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venerdì 25 ottobre 2013

Diritto all’indennità ASpI anche in caso di licenziamento disciplinare


Con l’Interpello n.29 del 23 ottobre 2013 il Ministero del lavoro ha risposto al quesito formulato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro a proposito del diritto all’ASpI dei dipendenti licenziati per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.
L’istante aveva chiesto se la fattispecie  del licenziamento per colpa potesse costituire un’ipotesi di disoccupazione “involontaria”, per la quale è prevista la concessione dell’indennità di disoccupazione.

A parere del Ministero la funzione dell’Aspi risponde all’esigenza di fornire un’indennità economica ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria, ragione per cui è stato introdotto,  nei casi di interruzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato,  un contributo a carico del datore di lavoro  finalizzato al finanziamento di tale indennità.
Dal dettato normativo di riferimento si evince che le cause di esclusione dall’ASpI e dal contributo a carico dell’azienda sono tassative e riguardano i casi di dimissioni (con le sole eccezioni delle dimissioni per giusta causa) e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

Sulla base di una simile premessa non sembra quindi potersi escludere  che l’ASpI e il contributo da licenziamento siano corrisposti in ipotesi di licenziamento disciplinare, così come del resto ha inteso chiarire l’Inps, che, con diverse circolari (1), ha chiarito le ipotesi di esclusione dalla corresponsione dell’indennità e dal contributo in parola senza includervi la fattispecie del licenziamento disciplinare.
Giova inoltre ricordare quanto disposto dalla Corte Costituzionale (2) che, a proposito dell’indennità di maternità, ha sancito che,  nei casi di licenziamento disciplinare, la sua mancata corresponsione violerebbe gli artt. 31 e 37 della Costituzione. Alla protezione della maternità, infatti, deve essere  attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento, specie in virtù del fatto che la condotta colposa del lavoratore trova nel recesso stesso una corrispondente sanzione.

Per il Ministero la fattispecie in argomento deve essere analizzata utilizzando il medesimo ragionamento adottato dalla Corte Costituzionale a proposito della corresponsione dell’indennità di maternità. Anche nel caso di specie il licenziamento disciplinare può essere considerato un’adeguata risposta dell’ordinamento al comportamento del lavoratore. Negare in simili casi la corresponsione dell’ ASpI costituirebbe quindi un’ulteriore reazione sanzionatoria non giustificata.
Inoltre il licenziamento disciplinare non può essere incluso tra le fattispecie di  disoccupazione volontaria. La sanzione del licenziamento rappresenta, infatti, una conseguenza non automatica di una condotta posta in essere dal lavoratore. A questo proposito la Corte di Cassazione ha in passato avuto modo di precisare che  l’adozione del provvedimento disciplinare è sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere discrezionale”, senza contare l’impugnabilità dello stesso (3). Negare, in tali casi, la protezione assicurata dall’ ASpI potrebbe risultare  iniquo, specie nell’ipotesi in cui il giudice ordinario dovesse successivamente ritenere illegittimo il licenziamento impugnato.

Sulla base delle suddette valutazioni il Ministero del lavoro ha quindi confermato, in caso di recesso per motivi disciplinari, il diritto del lavoratore alla corresponsione dell’ASpI, nonché l’obbligo del datore di lavoro al pagamento del contributo aggiuntivo per il licenziamento.

Valerio Pollastrini


(1)   - cfr. INPS circc. n. 140/2012, 142/2012, 44/2013;

(2)   – Corte Costituzionale, sentenza n.405/2001;

(3)   - Cass. sent. 25 luglio 1984 n. 4382;

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