un precedente rapporto di lavoro con terzi.

Successivamente, la Corte di Appello aveva però escluso la responsabilità datoriale per l’aggravamento della salute del dipendente, ritenendola ascrivibile  allo svolgimento di attività extralavorativa non professionistica di allenatore sportivo di calcio.

Nel rivolgersi alla Cassazione, il lavoratore, a proposito della legittimità del licenziamento, aveva rilevato l’insufficiente motivazione della sentenza di merito a proposito dell’affermata impossibilità di repechage, vale a dire l’eventualità di adibizione dello stesso in altre mansioni compatibili con il proprio stato di salute.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha richiamato preliminarmente il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità (1)  in virtù del quale l’impossibilità di utilizzazione del lavoratore in mansioni equivalenti deve essere provata dal datore di lavoro quale presupposto per la legittimità del licenziamento disposto per inidoneità lavorativa.

La Cassazione ha poi ricordato che, in virtù della libera iniziativa economica dell’impresa, sancita dall’art.41 della Costituzione,  la valutazione  del Giudice circa la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento non può sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’azienda, ma deve incentrarsi sulla verifica dell’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale lo stesso ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente collocazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.

Per la Suprema Corte  una simile  prova non può però essere intesa in modo rigido, presupponendo una collaborazione del lavoratore per l’accertamento di un suo possibile repechage  attraverso l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali  poteva essere utilmente ricollocato. Solo in   presenza di tale allegazione il datore di lavoro avrà l’onere di provare la non utilizzabilità del dipendente nei posti predetti.

La Cassazione si è infine soffermata sulla richiesta di risarcimento del danno avanzata dal lavoratore, sostenendo che nessun addebito possa essere avanzato al datore di lavoro in merito all’aggravamento delle condizioni di salute del dipendente.

A questo proposito, gli ermellini hanno ribadito quanto correttamente affermato dalla Corte di Appello che aveva imputato il peggioramento dello stato di salute del lavoratore all’attività extralavorativa di allenatore di squadre di calcio di III categoria, che, incentrata sul continuo movimento delle gambe era stata ritenuta maggiormente usurante rispetto alle mansioni svolte in ambito lavorativo che richiedevano, invece, l’azionamento di una pedaliera con una resistenza ridotta.

Valerio Pollastrini


(1)   – Corte di Cassazione, Sentenza n. 6552 del 18/03/2009;

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