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venerdì 29 novembre 2013

Licenziamento disciplinare per attività extralavorativa svolta durante l’assenza per malattia


Nella sentenza n.26290 del 25 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha confermato la sussistenza della giusta causa di licenziamento del dipendente che, assente per malattia, svolga attività extralavorativa che possa pregiudicarne la  pronta guarigione.

Il caso in commento è quello di un lavoratore che, sulla base delle riprese video effettuate da una agenzia investigativa privata, era stato licenziato per aver svolto, in concomitanza con l’assenza per malattia, altra attività lavorativa all’esterno della pizzeria nella quale lavorava la moglie.

Il dipendente aveva contestato la legittimità del  recesso in sede giudiziale, chiedendo la condanna della società alla reintegra  nel posto di lavoro ed al pagamento della conseguente indennità risarcitoria del danno.

Dopo il rigetto della domanda da parte del Tribunale di Verona, anche la Corte di Appello di Venezia aveva confermato la sussistenza della giusta causa di licenziamento.

Il lavoratore aveva quindi proposto ricorso per la cassazione del giudizio di merito, lamentando  che la Corte territoriale avrebbe omesso di attribuire la giusta rilevanza al fatto che l’attività svolta nel periodo di malattia non fosse a favore di terzi, in quanto limitata a fornire un aiuto alla moglie in compiti come versare la spazzatura nei cassonetti o raccogliere i mozziconi di sigaretta dal piazzale esterno con la scopa e la paletta che, a suo dire, non potevano considerarsi come  “attività lavorativa”.

Il ricorrente si doleva, inoltre, del giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte di merito, evidenziando che il fatto contestato non fosse tanto grave da giustificare la massima sanzione espulsiva, risultando  ascrivibile, semmai,  ad una mera impudenza.

La Cassazione ha ritenuto infondati tali motivi di ricorso.

La Corte di legittimità ha ricordato, innanzitutto,  che il lavoratore al quale sia contestato in sede disciplinare di avere svolto un altro lavoro durante un’assenza per malattia ha l’onere di dimostrare la compatibilità di tale attività con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa contrattuale e la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, restando peraltro le relative valutazioni riservate al giudice del merito all’esito di un accertamento da svolgersi non in astratto ma in concreto (1).

La Suprema Corte ha inoltre osservato che non può ritenersi estraneo al giudizio, vertente sul corretto adempimento dei doveri di buona fede e correttezza gravanti sul lavoratore, un comportamento che, inerente ad attività extralavorativa, denoti l’inosservanza di doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa (2).

Nel caso di specie, il ricorrente aveva incentrato le proprie doglianze sulla scarsa rilevanza dei compiti svolti presso la pizzeria, a suo dire non riconducibile ad una vera e propria “attività lavorativa”, mentre il nucleo centrale della decisione impugnata era costituito dalla probabilità che l’impegno fisico assunto dal lavoratore, interessante particolarmente gli arti superiori, potesse avere  un’incidenza peggiorativa sulla malattia (trauma distensivo della spalla destra) per la quale egli si era assentato dal lavoro.

Sul punto, infatti, la Corte territoriale aveva significativamente evidenziato che lo svolgimento delle attività suddette era avvenuto nei giorni 29 aprile, 1, 18, 20 e 21 maggio del 2006, durante i quali il ricorrente era risultato assente dal lavoro per malattia ed infortunio e che tale assenza si era protratta fino al 31 maggio per il permanere del dolore alla spalla infortunata.

La Cassazione ha confermato, in sostanza, quanto già affermato da tempo a proposito del fatto che anche il mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore può configurare un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all’interesse del datore di lavoro, risultando violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell’infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante, incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente (3).

Tale principio rende senza dubbio corretto il giudizio della Corte territoriale, anche in considerazione del prolungamento dell’assenza oltre la iniziale prognosi della certificazione medica.

In conclusione, nel comportamento del lavoratore, il quale avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi condotta che potesse pregiudicare le sue prospettive di guarigione, era effettivamente ravvisabile un colpevole inadempimento, di gravità tale da inficiare radicalmente il rapporto fiduciario, e, pertanto, il giudice del merito, ai fini della valutazione di proporzionalità, ha esattamente tenuto conto della “prova positiva” della incompatibilità tra l’attività svolta e la malattia derivante dall’infortunio.

Per tali motivazioni la Cassazione ha respinto il ricorso e, in ragione della soccombenza, ha condannato il lavoratore al pagamento delle spese in favore dell’azienda, liquidate in  50,00 € per esborsi e 3.500,00 € per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini

 
(1)   - Cass. 19 dicembre 2000, n. 15916 ed in senso conforme Cass. 13 aprile 1999, n. 3647;

(2)   - ctr. Cass. 21 aprile 2009, n. 9474, con cui è stata cassata la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto non contrastante con i doveri del dipendente nel periodo malattia la condotta di un lavoratore che, pendente un ciclo riabilitativo per l’insorgenza di coxoartrosi, guidava una moto di grossa cilindrata, prendeva bagni di mare e prestava attività di direttore sanitario presso altro presidio sanitario;

(3)   - cfr. in tal senso Cass. 19 dicembre 2006, n. 27104;

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