Nella sentenza
n.22538 del 2 ottobre 2013, la Corte di Cassazione, dopo aver preso atto del
parere del ctu sulla riconducibilità delle assenze del lavoratore ai reiterati
comportamenti vessatori posti in essere nei suoi confronti dal datore di
lavoro, ha ritenuto illegittimo il recesso intimato al dipendente per
superamento del periodo di conservazione del posto in caso di malattia.
Il fatto
Un dipendente,
licenziato per il superamento del periodo di comporto, aveva impugnato il
recesso denunciando le reiterate condotte vessatorie che il datore di lavoro
aveva attuato nei propri confronti attraverso diverse modalità, quali ripetuti
richiami disciplinari non giustificati, continue visite fiscali nei periodi di
malattia e costanti pressioni psicologiche che, con il tempo, avevano causato
gravi conseguenze al suo equilibrio psicofisico.
I giudizi di merito
Sia il Tribunale, nel corso del primo
grado di giudizio, che la Corte di Appello, avevano accertato che la condotta
attuata dal datore di lavoro nei confronti del ricorrente fosse stata
discriminatoria.
La malattia accusata del lavoratore doveva
pertanto ricondursi alle problematiche di natura psicologica causategli dalla
condotta datoriale e, pertanto, l’assenza non poteva essere imputabile al
periodo di comporto. Di conseguenza, il licenziamento
era stato dichiarato illegittimo.
La società aveva quindi proposto ricorso
in Cassazione, lamentando che il giudice del merito si fosse ripetutamente
sostituito al lavoratore nell'individuazione della prova, disponendo altresì la
ctu che avrebbe confermato il collegamento tra assenze per malattia e
vessazioni psicologiche subite. Secondo il datore di lavoro in tal modo il
giudice si sarebbe spinto oltre l'esercizio di meri poteri esplorativi,
sostituendosi di fatto al ricorrente.
La pronuncia della Cassazione
Nel rigettare il ricorso la Cassazione ha
ricordato come "l'esigenza di contemperare il principio dispositivo con
quello della ricerca della verità materiale, allorché le risultanze di causa
offrano significativi spunti di indagine" sia una prerogativa del rito del lavoro, legittima anche nel corso del
secondo grado.
La Suprema Corte ha dunque concordato con le
risultanze dei procedimenti di merito, confermando l’illegittimità del
licenziamento irrogato al lavoratore.
Valerio Pollastrini
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