Chi siamo


MEDIA-LABOR Srl - News dal mondo del lavoro e dell'economia


giovedì 24 ottobre 2013

Licenziamento per omessa cura di un bene aziendale


Con la sentenza n.23238 del 14 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha giudicato illegittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente ritenuto responsabile del furto del furgone aziendale a causa di una condotta priva dell’ordinaria diligenza richiesta per l’esecuzione della prestazione di lavoro.

Il fatto
Il caso è quello del dipendente di un’azienda di vendita all’ingrosso di generi alimentari  che si occupava, in seguito agli ordini effettuati dai rappresentanti, di caricare la merce sui furgoni dopo averla prelevata dagli scaffali e dalle celle frigorifere collocate in deposito per poi scaricarla a destinazione, incassando il corrispettivo delle relative vendite.

In data 23 giugno 1998, dopo aver effettuato numerose altre consegne, mentre stava scaricando la merce presso un cliente, il suddetto lavoratore era rimasto vittima del furto del furgone aziendale.

Tale episodio aveva comportato delle conseguenze sullo  stato fisico del lavoratore,  al punto che il giorno successivo era stato costretto ad assentarsi dal lavoro.

Dopo essere stato sospeso in via cautelativa, in data 27 giugno 1998  aveva ricevuto una contestazione disciplinare per aver lasciato incustodito il  furgone, con sportelli aperti e chiavi inserite nel cruscotto, facilitandone così il furto.

Il 2 luglio del 1998 l’azienda aveva provveduto ad un’ulteriore contestazione disciplinare relativa all’assenza dal servizio del 24 giugno 1998.

Nonostante avesse provveduto a fornire le proprie giustificazioni, il lavoratore era stato licenziato con lettera del 17 luglio 1998.

In seguito all’atto di recesso il dipendente si era rivolto al Tribunale di Salerno, lamentando la nullità ovvero l’illegittimità del licenziamento, perché non supportato da giustificato motivo ed in ogni caso sproporzionato.

Svolgimento del processo
Il Tribunale aveva accolto la domanda, dichiarando illegittimo il licenziamento con le conseguenze di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

L’azienda aveva quindi ricorso alla Corte di  Appello di Salerno che, pur ribadendo l’illegittimità del recesso, si era limitata a riconoscere, in favore del lavoratore, un risarcimento del danno pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

In seguito al giudizio di appello l’azienda aveva ricorso in cassazione.

Il datore di lavoro lamentava, in particolare, che, ove valutate più attentamente le circostanze del caso, , il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere sussistente la giusta causa di licenziamento e, a tal proposito, aveva formulato un articolato quesito di diritto, chiedendo alla Corte se nell’ipotesi di inadempienza contrattuale, costituita dalla omessa custodia di un bene aziendale, la caduta del vincolo fiduciario dovesse assumere valenza prioritaria, agli effetti della legittimità del recesso, rispetto alla disponibilità risarcitoria e se la mera offerta di risarcimento del danno integrasse una condizione ostativa alla caduta del rapporto fiduciario.

La pronuncia della Cassazione
Per la Suprema Corte un simile quesito è inammissibile per la sua genericità e perché formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto.

A tal proposito la Cassazione ha ricordato che il quesito di diritto deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

In tema di licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo,  il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso - istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione della gravità del comportamento imputato al lavoratore in relazione a tutte le circostanze del caso, specie con riferimento alle particolari condizioni ed avvenimenti in cui è posto in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente.


Per la Suprema Corte, il giudice di merito ha tenuto conto, in modo logico, delle concrete circostanze di fatto caratterizzanti l’episodio, vale a dire, lo svolgimento da parte del dipendente sia delle mansioni di autista, sia di carico e scarico delle merci contenute nel furgone, sia delle operazioni di incasso dei relativi prezzi, sia, evidentemente, la commissione da parte di ignoti del furto in questione.

Si tratta di accertamenti di fatto, valutati in modo logico, il cui riesame, se non supportato da adeguate censure, non è possibile in sede di legittimità.

L’azienda aveva, inoltre, lamentato che la Corte di merito, nel valutare la sussistenza della giusta causa di recesso, avesse attribuito maggiore importanza alla valutazione comparativa degli interessi in gioco, piuttosto che all’oggettiva gravità della condotta del lavoratore, costituita dall’aver lasciato incustodito il furgone di lavoro.

A questo proposito il ricorrente aveva chiesto alla Corte di Cassazione se la violazione dell’obbligo di diligenza potesse esimere un lavoratore subordinato dall’obbligo risarcitorio nei confronti del datore di lavoro.

Anche quest’ultimo quesito è stato ritenuto inammissibili dalla Cassazione che ha ricordato come i giudici di appello avessero escluso la responsabilità risarcitoria del lavoratore per le medesime ragioni collegate all’accertamento dell’insussistenza della giusta causa e della connessa responsabilità attribuibile al lavoratore nella determinazione dell’evento.

Valerio Pollastrini

Nessun commento:

Posta un commento