Interessante
sentenza del Tribunale di Varese che, in seguito al licenziamento irrogato ad
un dipendente per la cessazione dell’appalto nel quale era impiegato, ha giudicato
illegittimo il recesso e, pur confermando l’estinzione del rapporto, ha
condannato l’azienda al pagamento del risarcimento del danno in favore del lavoratore
per non aver verificato la possibilità di ricollocare quest’ultimo
presso altro appalto.
I fatti
Il
dipendente di una società appaltatrice della
gestione del servizio di portierato presso la H. Srl era stato licenziato per giustificato motivo
oggettivo, motivato con la cessazione dell’appalto presso la H. s.r.l. nel quale
era impiegato.
Il
lavoratore si era quindi rivolto al Giudice del Lavoro, chiedendo l’annullamento
del licenziamento, non avendo il datore di lavoro provveduto a verificare
l’inutilizzabilità della prestazione lavorativa nell’ambito della propria
struttura aziendale.
Il datore di
lavoro ribatteva di aver cessato il
servizio di portierato ove era impiegato il lavoratore ricorrente e di non aver
potuto, al momento del licenziamento, offrire una nuova postazione lavorativa
in presenza di organico completo con riferimento a mansioni compatibili con la sua
professionalità ed il suo stato di salute.
La pronuncia del Tribunale
Il Tribunale
di Varese, dopo aver analizzato la documentazione prodotta agli atti, ha
accolto il ricorso del lavoratore.
Entrando nel
merito della vicenda, il Giudice ha evidenziato innanzitutto come il fatto storico posto alla base del
licenziamento, vale a dire la cessazione del servizio di portierato presso la
H. Srl, non era stato contestato dal
lavoratore, che, viceversa, aveva lamentato
la mancata dimostrazione dell’inutilizzabilità della sua prestazione lavorativa
presso altri servizi di portierato gestiti dal datore di lavoro al momento
dell’irrogazione del licenziamento.
Oltre al
generico riferimento ad una serie di ulteriori servizi di portierato gestiti
dalla resistente, quest’ultima - gravata dall’onere di dimostrare di aver
adempiuto all’obbligo di repechage –
aveva replicato ribadendo che, al momento del
licenziamento, sui rimanenti appalti il personale occupato fosse già
sufficiente.
Il Giudice
ha inoltre considerato il comportamento tenuto dall’azienda successivamente al
ricevimento dell’impugnazione del licenziamento. Solo a quel punto,
infatti, il datore di lavoro aveva provveduto
ad offrire l’inserimento lavorativo del dipendente nella città di Milano, specificando
che tale possibilità fosse l’unica alternativa al licenziamento per
giustificato motivo in assenza di postazioni lavorative nella provincia di Varese.
Per il giudicante il datore avrebbe dovuto fornire una prova ben più rigorosa
sia in ordine alle caratteristiche dell’organico in forza, che sulla
circostanza che l’offerta non solo si riferisse ad un posto di lavoro
liberatosi successivamente al licenziamento a seguito di dimissioni rassegnate
da altro dipendente, ma anche che tale soluzione fosse l’unica praticabile a
Milano.
Acclarato il
mancato adempimento all’obbligo di “repechage”,
il Giudice ha stimato una simile violazione estranea alle fattispecie punibili,
ai sensi della nuova formulazione dell’art.18 dello Statuto del lavoratori, con la reintegrazione nel posto di lavoro e,
pertanto, pur accertando i profili di illegittimità del
licenziamento, ha dichiarato comunque risolto
il rapporto, limitandosi a condannare il datore di lavoro al pagamento del solo
risarcimento del danno in favore del lavoratore.
Per
concludere, in applicazione della c.d. tutela indennitaria di cui al V comma
dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e tenuto conto di elementi quali la
minima anzianità di servizio del ricorrente, le dimensioni aziendali nonché del
comportamento delle parti (sotto questo profilo, l’offerta formulata dalla
società - per quanto tardiva - di un posto di lavoro era stata rifiutata del
lavoratore), il Tribunale di Varese ha stimato quale equa quantificazione dell’indennità
risarcitoria il limite minimo di legge pari a 12 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione monetaria ed interessi
legali dal dovuto al saldo. Il datore di lavoro è stato, inoltre, condannato al pagamento delle spese di lite,
liquidate in complessivi 2.200 €, oltre accessori di legge.
Valerio
Pollastrini
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