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lunedì 4 novembre 2013

In mancanza del riposo settimanale il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno


Nella sentenza n.24180 del 25 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha confermato l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di risarcire il danno subito dal lavoratore per la mancata fruizione dei riposi settimanali.

Un dipendente del comune di Torino, in servizio nel Corpo di Polizia municipale, che una settimana ogni cinque, era stato costretto a lavorare per sette giorni consecutivi, aveva chiesto al giudice del lavoro il riconoscimento, nei limiti della prescrizione decennale, del risarcimento del danno da usura psico-fisica per il lavoro prestato il settimo giorno.

Il Tribunale aveva  accolto il ricorso del lavoratore ed aveva condannato l’Ente comunale a pagare  la somma di 9.363,90 euro, oltre rivalutazione ed interessi.

In seguito, anche la Corte di Appello aveva sostenuto le ragioni del lavoratore, rigettando il ricorso del datore di lavoro.

Il Comune aveva quindi agito  per la cassazione della sentenza di appello, denunciando la violazione degli artt. 15 e 17 della Direttiva 93/104/CE che espressamente prevede “la deroga al principio del riposo settimanale, in via legislativa, regolamentare, amministrativa o contrattuale” tra l’altro “per l’attività di guardia, sorveglianza e permanenza caratterizzate dalla necessità di assicurare la protezione di beni e delle persone”.

Il ricorrente aveva sottolineato che la turnazione adottata rispettava quanto disposto  nell’accordo sindacale del luglio 1986, nel quale erano state predeterminate le tabelle di turnazione. A detta del Comune di Torino  la Corte d’appello non avrebbe accertato la sussistenza nell’ordinamento interno di disposizioni derogatorie alla disciplina ordinaria.

Per la Cassazione tale motivazione, oltre che  generica, è distonica rispetto alla motivazione specifica enunciata sul punto della Corte d’appello. Il giudice di merito aveva infatti motivato il suo rigetto proprio in relazione alle caratteristiche della direttiva 93/104/CE ed in particolare sulla sua inidoneità a regolare direttamente i rapporti tra privati e ad essere direttamente applicabile nell’ordinamento interno, dato che lascia ampi spazi di discrezionalità agli Stati membri specificamente con riferimento alla possibilità di introdurre deroghe. Si tratta di una motivazione che non può essere censurata dalla Cassazione.

La Suprema Corte ha chiarito che la censura centrale di questo motivo del ricorso ritiene che la Corte avrebbe omesso di verificare la presenza nell’ordinamento interno di disposizioni che legittimano le deroghe di specificità. L’unico richiamo è stato quello relativo all’accordo sindacale del luglio 1986, ma tale accordo non prevede una deroga al principio legislativo, bensì contiene una regolazione dei turni che prescinde da tale principio.

Il ricorrente aveva denunziato la violazione di una serie di norme che prevedono una compensazione per il disagio: in particolare l’art. 22 del ccnl comparto regioni enti locali del 14 settembre 2000, che ricalca la previsione dell’art. 13 del dpr 268 del 1987.

La Corte ha però chiarito che la normativa richiamata retribuisce la maggiore penosità del lavoro prestato in una giornata festiva, in qualunque giorno del turno essa venga a cadere e non compensa affatto l’usura psico-fisica per l’attività lavorativa prestata nel settimo giorno, così come gli altri benefici contrattuali riconosciuti ai Vigili urbani sono destinati a compensare altri disagi connessi alla particolare prestazione lavorativa e non già il danno derivante dalla mancata concessione del riposo settimanale.

La Cassazione ha inoltre precisato come la Corte di Appello si fosse correttamente attenuta alla consolidata giurisprudenza di legittimità (1) che, in relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, ritiene debba essere tenuto distinto il danno da “usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una “infermità” del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali.

Nella prima ipotesi, il danno “sull’an” deve ritenersi presunto; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale.

La Corte ha quindi richiamato altre sentenze di legittimità (2) che hanno affrontato situazioni inerenti al lavoro oltre il settimo giorno in presenza di specifiche previsioni contrattuali giudicate legittime, nelle quali si è  proceduto ad un mera maggiorazione del compenso commisurata alla maggiore pesantezza della prestazione. In tali casi il trattamento economico non ha natura risarcitoria, ma retributiva con le relative ulteriori conseguenze.

Alla luce delle richiamate argomentazioni la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del Comune di Torino, disponendo a carico di quest’ultimo il pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in 3.000,00 euro per compensi professionali, 50,00 euro per spese processuali, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini

 

(1)    - cfr. Sez. L, n. 16398 del 20/08/2004;

(2)    - cfr. Cass. n. 861 del 2005;

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