Con l’Interpello n.29 del 23 ottobre 2013 il Ministero
del lavoro ha risposto al quesito formulato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine
dei Consulenti del Lavoro a proposito del diritto all’ASpI dei dipendenti
licenziati per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.
L’istante aveva chiesto se la fattispecie del licenziamento per colpa potesse costituire
un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione
dell’indennità di disoccupazione.
A parere del Ministero la funzione dell’Aspi risponde
all’esigenza di fornire un’indennità economica ai lavoratori colpiti da
disoccupazione involontaria, ragione per cui è stato introdotto, nei casi di interruzione dei rapporti di
lavoro a tempo indeterminato, un
contributo a carico del datore di lavoro finalizzato al finanziamento di tale
indennità.
Dal dettato normativo di riferimento si evince che le
cause di esclusione dall’ASpI e dal contributo a carico dell’azienda sono
tassative e riguardano i casi di dimissioni (con le sole eccezioni delle
dimissioni per giusta causa) e di risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro.
Sulla base di una simile premessa non sembra quindi
potersi escludere che l’ASpI e il
contributo da licenziamento siano corrisposti in ipotesi di licenziamento
disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Inps, che, con diverse
circolari (1), ha chiarito le ipotesi di
esclusione dalla corresponsione dell’indennità e dal contributo in parola senza
includervi la fattispecie del licenziamento disciplinare.
Giova inoltre ricordare quanto disposto dalla Corte
Costituzionale (2) che, a proposito dell’indennità di
maternità, ha sancito che, nei casi di
licenziamento disciplinare, la sua mancata corresponsione violerebbe gli artt.
31 e 37 della Costituzione. Alla protezione della maternità, infatti, deve
essere attribuito un rilievo superiore
rispetto alla ragione del licenziamento, specie in virtù del fatto che la
condotta colposa del lavoratore trova nel recesso stesso una corrispondente sanzione.
Per il Ministero la fattispecie in argomento deve essere
analizzata utilizzando il medesimo ragionamento adottato dalla Corte
Costituzionale a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità. Anche
nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato
un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore. Negare
in simili casi la corresponsione dell’ ASpI costituirebbe quindi un’ulteriore
reazione sanzionatoria non giustificata.
Inoltre il licenziamento disciplinare non può essere incluso
tra le fattispecie di disoccupazione
volontaria. La sanzione del licenziamento rappresenta, infatti, una conseguenza
non automatica di una condotta posta in essere dal lavoratore. A questo
proposito la Corte di Cassazione ha in passato avuto modo di precisare che “l’adozione
del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e
valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere
discrezionale”, senza contare l’impugnabilità dello stesso (3). Negare, in tali casi, la protezione assicurata dall’
ASpI potrebbe risultare iniquo, specie nell’ipotesi
in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento
impugnato.Sulla base delle suddette valutazioni il Ministero del lavoro ha quindi confermato, in caso di recesso per motivi disciplinari, il diritto del lavoratore alla corresponsione dell’ASpI, nonché l’obbligo del datore di lavoro al pagamento del contributo aggiuntivo per il licenziamento.
Valerio Pollastrini
(1) -
cfr. INPS circc.
n. 140/2012, 142/2012, 44/2013;
(2) – Corte
Costituzionale, sentenza n.405/2001;
(3)
- Cass. sent.
25 luglio 1984 n. 4382;
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