In
materia di sicurezza sul lavoro, la Corte di Cassazione, nella sentenza n.27127
del 4 dicembre 2013, ha ricordato che, in caso di violazione delle
norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, il datore di lavoro
può essere esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del
dipendente presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza
rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Ne consegue
che, una volta esclusa tale condotta, l’imprenditore non può invocare il
concorso di colpa del danneggiato, dovendo egli
proteggere l’incolumità del lavoratore, nonostante la sua eventuale
imprudenza e negligenza.
La sentenza in commento prende lo spunto dall’infortunio
occorso ad un lavoratore che, durante la sostituzione della lampada di
emergenza di un mezzo compattatore, avvalendosi di una scala normale, priva di
dispositivi antiscivolo e, pertanto, inidonea all’uso, era caduto dall’altezza
di circa 3,5 metri riportando gravi lesioni.
Sia il giudice di primo grado che la Corte di Appello
di L’Aquila avevano condannato l’azienda al pagamento, in favore del
lavoratore, della somma di 33.168,80 €,
oltre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno biologico e morale,
nonché al pagamento della somma di 2.582,20 €, con aggiunta degli interessi
legali.
La Corte territoriale, pur ritenendo il datore di lavoro responsabile dell’infortunio, nella quantificazione delle varie somme risarcitorie aveva attribuito al lavoratore un concorso di colpa in quanto, operaio esperto, avrebbe dovuto usare una scala più sicura presente nel magazzino.
Il lavoratore aveva proposto ricorso per la cassazione della pronuncia di Appello, lamentando che la Corte di merito non avrebbe considerato che, dal verbale ispettivo redatto dai funzionari dell’ASL di L’Aquila, risultava che l’azienda aveva mantenuto in esercizio una scala metallica a forbice - dalla quale era caduto - priva dei necessari requisiti di idoneità per la sicurezza del lavoro, ed in particolare del dispositivo antisdrucciolevole all’estremità, ed aveva consentito che si effettuassero lavori di manutenzione e riparazione di automezzi compattatori ad un altezza di circa 3-4 metri senza che sui lati aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone.
Per il ricorrente, il giudice di Appello non avrebbe tenuto conto che in forza dell’art.4 del D.P.R. n. 547/55 il datore di lavoro avrebbe dovuto rendere edotto il lavoratore sul rischio specifico cui era esposto nell'eseguire quella pericolosa operazione, fornire al medesimo i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, controllare le situazioni di pericolo e che venissero osservate dallo stesso lavoratore le disposizioni in materia di sicurezza.
Per tali ragioni doveva pertanto escludersi l’ipotesi del concorso di colpa del lavoratore nel verificarsi dell’infortunio, essendo pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del dipendente, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo il dovere di proteggere l'incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza.
In sostanza, secondo la tesi del ricorrente, il datore di lavoro è interamente responsabile dell’infortunio non solo quando ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del lavoratore.
La Corte territoriale, pur ritenendo il datore di lavoro responsabile dell’infortunio, nella quantificazione delle varie somme risarcitorie aveva attribuito al lavoratore un concorso di colpa in quanto, operaio esperto, avrebbe dovuto usare una scala più sicura presente nel magazzino.
Il lavoratore aveva proposto ricorso per la cassazione della pronuncia di Appello, lamentando che la Corte di merito non avrebbe considerato che, dal verbale ispettivo redatto dai funzionari dell’ASL di L’Aquila, risultava che l’azienda aveva mantenuto in esercizio una scala metallica a forbice - dalla quale era caduto - priva dei necessari requisiti di idoneità per la sicurezza del lavoro, ed in particolare del dispositivo antisdrucciolevole all’estremità, ed aveva consentito che si effettuassero lavori di manutenzione e riparazione di automezzi compattatori ad un altezza di circa 3-4 metri senza che sui lati aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone.
Per il ricorrente, il giudice di Appello non avrebbe tenuto conto che in forza dell’art.4 del D.P.R. n. 547/55 il datore di lavoro avrebbe dovuto rendere edotto il lavoratore sul rischio specifico cui era esposto nell'eseguire quella pericolosa operazione, fornire al medesimo i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, controllare le situazioni di pericolo e che venissero osservate dallo stesso lavoratore le disposizioni in materia di sicurezza.
Per tali ragioni doveva pertanto escludersi l’ipotesi del concorso di colpa del lavoratore nel verificarsi dell’infortunio, essendo pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del dipendente, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo il dovere di proteggere l'incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza.
In sostanza, secondo la tesi del ricorrente, il datore di lavoro è interamente responsabile dell’infortunio non solo quando ometta di adottare idonee misure protettive, ma anche quando ometta di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente uso da parte del lavoratore.
La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso del
lavoratore, ha richiamato preliminarmente la costante giurisprudenza di
legittimità (1) in base alla quale le norme dettate
in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire
l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore
non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli
ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue
che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al
lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia
quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso
da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per
l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione
delle relative prescrizioni, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore;
con l'ulteriore conseguenza che l'imprenditore è esonerato da responsabilità
solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri
dell’abnormità, inopinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo
ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da
porsi come causa esclusiva dell'evento.
La Cassazione ha ricordato, inoltre, come in altre
circostanze (2) è stato affermato che il datore di
lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica
del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia
conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli
il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo nonostante la sua
imprudenza o negligenza; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui la
condotta del lavoratore dipendente finisca per configurarsi nell’eziologia
dell'evento dannoso come una mera modalità dell'iter produttivo del danno, tale
condotta, proprio perché "imposta" in ragione della situazione di
subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro,
il cui comportamento, concretizzantesi invece nella violazione di specifiche
norme antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell’ordine di
eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore
causale dell’evento dannoso.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rilevato che il giudice di Appello aveva accertato che il lavoratore era stato adibito ad una operazione pericolosa con una scala inidonea all’uso, senza che sui lati aperti verso il vuoto fossero installati parapetti normali con arresto al piede o mezzi di protezione equivalenti, idonei ad impedire la caduta di persone e, per di più, senza che sull’esecuzione di tale prestazione vi fosse alcuna vigilanza ed aveva poi escluso che il lavoratore avesse posto in essere una condotta abnorme, atipica ed eccezionale.
Tuttavia, a fronte di tali accertamenti, la Corte di merito non si era attenuta ai principi giurisprudenziali sopra indicati, ritenendo, erroneamente, che l’infortunio fosse stato determinato con il concorso di colpa del lavoratore.
Per tali ragioni la sentenza impugnata è stata cassata, con conseguente rinvio alla Corte di Appello di Roma che è stata chiamata a decidere anche a proposito delle spese del processo di legittimità.
Valerio Pollastrini
(2) - Cass. 8 aprile 2002 n. 5024, Cass.
3213/04; Cass. 1994/12;
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