Nella
sentenza n.24024 del 23 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha affermato che le rinunzie e transazioni in sede sindacale,
aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni
inderogabili della legge o di contratti collettivi, non sono impugnabili solo a condizione che
l'assistenza prestata dai rappresentati sindacali sia stata effettiva,
consentendo al lavoratore di conoscere quali siano i diritti ai quali rinunzia
ed in quale misura, precisando, inoltre, che, nel caso di una transazione, dall'atto è necessario che si evinca la
"res dubia" oggetto della lite e le "reciproche
concessioni" in cui si risolve il contratto transattivo.
Il caso
è quello di due lavoratrici, prive di un regolare inquadramento, che avevano
svolto la propria prestazione per conto della Procura Generalizia Congregazione
Suore ed avevano sottoscritto un verbale di conciliazione in sede sindacale,
nel quale escludevano di aver lavorato
in condizioni di subordinazione, rinunciando ad ogni diritto derivante
dall'attività svolta.
Le
lavoratrici si erano successivamente rivolte al Tribunale di Roma, chiedendo l'accertamento
della natura subordinata del loro rapporto ed il pagamento di somme a titolo di differenze retributive.
Il
datore di lavoro aveva opposto l’inammissibilità della domanda in virtù della
precedente sottoscrizione della conciliazione in sede sindacale.
Il
Tribunale, nell’accogliere parzialmente le richieste delle lavoratrici, aveva
condannato l'azienda al pagamento di una somma inferiore rispetto a quella
richiesta.
Nel
secondo grado di giudizio, la Corte d'Appello di Roma aveva invece giudicato
inammissibili le domande delle lavoratrici a causa dell'intervenuta
conciliazione.
Le
ricorrenti si erano quindi rivolte alla Corte di Cassazione, lamentando, in
particolare, che il giudizio di appello non avesse verificato l'effettiva
partecipazione del rappresentante del sindacato alla conciliazione e la
reciprocità delle concessioni.
La
Suprema Corte ha accolto il ricorso, censurando l’esigua motivazione fornita
dalla Corte di Appello, dalla quale emergeva l’assenza di una verifica circa l’effettività
dell’assistenza sindacale.
La Corte
di merito si era limitata ad affermare che la conciliazione in sede sindacale
era avvenuta con l'assistenza di un avvocato e che i conciliatori avevano
avvertito le parti circa gli effetti propri della conciliazione ai sensi degli
arti 2113 c.c. e 411 c.p.c.
Quanto
all’assistenza di un legale, la Cassazione ha ricordato come essa non
costituisca una condizione richiesta ai
fini della validità della conciliazione in sede sindacale, mentre il semplice
riferimento agli effetti della conciliazione, dei quali le lavoratrici
sarebbero state informate, rappresenta, invece, una considerazione di per sé inadeguata
perché risolve l'assistenza nell'indicazione dell'effetto della non
impugnabilità dell'atto transattivo, senza considerare che l'assistenza
sindacale deve permettere al lavoratore di comprendere a quali diritti rinunzia
ed in che misura.
La
carenza maggiore del giudizio di merito concerne però l'analisi dei contenuti
della conciliazione. La Suprema Corte ha infatti ricordato che il contenuto di
una transazione è costituito dal negozio
con cui le parti pongono fine ad una
lite già cominciata o potenziale, facendosi reciproche concessioni.
Nel
caso in esame è stato omesso di
verificare se ed in cosa consistono le reciproche concessioni e, quanto alla
"res dubia", la si è risolta nel carattere subordinato o autonomo del
rapporto, mentre dalla stessa sentenza si coglie la ben più vasta articolazione
delle questioni in discussione e dei diritti controversi.
Per
tali ragioni la Corte ha cassato la sentenza impugnata, rinviando il giudizio
alla medesima Corte d'appello che, in diversa composizione, dovrà verificare l’ammissibilità dell'impugnazione della
conciliazione attraverso un’analisi sull'effettività della assistenza sindacale
e sulla sussistenza degli elementi costitutivi dell'atto di transazione.
Valerio
Pollastrini
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