Nel caso di specie, il Tribunale, al
termine del primo grado di giudizio, aveva ritenuto che le note di qualifica (mediocre) attribuite dal
datore di lavoro ad una dipendente non costituissero mobbing e, pertanto, aveva
escluso il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno biologico e del
danno esistenziale.
La Corte di Appello, nel confermare la
sentenza di primo grado, aveva sottolineato l’assenza di un’adeguata
specificazione delle circostanze di luogo, di tempo e dei singoli soggetti che
avrebbero realizzato i singoli comportamenti denunziati.
In particolare, la lavoratrice non aveva
chiarito quale fosse stata la specifica discriminazione in suo danno, rispetto
ai colleghi di lavoro inseriti nelle medesime articolazioni organizzative e, comunque, doveva essere escluso ogni intento persecutorio,
dal momento che la ricorrente era stata trasferita e spostata dall'uno
all'altro dei settori o uffici, unitamente agli altri colleghi di lavoro, per
ragioni organizzative che erano risultate documentate.
La Corte di Appello aveva, altresì,
condiviso la valutazione di merito del Tribunale, in base alla quale i fatti
ascritti ad un unico intento persecutorio, non presentavano, valutati
singolarmente, il carattere della ritorsività ed ostilità.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso
della dipendente e, negando la
sussistenza del mobbing, in quanto non
puntualmente e specificamente dedotta, ha escluso il diritto della ricorrente al
risarcimento del danno.
Per la configurazione del reato di mobbing
è necessario, infatti, l’accertamento di
una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e
protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di
lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che
finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica,
da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del
dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso
della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della
condotta lesiva del datore di lavoro è necessario dunque che rilevino i
seguenti elementi:
a) la molteplicità dei comportamenti a
carattere persecutori o, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente,
che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato
contro il dipendente con intento vessatorio;
b) l'evento lesivo della salute o della
personalità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra la condotta del
datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità
psico-fisica del lavoratore;
d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè
dell'intento persecutorio.
Valerio Pollastrini
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