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mercoledì 6 novembre 2013

Il dipendente può essere obbligato al pagamento delle ritenute fiscali non versate dal datore di lavoro


Nella sentenza n.23121 dell’11 ottobre 2013 la Cassazione ha stabilito che  il dipendente può essere direttamente chiamato al versamento delle ritenute fiscali omesse dal datore di lavoro.

Il caso è quello di un lavoratore che aveva impugnato dinnanzi alla Commissione Tributaria di Imperia un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, relativo, tra l’altro, alle ritenute Irpef non versate dal suo datore di lavoro.  

La Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso del lavoratore, ritenendo che l'Amministrazione avrebbe dovuto preventivamente escutere il patrimonio del datore di lavoro e solo in caso di esito negativo emettere l'accertamento nel confronti del lavoratore.

La Commissione Regionale aveva successivamente  rigettato l’appello dell’Agenzia, ricordando che l'art. 35 dpr 602/73 subordina  il sorgere del vincolo di coobbligazione in solido del "sostituito" al momento dell'iscrizione a ruolo del "sostituto", in ordine alle imposte per le quali quest'ultimo non aveva effettuato, né le ritenute, né i relativi versamenti (circostanza non verificatasi nel caso di specie).

La Commissione aveva accertato che il reddito di lavoro del contribuente rappresentasse la sua unica fonte di reddito,   non concorrendo a formare la base imponibile insieme ad altri redditi e, pertanto, la ritenuta di imposta non aveva più il carattere dì ritenuta d'acconto ma quello di ritenuta definitiva di imposta, rispetto alla quale, la posizione del "sostituito" era residuale e diveniva operante solo nel caso fosse stata accertata l'omissione del "sostituto" in ordine, sia alla ritenuta, sia al versamento.

L’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando alla Commissione Tributaria Regionale di aver erroneamente ritenuto che, in presenza di un'unica fonte di reddito costituita da lavoro dipendente, operasse il sistema della ritenuta d'imposta (con conseguente posizione residuale del sostituito e non applicabilità del menzionato art. 35).

A detta del ricorrente, tale norma si limita all'espressa previsione della solidarietà tra sostituto e sostituito nella fase di riscossione, ma che non vi sia alcuna ragione per escludere i redditi di lavoro dipendente - che si pongono quale unica fonte di reddito- dall'applicabilità della ritenuta alla fonte a titolo di acconto.

La pronuncia della Cassazione 
Nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia, la Corte ha richiamato una precedente pronuncia (1) nella quale aveva affermato che costituisce ritenuta a titolo di acconto quella operata su di un reddito concorrente a formare la base imponibile, mentre costituisce ritenuta a titolo di imposta quella operata su di un reddito non assoggettabile ad imposizione. Ciò comporta che se il reddito in questione non è esente da imposta e concorre a formare la base imponibile, la ritenuta è appunto un acconto che potrà evidenziare la sussistenza di un ulteriore debito o del diritto al rimborso.

Nel caso in cui detto reddito non concorre a formare la base imponibile, la ritenuta costituisce un'imposta "secca", avendo evidentemente il legislatore ritenuto trattarsi comunque di una manifestazione di ricchezza, come tale assoggettabile a prelievo in via definitiva, in misura non ancorata all'ammontare complessivo dei redditi del contribuente.

A detta della Suprema Corte, siffatta classificazione non appare, tuttavia, rilevante nel caso di specie, in quanto, a prescindere se la ritenuta sia prevista a titolo di imposta o a titolo di acconto, il fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, articolo 64, comma 1, definisca il sostituto d'imposta come colui che "in forza di disposizioni dì legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri... ed anche a titolo di acconto" non toglie che, in ogni caso, anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione, come espressamente ribadito dai citato art. 35) obbligato solidale al pagamento dell'imposta;

Il lavoratore, in questo caso, mantiene naturalmente  il diritto di regresso verso il sostituto che, dopo avere eseguito la ritenuta, non l'abbia versata all'erario, esponendolo così all'azione del fisco (2).  

Per le richiamate motivazioni la Corte ha cassato la gravata sentenza che aveva omesso il corretto utilizzo del predetto principio ed ha rinviato la decisione alla Commissione Tributaria della Regione Liguria che, in diversa composizione, dovrà provvedere anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

Valerio Pollastrini


(1)   - v. Cass. 4509/2012;

(2)    - Cass. 14033/2006; 24962/2010;

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