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martedì 12 novembre 2013

Legittimo il licenziamento dell’insegnante per le critiche mosse alla conduzione e gestione dell’Istituto scolastico


Nella sentenza n.24989 del 6 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento irrogato ad un’insegnante per aver criticato pesantemente l’Istituto scolastico di appartenenza, ledendo così la reputazione del datore di lavoro.

Il fatto
Il fatto oggetto della pronuncia in commento è quello che ha riguardato un’insegnante di scuola materna occupata presso un’ Istituto educativo  di San Severo (Fg) che, in presenza di terzi, aveva mosso una serie di critiche  alla gestione dell’Istituto e al grado di preparazione degli altri insegnanti, consigliando ad  alcuni genitori di iscrivere altrove i figli.

Al termine dell’iter procedurale previsto per le contestazioni disciplinari, la lavoratrice era stata licenziata.

Il Tribunale di Foggia, nel primo grado di giudizio, aveva ritenuto illegittimo il recesso per mancata affissione del codice disciplinare, con le conseguenze risarcitorie e ripristinatorie previste dalla legge.

La Corte di Appello di Bari aveva successivamente accolto il ricorso dell’Istituto educativo e, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittimo il recesso.

La Corte territoriale aveva deciso per la validità il licenziamento in quanto irrogato per la violazione di doveri elementari del lavoratore. Circostanze che rendevano, pertanto, irrilevante la mancata affissione del codice disciplinare.

La contestazione  che aveva preceduto l’atto di recesso, a detta del giudice di Appello, doveva ritenersi specifica perché i fatti erano stati chiaramente indicati, consentendo alla lavoratrice di esercitare adeguatamente le proprie difese, nonostante nella lettera non fossero state indicate  la data e le singole conversazioni nelle quali sarebbero state mosse le critiche alla gestione dell’Istituto e alla preparazione professionale dei suoi insegnanti.

L’esame dei testi , infine, aveva confermato la veridicità dei fatti imputati alla dipendente nel pieno della loro gravità, risultando idonei a provocare gravi danni al datore di lavoro.

La pronuncia della Cassazione
In seguito alla pronuncia di Appello, la lavoratrice aveva  ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado,  sostenendo che   le frasi ad essa attribuite non erano dirette a ledere la reputazione del datore di lavoro e non violavano l’obbligo di fedeltà verso l’Istituto scolastico, rappresentando, in realtà, solamente lo sfogo di una lavoratrice con un genitore circa l’inadeguatezza dell’Istituto ed una legittima critica sulla gestione datoriale.

In base alla tesi della ricorrente, le mancanze contestatele non erano connaturate da una gravità così elevata da rendere superflua, per la validità del recesso,  l’affissione del codice disciplinare.

Le motivazioni addotte dalla lavoratrice sono state ritenute infondate dalla Cassazione, che ha ricordato come dalla contestazione disciplinare, risultata corretta dalle prove espletate, emergeva che l’insegnante, parlando con alcuni genitori, aveva affermato che l’Istituto presso il quale lavorava era notevolmente inadeguato e che le insegnanti erano didatticamente impreparate sotto ogni profilo, suggerendo anche di iscrivere gli alunni altrove. Al cospetto di terzi, la lavoratrice aveva inoltre sostenuto che il Commissario straordinario dell’Istituto non era in grado di gestire alcunché e che, con una telefonata a persone chi di dovere, lo si sarebbe potuto mettere a tacere.

Per la Suprema Corte  si tratta di comportamenti gravemente lesivi del decoro nonché della reputazione dell’Istituto scolastico e del suo Commissario straordinario che ne aveva la gestione, e la Corte territoriale li aveva  correttamente qualificati come integranti una violazione dei doveri fondamentali di fedeltà e correttezza, che,  per la loro offensività e per i termini utilizzati, in alcun modo potevano essere ricondotti ad una legittima critica all’operato del datore di lavoro, tanto da culminare nel suggerimento ad alcuni genitori di iscrivere altrove i loro figli, con potenziale gravissimo pregiudizio per l’Istituto scolastico.
La Cassazione ha concluso affermando che  inadempienze così plateali, gravi e  radicalmente lesive del rapporto fiduciario tra le parti non necessitavano di alcuna pubblicità del codice disciplinare, essendo intuitivo per il lavoratore il dovere, derivante direttamente dalla legge, di evitare simili comportamenti.

Per i motivi sopra indicati la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice e, nel  confermare la legittimità del licenziamento, ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 2.550 € per compensi oltre accessori.  

Valerio Pollastrini

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