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giovedì 10 ottobre 2013

Se le assenze per malattia sono causate da mobbing, il superamento del periodo di comporto non legittima il licenziamento


Nella sentenza n.22538 del 2 ottobre 2013, la Corte di Cassazione, dopo aver preso atto del parere del ctu sulla riconducibilità delle assenze del lavoratore ai reiterati comportamenti vessatori posti in essere nei suoi confronti dal datore di lavoro, ha ritenuto illegittimo il recesso intimato al dipendente per superamento del periodo di conservazione del posto in caso di malattia.

Il fatto
Un dipendente, licenziato per il superamento del periodo di comporto, aveva impugnato il recesso denunciando le reiterate condotte vessatorie che il datore di lavoro aveva attuato nei propri confronti attraverso diverse modalità, quali ripetuti richiami disciplinari non giustificati, continue visite fiscali nei periodi di malattia e costanti pressioni psicologiche che, con il tempo, avevano causato gravi conseguenze al suo equilibrio psicofisico.

I giudizi di merito
Sia il Tribunale, nel corso del primo grado di giudizio, che la Corte di Appello, avevano accertato che la condotta attuata dal datore di lavoro nei confronti del ricorrente fosse stata discriminatoria.

La malattia accusata del lavoratore doveva pertanto ricondursi alle problematiche di natura psicologica causategli dalla condotta datoriale e, pertanto, l’assenza non poteva essere imputabile al periodo di comporto. Di conseguenza, il licenziamento era stato dichiarato illegittimo.

La società aveva quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando che il giudice del merito si fosse ripetutamente sostituito al lavoratore nell'individuazione della prova, disponendo altresì la ctu che avrebbe confermato il collegamento tra assenze per malattia e vessazioni psicologiche subite. Secondo il datore di lavoro in tal modo il giudice si sarebbe spinto oltre l'esercizio di meri poteri esplorativi, sostituendosi di fatto al ricorrente.

La pronuncia della Cassazione
Nel rigettare il ricorso la Cassazione ha ricordato come "l'esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorché le risultanze di causa offrano significativi spunti di indagine" sia una prerogativa del rito del lavoro, legittima anche nel corso del secondo grado.

La Suprema Corte ha dunque concordato con le risultanze dei procedimenti di merito, confermando l’illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore.

Valerio Pollastrini

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