Con la
sentenza n.22728 del 4 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha escluso la
responsabilità solidale dell’azienda committente per i crediti del dipendente dell’azienda appaltatrice
maturati successivamente alla cessazione
del contratto di appalto.
Il fatto
Il
dipendente di un’azienda appaltatrice,
che in seguito al proprio licenziamento non aveva ricevuto dal datore di
lavoro l’indennità di mancato preavviso, aveva richiesto alla società
committente il pagamento di quanto dovutogli a tale titolo.
I giudizi di merito
Sia il
Tribunale di Gela che la Corte di Appello di Caltanisetta avevano rigettato la
domanda del lavoratore, disponendo la prosecuzione del giudizio nei confronti
del solo datore di lavoro.
In
particolare, la Corte di Appello aveva spiegato che, nel caso di specie, non ricorrevano i presupposti per una responsabilità solidale della società committente, in quanto il
contratto d’appalto intercoso tra le imprese convenute era cessato ancor prima
che l’appellante venisse licenziato dall’appaltatrice, per cui il trattamento retributivo preteso non
era sorto nella vigenza del predetto contratto, bensì era maturato in conseguenza dell’autonoma scelta della
società datrice di lavoro di
interrompere in tronco il rapporto.
Inoltre, il
ricorrente non aveva addotto alcun elemento teso a provare che l’atto di
recesso era dipeso dalla cessazione dell’appalto e, in difetto di qualsiasi
collegamento temporale o causale tra il licenziamento e l’appalto, doveva
essere esclusa una possibile responsabilità solidale dell’impresa committente.
Il
lavoratore si era quindi rivolto alla Corte di Cassazione, sostenendo che
l’indennità sostitutiva del preavviso avesse natura retributiva e, come tale, una
qualità giuridica idonea a ritenere applicabile nella fattispecie la
responsabilità solidale delle imprese convenute, rispettivamente committente ed
appaltatore dei lavori in cui era stato impiegato.
L’art. 29
del D.Lgs. n. 276/03, nel sancire il suddetto regime di responsabilità, si
riferisce ai trattamenti retributivi a carico dei soggetti sopra indicati.
Quindi, secondo il ricorrente, a nulla può valere quanto affermato dalla Corte
territoriale circa il fatto che il contratto d’appalto era cessato
precedentemente alla risoluzione del rapporto lavorativo, atteso che il fatto
generatore del regime di responsabilità solidale era rappresentato, nel caso in
esame, proprio dall’esistenza dell’appalto e dall’avvenuta esecuzione della
prestazione lavorativa nell’ambito dello stesso.
Il ricorrente
lamentava, inoltre, l’insufficienza e la
contraddittorietà della motivazione con la quale i giudici di merito avevano
escluso l’applicabilità del regime di responsabilità solidale attraverso l’assunto
che il credito vantato a titolo di indennità sostitutiva del mancato preavviso
non era causalmente riconducibile alla cessazione del contratto d’appalto.
Il breve intervallo
temporale trascorso tra la cessazione dell’appalto e l’irrogazione del
licenziamento, a detta del lavoratore, deponeva invece in favore un
collegamento causale dell’atto di recesso alla cessazione dell’appalto.
La pronuncia della Cassazione
Le
motivazioni addotte dal lavoratore quale fondamento del proprio ricorso sono
state ritenute infondate dalla Suprema Corte.
Invero, la
questione della natura giuridica dell’indennità spettante a titolo di mancato
preavviso del licenziamento, che il ricorrente ritiene essere retributiva al
fine di sostenere la tesi della sua riconducibilità ai trattamenti per i quali
è prevista la responsabilità solidale del committente e dell’appaltatore nei
contratto d’appalto di opere o di servizi, non inficia la validità della “ratio decidendi”, vale a dire la
mancanza della prova dell’esistenza di un nesso causate tra il recesso e
l’appalto atto a giustificare l’applicabilità del suddetto regime di
responsabilità.
Al riguardo,
la Cassazione ha osservato come la Corte territoriale aveva avuto modo di
verificare che il contratto d’appalto era cessato ancor prima che il rapporto
di lavoro venisse autonomamente risolto dalla società datrice di lavoro per
ragioni non risultate connesse all’esecuzione dell’appalto intercorso in
precedenza tra quest’ultima e la società committente.
Ne consegue
la correttezza della decisione in ordine all’affermazione che l’indennità di
mancato preavviso del licenziamento non era esigibile nei confronti
dell’impresa committente, dal momento
che tale indennità era maturata successivamente alla cessazione del contratto
di appalto, per cui è altrettanto logica la motivazione impugnata nella parte
in cui è precisato che il credito in questione non derivava dalla prestazione
lavorativa resa nell’esecuzione del contratto d’appalto, bensì dall’autonoma
scelta imprenditoriale del datore di lavoro, successiva alla cessazione
dell’appalto, di non avvalersi più dell’attività lavorativa del dipendente,
interrompendo, in tal modo, il rapporto in tronco.
La Suprema Corte
ha ritenuto altresì corretto il rilievo
del giudice di merito sul fatto che il credito invocato non era temporalmente
ed eziologicamente connesso alla cessazione del contratto d’appalto e che dalla
stessa motivazione del licenziamento non emergeva alcun collegamento causale
tra lo stesso ed il contratto d’appalto intercorso tra le due società. A ciò aggiungasi
l’assenza di qualunque prova utile a configurare il recesso quale diretta
conseguenza della cessazione del
contratto d’appalto.
Per tali
motivi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha condannato il
lavoratore al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella
misura di 1.550,00 € per compensi professionali e 50,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
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