Con la
sentenza n.23238 del 14 ottobre 2013 la Corte di Cassazione ha giudicato
illegittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente ritenuto responsabile
del furto del furgone aziendale a causa di una condotta priva dell’ordinaria
diligenza richiesta per l’esecuzione della prestazione di lavoro.
Il fatto
Il caso è
quello del dipendente di un’azienda di vendita all’ingrosso di generi
alimentari che si occupava, in seguito
agli ordini effettuati dai rappresentanti, di caricare la merce sui furgoni
dopo averla prelevata dagli scaffali e dalle celle frigorifere collocate in
deposito per poi scaricarla a destinazione, incassando il corrispettivo delle
relative vendite.
In data 23
giugno 1998, dopo aver effettuato numerose altre consegne, mentre stava scaricando
la merce presso un cliente, il suddetto lavoratore era rimasto vittima del
furto del furgone aziendale.
Tale
episodio aveva comportato delle conseguenze sullo stato fisico del lavoratore, al punto che il giorno successivo era stato
costretto ad assentarsi dal lavoro.
Dopo essere
stato sospeso in via cautelativa, in data 27 giugno 1998 aveva ricevuto una contestazione disciplinare
per aver lasciato incustodito il furgone, con sportelli aperti e chiavi
inserite nel cruscotto, facilitandone così il furto.
Il 2 luglio
del 1998 l’azienda aveva provveduto ad un’ulteriore contestazione disciplinare
relativa all’assenza dal servizio del 24 giugno 1998.
Nonostante
avesse provveduto a fornire le proprie giustificazioni, il lavoratore era stato
licenziato con lettera del 17 luglio 1998.
In seguito
all’atto di recesso il dipendente si era rivolto al Tribunale di Salerno,
lamentando la nullità ovvero l’illegittimità del licenziamento, perché non
supportato da giustificato motivo ed in ogni caso sproporzionato.
Svolgimento del processo
Il Tribunale
aveva accolto la domanda, dichiarando illegittimo il licenziamento con le
conseguenze di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
L’azienda
aveva quindi ricorso alla Corte di
Appello di Salerno che, pur ribadendo l’illegittimità del recesso, si
era limitata a riconoscere, in favore del lavoratore, un risarcimento del danno
pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
In seguito
al giudizio di appello l’azienda aveva ricorso in cassazione.
Il datore di
lavoro lamentava, in particolare, che, ove valutate più attentamente le
circostanze del caso, , il giudice di appello avrebbe dovuto ritenere
sussistente la giusta causa di licenziamento e, a tal proposito, aveva
formulato un articolato quesito di diritto, chiedendo alla Corte se nell’ipotesi
di inadempienza contrattuale, costituita dalla omessa custodia di un bene
aziendale, la caduta del vincolo fiduciario dovesse assumere valenza
prioritaria, agli effetti della legittimità del recesso, rispetto alla
disponibilità risarcitoria e se la mera offerta di risarcimento del danno
integrasse una condizione ostativa alla caduta del rapporto fiduciario.
La pronuncia della Cassazione
Per la
Suprema Corte un simile quesito è inammissibile per la sua genericità e perché
formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento
di fatto.
A tal
proposito la Cassazione ha ricordato che il quesito di diritto deve
compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti
al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del
ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.
In tema di
licenziamento individuale per giusta causa o per giustificato motivo
soggettivo, il giudizio di
proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso -
istituzionalmente rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione
della gravità del comportamento imputato al lavoratore in relazione a tutte le
circostanze del caso, specie con riferimento alle particolari condizioni ed
avvenimenti in cui è posto in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed
all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente.
Per la
Suprema Corte, il giudice di merito ha tenuto conto, in modo logico, delle
concrete circostanze di fatto caratterizzanti l’episodio, vale a dire, lo
svolgimento da parte del dipendente sia delle mansioni di autista, sia di
carico e scarico delle merci contenute nel furgone, sia delle operazioni di
incasso dei relativi prezzi, sia, evidentemente, la commissione da parte di
ignoti del furto in questione.
Si tratta di
accertamenti di fatto, valutati in modo logico, il cui riesame, se non
supportato da adeguate censure, non è possibile in sede di legittimità.
L’azienda
aveva, inoltre, lamentato che la Corte di merito, nel valutare la sussistenza
della giusta causa di recesso, avesse attribuito maggiore importanza alla valutazione
comparativa degli interessi in gioco, piuttosto che all’oggettiva gravità della
condotta del lavoratore, costituita dall’aver lasciato incustodito il furgone
di lavoro.
A questo
proposito il ricorrente aveva chiesto alla Corte di Cassazione se la violazione
dell’obbligo di diligenza potesse esimere un lavoratore subordinato dall’obbligo
risarcitorio nei confronti del datore di lavoro.
Anche quest’ultimo
quesito è stato ritenuto inammissibili dalla Cassazione che ha ricordato come i
giudici di appello avessero escluso la responsabilità risarcitoria del
lavoratore per le medesime ragioni collegate all’accertamento
dell’insussistenza della giusta causa e della connessa responsabilità
attribuibile al lavoratore nella determinazione dell’evento.
Valerio
Pollastrini
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