Risulta ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza di
legittimità che esclude ogni riconducibilità alla normale dinamica dei rapporti
di lavoro all'attività minatoria, in danno di lavoratori dipendenti, che
approfitti delle difficoltà economiche o della situazione precaria del mercato
del lavoro per ottenere il loro consenso a subire condizioni di lavoro
deteriori rispetto a quelle previste dall'ordinamento giuridico.
Conforme a questo orientamento si segnala la sentenza n.32525 del
31 agosto 2010 con la quale la Corte di Cassazione ha sancito la sussistenza
del reato di estorsione a carico dell’imprenditore che minacci di licenziare i
dipendenti che si rifiutino di accettare un compenso inferiore rispetto a
quello indicato in busta paga.
La minaccia, infatti, quale elemento costitutivo del reato di
estorsione, non deve necessariamente essere ricondotta alla prospettazione di
un male irreparabile alle persone o alle cose tale da impedire alla persona
offesa di operare una libera scelta A detta della Suprema Corte il reato può
dirsi, altresì, configurato anche quando, in relazione alle circostanze concrete
nelle quali l’intimidazione viene posta in essere, questa sia comunque idonea a
far sorgere il timore di subire un concreto pregiudizio.
Valerio Pollastrini
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