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martedì 3 dicembre 2013

Trasformazione dell’associazione in partecipazione in rapporto di lavoro subordinato


Nella sentenza n.26522 del 27 novembre 2013 la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della corretta qualificazione dei contratti di lavoro, tracciando i confini tra i due diversi istituti  dell’associazione in partecipazione e del rapporto di lavoro subordinato.

Il caso in questione è quello di un ristorante che, in seguito ad ispezione,  aveva visto disconosciuti  due rapporti di associazione in partecipazione, trasformati in altrettanti rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con relative sanzioni e richiesta degli arretrati relativi alle differenze contributive.

Contro la cartella esattoriale, emessa in favore dell’Inps per  un importo di circa 20.000,00 €, l’azienda si era rivolta al giudice del lavoro.

Dopo che il Tribunale, al termine del primo grado di giudizio, aveva accolto le richieste del datore di lavoro, la Corte di Appello aveva capovolto la situazione,  rigettando l’opposizione proposta dall’azienda avverso la cartella esattoriale.

La Corte Territoriale aveva ritenuto fondata da richiesta dell’Inps sulla base dei fatti emersi nel corso dell’istruttoria. In particolare, la compartecipazione prevista dai contratti stipulati dalla società appellata risultava calcolata solo sui ricavi lordi, al netto degli sconti praticati, e non sugli utili. I due lavoratori, inoltre, non avevano svolto alcuna partecipazione alla gestione dell’impresa e la loro attività si inseriva nell’ambito dell’organizzazione aziendale, dal momento che gli stessi ripetevano dal titolare dell’impresa i poteri di controllo e direzione del lavoro esercitati sugli altri addetti alla sala ristorante-pizzeria.

A questo punto l’azienda aveva ricorso per la cassazione della sentenza di merito.

La Suprema Corte, nel confermare quanto disposto dalla Corte territoriale, ha rilevato che i contratti di associazione in partecipazione erano stati giustamente qualificati come contratti di lavoro subordinato  poiché la partecipazione solo ai ricavi e non anche alle perdite rappresentava un chiaro indice di assenza del rischio economico.

A tale proposito la Corte di legittimità ha ricordato come, in ragione di un generale favor prestatoris, sancito dall’art. 35 della Costituzione, la prestazione lavorativa  inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza alcun controllo  nella gestione dell’azienda, configuri un rapporto di lavoro subordinato.

La Cassazione ha poi ribadito l’irrilevanza del nomen iuris che le parti hanno attribuito al contratto dinnanzi alle concrete modalità di esecuzione della prestazione. In sostanza, pur risultando il contratto di lavoro stipulato sotto la dizione “associazione in partecipazione”, ciò non impedisce una sua diversa  qualificazione, in quanto la pattuizione della partecipazione solo ai ricavi, l’esclusione di qualsiasi effettivo coinvolgimento nella gestione aziendale con un controllo limitato solo ai ricavi e l’inserimento nell’organizzazione aziendale rappresentano circostanze idonee alla trasformazione in contratto di lavoro subordinato. 

Da ultimo la Cassazione ha escluso ogni fondamento ai rilievi posti dal ricorrente, in base ai  quali, avendo i due lavoratori dichiarato che il loro contratto fosse di associazione in partecipazione, sarebbe stato l’Inps a dover dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. L’istruttoria aveva infatti evidenziato la presenza dei tratti tipici di un rapporto di lavoro subordinato, escludendo, pertanto, la configurabilità dell’associazione in partecipazione.

Valerio Pollastrini

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