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mercoledì 20 novembre 2013

Criteri di computo dei rapporti di lavoro a tempo determinato


Con Interpello n.30/2013 Confindustria ha richiesto al Ministero del lavoro chiarimenti sul criterio utile per il computo dei rapporti di lavoro a tempo determinato, ai fini dell’applicazione di specifiche previsioni di legge, quali:

- art. 8, D.Lgs. n. 368/2001 per il riconoscimento dei diritti sindacali di cui all’art. 35, L. n. 300/1970;

- art. 12, D.Lgs. n. 25/2007, sulla disciplina dell’informazione e della consultazione dei lavoratori;

- art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 113/2012, concernente i CAE (Comitati Aziendali Europei).

L’Ente interpellato ha preliminarmente esaminato le normative di riferimento richiamate nell’istanza, ricordando come, ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali, “i limiti prescritti dal primo e dal secondo comma dell'articolo 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300, per il computo dei dipendenti si basano sul numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro”.

Analogamente, in ordine alla disciplina dell’informazione e della consultazione dei lavoratori,  l’art. 3, D.Lgs. n. 25/2007 prevede che “la soglia numerica occupazionale è definita nel rispetto delle norme di legge e si basa sul numero medio mensile dei lavoratori subordinati, a tempo determinato ed indeterminato, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.

Il Ministero ha quindi affermato che dalla lettura delle disposizioni sopra indicate si evince che, ai fini della corretta determinazione della base di computo, occorre effettuare la somma di tutti i periodi di rapporto di lavoro a tempo determinato, svolti a favore del datore di lavoro nell’ultimo biennio e successivamente dividere il totale per 24 mesi. Il risultato così ottenuto consente infatti di determinare, così come richiesto dal Legislatore, il numero medio mensile dei lavoratori subordinati impiegati nell’arco di 24 mesi.

A titolo esemplificativo, nell’ipotesi di due lavoratori a tempo determinato con rapporti di lavoro rispettivamente pari a 12 per ciascuno nel corso degli ultimi due anni, si procederà a sommare la durata di ciascun rapporto (12 mesi + 12 mesi = 24 mesi ) per poi dividere tale risultato per 24 mesi (24 : 24 = 1 unità lavorativa). Ne consegue che il numero medio mensile dei lavoratori subordinati impiegati nell’arco di 24 mesi è pari a 1 unità.

Con le medesime modalità, nel caso di due lavoratori a termine con rapporti di lavoro rispettivamente pari a 12 e 16 mesi, si dovrà effettuare la somma di 12 mesi + 16 mesi = 28 mesi e divedere il totale sempre per 24 mesi (28 : 24 = 1,16) arrotondando il risultato ad una unità lavorativa; la soluzione segue infatti il criterio dell’arrotondamento per difetto nelle ipotesi in cui il risultato sia compreso tra 0,01 e 0,50, mentre qualora sia compreso tra 0,51 e 0,99 si procede all’arrotondamento ad unità (es. 1,50 = 1 unità; 1, 51 = 2 unità).

Per quanto attiene invece ai Comitati Aziendali Europei, nell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 113/2012 il riferimento alla “ponderazione” non sembra modificare nella sostanza il criterio di computo contemplato dalle due disposizioni innanzi menzionate. Ai sensi di tale disposizione, infatti, “le soglie minime prescritte per il computo dei dipendenti si basano sul numero medio ponderato mensile di lavoratori impiegati negli ultimi due anni”, riferendosi in tal modo sia ai rapporti di lavoro a tempo determinato che a quelli a tempo indeterminato in linea con quanto stabilito dalla precedente disposizione normativa del 2007.

In conclusione, il Ministero ha chiarito  che il criterio di computo dei contratti a tempo determinato sopra descritto possa trovare applicazione nelle fattispecie richiamate dall’art. 8, D.Lgs. n. 368/2001, dall’art. 12, D.Lgs. n. 25/2007 e dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 113/2012.

Valerio Pollastrini

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