La malattia costituisce un’ipotesi legale
di sospensione del rapporto di lavoro subordinato causata dall’impossibilità
sopravvenuta della prestazione da parte del dipendente.
L’insorgenza della malattia determina una
serie di precise conseguenze sia nei confronti dell’azienda che del lavoratore.
Se, ad esempio, il datore di lavoro ha l’obbligo
di corrispondere ugualmente la retribuzione, oltre a garantire la sussistenza
del rapporto entro determinati limiti temporali,
il lavoratore deve, invece, attuare dei
comportamenti che non pregiudichino o ritardino la guarigione e deve inoltre consentire (ai medici inviati direttamente dall’Inps o su
richiesta dell’azienda) il controllo dello stato di malattia rendendosi
reperibile presso il domicilio abituale o quello eletto per il periodo della
malattia, comprese le domeniche e i giorni festivi, nelle seguenti fasce
orarie: dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19.
Il mancato rispetto dell’obbligo di
reperibilità comporta diverse conseguenze a carico del lavoratore, sia di
natura contrattuale che strettamente economiche.
Sussistono però alcune condizioni
particolari che possono giustificare l’assenza del lavoratore dal proprio
domicilio negli orari preposti al controllo medico.
In particolare, l’Inps, nella circolare
n.183 dell’8 agosto 1984, ha elencato le
seguenti ipotesi configuranti un
giustificato motivo di assenza:
-
forza
maggiore;
-
situazioni
che abbiano reso imprescindibile e indifferibile la presenza personale del
lavoratore altrove;
-
concomitanza
di visite, prestazioni e accertamenti specialistici, quando si dimostri che le
stesse non potevano essere effettuate in ore diverse da quelle corrispondenti
alle fasce orarie di reperibilità.
Per quanto riguarda la seconda fattispecie
indicata dall’Inps, la Corte di
Cassazione, nella sentenza n.21621/2010, ha chiarito che può costituire una
giustificata causa di esonero dall’obbligo di reperibilità ogni serio e fondato
motivo che possa rendere plausibile l’allontanamento del lavoratore dal proprio
domicilio, non essendo necessaria, a differenza di quanto asserito nella circolare previdenziale, l’assoluta
indifferibilità della presenza del lavoratore altrove.
La pronuncia della Suprema Corte ha preso
lo spunto dal licenziamento in tronco irrogato ad una dipendente in malattia
per una sindrome ansioso depressiva che
in occasione del primo controllo del medico fiscale non era stata trovata in casa
e che, nel persistere del lamentato stato morboso, era stata vista in spiaggia per qualche ora.
Sia il Tribunale di Taranto che la Corte di Appello
avevano ritenuto illegittimo il recesso in quanto la sanzione espulsiva applicata
dall’azienda, in entrambi i giudizi di merito, era stata ritenuta
sproporzionata rispetto alla gravità della condotta contestata alla lavoratrice.
In favore della dipendente i giudici ne avevano dunque disposto la
reintegrazione nel posto di lavoro.
L'azienda aveva quindi ricorso per la cassazione della sentenza di
merito, sostenendo che in realtà la lavoratrice, assente nel proprio domicilio
durante la visita di controllo, non aveva provato che la visita specialistica a
cui si era sottoposta in concomitanza con le fasce orarie di reperibilità non fosse
indifferibile.
Nel respingere il ricorso del datore di
lavoro, la Corte di Cassazione ha dapprima affermato, in via generale, che per
giustificare il mancato rispetto dell'obbligo di reperibilità in determinati
orari non è richiesta l'assoluta indifferibilità della prestazione sanitaria da
effettuare, ma è sufficiente un serio e fondato motivo che giustifichi
l'allontanamento dal proprio domicilio.
Quanto al caso di specie, la Suprema
Corte, in relazione alla breve esposizione al sole da parte della lavoratrice,
ha ritenuto che tale condotta non poteva pregiudicarne o ritardarne la guarigione e, pertanto, doveva ritenersi
legittima.
A rafforzare l’illegittimità del recesso
la Cassazione ha infine osservato che a carico della lavoratrice, nell'intero
arco di 17 anni di carriera lavorativa alle dipendenze della società, non sussistevano
altri precedenti addebiti di natura disciplinare.
Valerio Pollastrini
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