L’articolo 1 della legge
n.7 del 1963 sancisce la nullità di ogni clausola contrattuale che preveda la risoluzione del
rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio. Del
pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
La norma dispone,
inoltre, la presunzione che il licenziamento irrogato alla lavoratrice nel
periodo intercorrente dal giorno
della richiesta delle
pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione stessa,
sia disposto per causa di matrimonio e pertanto deve considerarsi nullo.
Nella
sentenza n.27055 del 2 dicembre 2013 la Corte di Cassazione ha chiarito che il
divieto di licenziamento nei confronti delle lavoratrici sposate fino all’anno successivo
alle nozze sussiste anche nel caso di esternalizzazione da parte del datore di
lavoro dei servizi nei quali la lavoratrice appena sposata risulta occupata.
Il
caso di specie è quello di un'azienda che riteneva legittimo il licenziamento
di una lavoratrice addetta al centralino, irrogato durante il primo anno del
suo matrimonio, in quanto, a causa di una ristrutturazione organizzativa con
relativo ridimensionamento dell'organico, il servizio di centralino era stato
appaltato ad una ditta esterna e dunque lo specifico posto di lavoro non esisteva più.
Al
riguardo la Suprema Corte ha posto l’accento sulla perentorietà del termine
utilizzato nella norma di riferimento, in virtù del quale ogni recesso intimato nell’arco
temporale indicato deve ritenersi nullo.
La
Cassazione ha escluso quindi ogni diversa interpretazione poiché, oltre a
contrastare la formulazione letterale della norma, agevolerebbe inevitabili
abusi nei confronti dei soggetti che l’ordinamento ha inteso tutelare.
La
Corte, dopo aver equiparato la norma in commento con le disposizioni poste a
tutela delle lavoratrici madri, ha chiarito che si tratta di provvedimenti legislativi
che, nel loro insieme, tendono a rafforzare la tutela della lavoratrice in
momenti di passaggio esistenziale particolarmente importanti e da salvaguardare
attraverso una più rigorosa disciplina limitativa dei licenziamenti.
Un
simile insieme di leggi ha lo scopo di sgravare la lavoratrice dall'onere della
prova di una discriminazione, addossando al datore di lavoro l'onere di
allegare e documentare l'esistenza di una legittima causa di scioglimento del
rapporto.
Con
questo verdetto la Cassazione, nel respingere
il ricorso dell'azienda, con conseguente dichiarazione di illegittimità
del recesso, ha ricordato che la deroga al divieto di licenziare una lavoratrice
nel corso del primo anno di matrimonio è ammessa solo in caso di cessazione
dell'attività dell'azienda.
Valerio
Pollastrini
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