Nella sentenza n.24180 del 25 ottobre 2013 la Corte di
Cassazione ha confermato l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di risarcire
il danno subito dal lavoratore per la mancata fruizione dei riposi settimanali.
Un dipendente del comune di Torino, in servizio nel
Corpo di Polizia municipale, che una settimana ogni cinque, era stato costretto
a lavorare per sette giorni consecutivi, aveva chiesto al giudice del lavoro il
riconoscimento, nei limiti della prescrizione decennale, del risarcimento del
danno da usura psico-fisica per il lavoro prestato il settimo giorno.
Il Tribunale aveva
accolto il ricorso del lavoratore ed aveva condannato l’Ente comunale a
pagare la somma di 9.363,90 euro, oltre
rivalutazione ed interessi.
In seguito, anche la Corte di Appello aveva sostenuto
le ragioni del lavoratore, rigettando il ricorso del datore di lavoro.
Il Comune aveva quindi agito per la cassazione della sentenza di appello,
denunciando la violazione degli artt. 15 e 17 della Direttiva 93/104/CE che
espressamente prevede “la deroga al
principio del riposo settimanale, in via legislativa, regolamentare,
amministrativa o contrattuale” tra l’altro “per l’attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate
dalla necessità di assicurare la protezione di beni e delle persone”.
Il ricorrente aveva sottolineato che la turnazione
adottata rispettava quanto disposto nell’accordo
sindacale del luglio 1986, nel quale erano state predeterminate le tabelle di
turnazione. A detta del Comune di Torino
la Corte d’appello non avrebbe accertato la sussistenza nell’ordinamento
interno di disposizioni derogatorie alla disciplina ordinaria.
Per la Cassazione tale motivazione, oltre che generica, è distonica rispetto alla
motivazione specifica enunciata sul punto della Corte d’appello. Il giudice di
merito aveva infatti motivato il suo rigetto proprio in relazione alle
caratteristiche della direttiva 93/104/CE ed in particolare sulla sua
inidoneità a regolare direttamente i rapporti tra privati e ad essere
direttamente applicabile nell’ordinamento interno, dato che lascia ampi spazi
di discrezionalità agli Stati membri specificamente con riferimento alla
possibilità di introdurre deroghe. Si tratta di una motivazione che non può essere
censurata dalla Cassazione.
La Suprema Corte ha chiarito che la censura centrale
di questo motivo del ricorso ritiene che la Corte avrebbe omesso di verificare
la presenza nell’ordinamento interno di disposizioni che legittimano le deroghe
di specificità. L’unico richiamo è stato quello relativo all’accordo sindacale
del luglio 1986, ma tale accordo non prevede una deroga al principio
legislativo, bensì contiene una regolazione dei turni che prescinde da tale
principio.
Il ricorrente aveva denunziato la violazione di una
serie di norme che prevedono una compensazione per il disagio: in particolare
l’art. 22 del ccnl comparto regioni enti locali del 14 settembre 2000, che
ricalca la previsione dell’art. 13 del dpr 268 del 1987.
La Corte ha però chiarito che la normativa richiamata
retribuisce la maggiore penosità del lavoro prestato in una giornata festiva,
in qualunque giorno del turno essa venga a cadere e non compensa affatto
l’usura psico-fisica per l’attività lavorativa prestata nel settimo giorno,
così come gli altri benefici contrattuali riconosciuti ai Vigili urbani sono
destinati a compensare altri disagi connessi alla particolare prestazione
lavorativa e non già il danno derivante dalla mancata concessione del riposo
settimanale.
La Cassazione ha inoltre precisato come la Corte di
Appello si fosse correttamente attenuta alla consolidata giurisprudenza di
legittimità (1) che, in relazione al lavoro
prestato oltre il sesto giorno consecutivo, ritiene debba essere tenuto
distinto il danno da “usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizione
del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno
biologico, che si concretizza, invece, in una “infermità” del lavoratore
determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una
continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali.
Nella prima ipotesi, il danno “sull’an” deve ritenersi
presunto; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico,
concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto
presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza
e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita
nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale.
La Corte ha quindi richiamato altre sentenze di
legittimità (2) che hanno affrontato situazioni
inerenti al lavoro oltre il settimo giorno in presenza di specifiche previsioni
contrattuali giudicate legittime, nelle quali si è proceduto ad un mera maggiorazione del
compenso commisurata alla maggiore pesantezza della prestazione. In tali casi
il trattamento economico non ha natura risarcitoria, ma retributiva con le
relative ulteriori conseguenze.
Alla luce delle richiamate argomentazioni la Corte di
Cassazione ha respinto il ricorso del Comune di Torino, disponendo a carico di
quest’ultimo il pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
3.000,00 euro per compensi professionali, 50,00 euro per spese processuali,
oltre accessori di legge.
Valerio Pollastrini
(1) - cfr. Sez. L, n. 16398 del 20/08/2004;
(2) - cfr. Cass. n. 861 del 2005;
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