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mercoledì 2 ottobre 2013

La cessazione dell’appalto non legittima il licenziamento


Interessante sentenza del Tribunale di Varese che, in seguito al licenziamento irrogato ad un dipendente per la cessazione dell’appalto nel quale era impiegato, ha giudicato illegittimo il recesso e, pur confermando l’estinzione del rapporto, ha condannato l’azienda al pagamento del risarcimento del danno in favore del lavoratore per  non aver verificato  la possibilità di ricollocare quest’ultimo presso altro appalto.  

I fatti
Il dipendente  di una società appaltatrice della gestione del servizio di portierato presso la H. Srl  era stato licenziato per giustificato motivo oggettivo, motivato con la cessazione dell’appalto presso la H. s.r.l. nel quale era  impiegato.

Il lavoratore si era quindi rivolto al Giudice del Lavoro, chiedendo l’annullamento del licenziamento, non avendo il datore di lavoro provveduto a verificare l’inutilizzabilità della prestazione lavorativa nell’ambito della propria struttura aziendale.

Il datore di lavoro ribatteva  di aver cessato il servizio di portierato ove era impiegato il lavoratore ricorrente e di non aver potuto, al momento del licenziamento, offrire una nuova postazione lavorativa in presenza di organico completo con riferimento a mansioni compatibili con la sua professionalità ed il suo stato di salute.

La pronuncia del Tribunale
Il Tribunale di Varese, dopo aver analizzato la documentazione prodotta agli atti, ha accolto il ricorso del lavoratore.

Entrando nel merito della vicenda, il Giudice ha evidenziato innanzitutto  come il fatto storico posto alla base del licenziamento, vale a dire la cessazione del servizio di portierato presso la H. Srl,  non era stato contestato dal lavoratore, che,  viceversa, aveva lamentato la mancata dimostrazione dell’inutilizzabilità della sua prestazione lavorativa presso altri servizi di portierato gestiti dal datore di lavoro al momento dell’irrogazione del licenziamento.

Oltre al generico riferimento ad una serie di ulteriori servizi di portierato gestiti dalla resistente, quest’ultima - gravata dall’onere di dimostrare di aver adempiuto all’obbligo di repechage – aveva   replicato ribadendo che, al momento del licenziamento, sui rimanenti appalti il personale occupato fosse già sufficiente.

Il Giudice ha inoltre considerato il comportamento tenuto dall’azienda successivamente al ricevimento dell’impugnazione del licenziamento. Solo a quel punto, infatti,  il datore di lavoro aveva provveduto ad offrire l’inserimento lavorativo del dipendente nella città di Milano, specificando che tale possibilità fosse l’unica alternativa al licenziamento per giustificato motivo in assenza di postazioni lavorative nella provincia di Varese. Per il giudicante il datore avrebbe dovuto fornire una prova ben più rigorosa sia in ordine alle caratteristiche dell’organico in forza, che sulla circostanza che l’offerta non solo si riferisse ad un posto di lavoro liberatosi successivamente al licenziamento a seguito di dimissioni rassegnate da altro dipendente, ma anche che tale soluzione fosse l’unica praticabile a Milano.

Acclarato il mancato adempimento all’obbligo di “repechage”, il Giudice ha stimato una simile violazione estranea alle fattispecie punibili, ai sensi della nuova formulazione dell’art.18 dello Statuto del lavoratori,  con la reintegrazione nel posto di lavoro e, pertanto, pur   accertando i profili di illegittimità del licenziamento, ha dichiarato comunque risolto il rapporto, limitandosi a condannare il datore di lavoro al pagamento del solo risarcimento del danno in favore del lavoratore.

Per concludere, in applicazione della c.d. tutela indennitaria di cui al V comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e tenuto conto di elementi quali la minima anzianità di servizio del ricorrente, le dimensioni aziendali nonché del comportamento delle parti (sotto questo profilo, l’offerta formulata dalla società - per quanto tardiva - di un posto di lavoro era stata rifiutata del lavoratore), il Tribunale di Varese ha stimato quale equa quantificazione dell’indennità risarcitoria il limite minimo di legge pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo. Il datore di lavoro è stato, inoltre,  condannato al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi 2.200 €, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini

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