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martedì 8 ottobre 2013

Esclusa la responsabilità solidale del committente se il licenziamento viene irrogato successivamente al termine dell’appalto


Con la sentenza n.22728 del 4 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità solidale dell’azienda committente per i crediti  del dipendente dell’azienda appaltatrice maturati  successivamente alla cessazione del contratto di appalto.

Il fatto
Il dipendente di un’azienda appaltatrice,  che in seguito al proprio licenziamento non aveva ricevuto dal datore di lavoro l’indennità di mancato preavviso, aveva richiesto alla società committente il pagamento di quanto dovutogli a tale titolo.

I giudizi di merito
Sia il Tribunale di Gela che la Corte di Appello di Caltanisetta avevano rigettato la domanda del lavoratore, disponendo la prosecuzione del giudizio nei confronti del solo datore di lavoro.

In particolare, la Corte di Appello aveva spiegato  che, nel caso di specie, non ricorrevano  i presupposti per una responsabilità solidale  della società committente, in quanto il contratto d’appalto intercoso tra le imprese convenute era cessato ancor prima che l’appellante venisse licenziato dall’appaltatrice,  per cui il trattamento retributivo preteso non era sorto nella vigenza del predetto contratto, bensì era  maturato  in conseguenza dell’autonoma scelta della società datrice di lavoro  di interrompere in tronco il rapporto.

Inoltre, il ricorrente non aveva addotto alcun elemento teso a provare che l’atto di recesso era dipeso dalla cessazione dell’appalto e, in difetto di qualsiasi collegamento temporale o causale tra il licenziamento e l’appalto, doveva essere esclusa una possibile responsabilità solidale dell’impresa committente.

Il lavoratore si era quindi rivolto alla Corte di Cassazione, sostenendo che l’indennità sostitutiva del preavviso avesse natura retributiva e, come tale, una qualità giuridica idonea a ritenere applicabile nella fattispecie la responsabilità solidale delle imprese convenute, rispettivamente committente ed appaltatore dei lavori in cui era stato impiegato.

L’art. 29 del D.Lgs. n. 276/03, nel sancire il suddetto regime di responsabilità, si riferisce ai trattamenti retributivi a carico dei soggetti sopra indicati. Quindi, secondo il ricorrente, a nulla può valere quanto affermato dalla Corte territoriale circa il fatto che il contratto d’appalto era cessato precedentemente alla risoluzione del rapporto lavorativo, atteso che il fatto generatore del regime di responsabilità solidale era rappresentato, nel caso in esame, proprio dall’esistenza dell’appalto e dall’avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa nell’ambito dello stesso.

Il ricorrente lamentava, inoltre, l’insufficienza e  la contraddittorietà della motivazione con la quale i giudici di merito avevano escluso l’applicabilità del regime di responsabilità solidale attraverso l’assunto che il credito vantato a titolo di indennità sostitutiva del mancato preavviso non era causalmente riconducibile alla cessazione del contratto d’appalto.

Il breve intervallo temporale trascorso tra la cessazione dell’appalto e l’irrogazione del licenziamento, a detta del lavoratore, deponeva invece in favore un collegamento causale dell’atto di recesso alla cessazione dell’appalto.

La pronuncia della Cassazione
Le motivazioni addotte dal lavoratore quale fondamento del proprio ricorso sono state ritenute infondate dalla Suprema Corte.

Invero, la questione della natura giuridica dell’indennità spettante a titolo di mancato preavviso del licenziamento, che il ricorrente ritiene essere retributiva al fine di sostenere la tesi della sua riconducibilità ai trattamenti per i quali è prevista la responsabilità solidale del committente e dell’appaltatore nei contratto d’appalto di opere o di servizi,  non inficia la validità della “ratio decidendi”, vale a dire la mancanza della prova dell’esistenza di un nesso causate tra il recesso e l’appalto atto a giustificare l’applicabilità del suddetto regime di responsabilità.

Al riguardo, la Cassazione ha osservato come la Corte territoriale aveva avuto modo di verificare che il contratto d’appalto era cessato ancor prima che il rapporto di lavoro venisse autonomamente risolto dalla società datrice di lavoro per ragioni non risultate connesse all’esecuzione dell’appalto intercorso in precedenza tra quest’ultima e la società committente.

Ne consegue la correttezza della decisione in ordine all’affermazione che l’indennità di mancato preavviso del licenziamento non era esigibile nei confronti dell’impresa committente,  dal momento che tale indennità era maturata  successivamente alla cessazione del contratto di appalto, per cui è altrettanto logica la motivazione impugnata nella parte in cui è precisato che il credito in questione non derivava dalla prestazione lavorativa resa nell’esecuzione del contratto d’appalto, bensì dall’autonoma scelta imprenditoriale del datore di lavoro, successiva alla cessazione dell’appalto, di non avvalersi più dell’attività lavorativa del dipendente, interrompendo, in tal modo, il rapporto in tronco.

La Suprema Corte ha ritenuto altresì corretto  il rilievo del giudice di merito sul fatto che il credito invocato non era temporalmente ed eziologicamente connesso alla cessazione del contratto d’appalto e che dalla stessa motivazione del licenziamento non emergeva alcun collegamento causale tra lo stesso ed il contratto d’appalto intercorso tra le due società. A ciò aggiungasi l’assenza di qualunque prova utile a configurare il recesso quale diretta conseguenza  della cessazione del contratto d’appalto.

Per tali motivi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ed ha condannato il lavoratore al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura di 1.550,00 € per compensi professionali e  50,00 € per esborsi, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini

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