Nella sentenza n.25069 del 7 novembre
2013 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso dell’impiegato di un’azienda
farmaceutica licenziato per aver giocato con il pc sul luogo di lavoro per un
periodo di tempo quantificato tra le 260 e le 300 ore in un anno.
Nel corso del giudizio di appello, la
Corte di Roma aveva dichiarato nullo il licenziamento, sostenendo che la
contestazione disciplinare fosse generica, in quanto riferita esclusivamente ad
un singolo episodio, circostanza che avrebbe impedito al lavoratore di
esercitare una puntuale difesa.
La Suprema Corte, ribaltando il giudizio
della Corte territoriale, ha invece confermato la legittimità del recesso,
sottolineando che, di fronte ad una simile condotta, l’azienda non avesse
nemmeno l’obbligo di contestare al lavoratore le singole partite giocate.
Per la Suprema Corte, in questo caso, l’addebito
mosso dal datore di lavoro non può essere ritenuto generico per la semplice mancata
indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore.
La Cassazione, in particolare, ha
censurato la motivazione della sentenza di appello, ritenuta illogica, dal
momento che il lavoratore
avrebbe potuto approntare adeguatamente la propria difesa anche con la generica
contestazione di utilizzare in continuazione, e non in episodi specifici
isolati, il computer aziendale.
Gli ermellini hanno quindi concluso
rinviando la causa alla Corte d’Appello
di Roma che, in diversa composizione, dovrà decidere anche in merito al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Valerio Pollastrini
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