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venerdì 24 gennaio 2014

La valutazione “mediocre” del dipendente nelle note di qualifica del datore di lavoro non costituisce mobbing

Con la sentenza n. 898 del 17 gennaio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito che, in riferimento al regime precedente all'art. 4 D.lgs. n. 216/2003, per mobbing si deve intendere una condotta del datore di lavoro che, in violazione degli obblighi di protezione di cui all'art. 2087 c.c., consiste in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e di persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore.

Nel caso di specie, il Tribunale, al termine del primo grado di giudizio, aveva ritenuto che le  note di qualifica (mediocre) attribuite dal datore di lavoro ad una dipendente non costituissero mobbing e, pertanto, aveva escluso il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale.

La Corte di Appello, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva sottolineato l’assenza di un’adeguata specificazione delle circostanze di luogo, di tempo e dei singoli soggetti che avrebbero realizzato i singoli comportamenti denunziati.

In particolare, la lavoratrice non aveva chiarito quale fosse stata la specifica discriminazione in suo danno, rispetto ai colleghi di lavoro inseriti nelle medesime articolazioni organizzative e,  comunque,  doveva essere escluso ogni intento persecutorio, dal momento che la ricorrente era stata trasferita e spostata dall'uno all'altro dei settori o uffici, unitamente agli altri colleghi di lavoro, per ragioni organizzative che erano risultate documentate.

La Corte di Appello aveva, altresì, condiviso la valutazione di merito del Tribunale, in base alla quale i fatti ascritti ad un unico intento persecutorio, non presentavano, valutati singolarmente,   il carattere della ritorsività ed ostilità.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della dipendente  e, negando la sussistenza del  mobbing, in quanto non puntualmente e specificamente dedotta, ha escluso il diritto della ricorrente al risarcimento del danno.

Per la configurazione del reato di mobbing è necessario, infatti,  l’accertamento di una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro è necessario dunque che rilevino i seguenti elementi:

a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutori o, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore;

d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

 
Valerio Pollastrini

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