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sabato 28 settembre 2013

Rifiuto di eseguire un ordine alla fine del turno


Nella sentenza n.21361 del 18 settembre 2013 la Corte di Cassazione ha compiuto una disamina sulla  corretta applicazione della normativa sull’orario di lavoro.

Il caso è quello di un metronotte che si era rifiutato di intervenire in seguito alla richiesta formulata dalla centrale operativa su un allarme scattato poco prima della fine del suo turno.

In virtù dell’art.75 del CCNL applicato, che obbliga il personale smontante o già smontato ad effettuare il servizio nel ricorso di condizioni oggettive che lo richiedano, l’azienda aveva disposto il licenziamento del lavoratore.
 
I primi gradi di giudizio
Sia il Tribunale di Pistoia che la Corte di Appello di Firenze, ravvisando nella condotta del lavoratore quella insubordinazione che giustifica, a norma dell’art. 127 del CCNL della Vigilanza Privata, la risoluzione del rapporto, ne avevano respinto il ricorso, confermando la legittimità dell’atto di recesso.

La Corte di merito aveva inoltre aggiunto che una simile conclusione fosse stata ulteriormente confermata dall’ esistenza di numerose e rilevanti sanzioni disciplinari inflitte nel biennio antecedente al licenziamento ed anche precedenti, tutte idonee a confermare la gravità della contestata infrazione alla luce dell’ormai reiteratamente compromesso rapporto di fiducia.

Il lavoratore aveva ricorso per la cassazione del giudizio di appello, lamentando  che la richiesta datoriale  di protrarre l’orario di lavoro oltre le otto ore notturne avrebbe violato le norme di legge sulla durata massima della prestazione. La richiesta di intervento sull’allarme, formulata a soli dieci minuti dalla scadenza dell’orario giornaliero, sarebbe quindi stata  arbitraria, motivo per cui era stata disattesa.

Per il ricorrente l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello sarebbe inconciliabile con il diritto del lavoratore a godere con modalità programmabile e prevedibile, del dovuto tempo libero, o più correttamente riposo. Inoltre, il richiamato art.75 del CCNL nulla prevedrebbe circa la possibilità di superare l’orario di otto ore di lavoro notturno.

La pronuncia della Cassazione
Per rispondere alle doglianze del lavoratore la Suprema Corte ha compiuto una puntuale ricostruzione del dettato normativo che regola l’orario di lavoro del personale addetto ai turni di notte.

Invero, l’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 532 del 1999 sancisce che “ l’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore”, tuttavia, la norma consente  ai contratti collettivi, anche aziendali, di fissare “un orario di lavoro plurisettimanale, per un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.”
Si tratta di una disposizione che  ha trovato piena attuazione nella contrattazione collettiva di riferimento al caso di specie. L’art. 71 del CCNL applicato  dispone infatti  che, nonostante l’orario di lavoro fissato per legge in 40 ore settimanali,  tenuto conto delle obiettive necessità di organizzare i turni di lavoro in maniera da garantire la continuità nei servizi di tutela del patrimonio pubblico e privato affidato agli Istituti di Vigilanza, la durata massima dell’orario di lavoro, comprese le ore di straordinario, non potrà superare le 48 ore ogni periodo di sette giorni, calcolate come media, riferita ad un periodo di mesi 12, decorrenti dal 1° gennaio di ogni anno (…)” e che “...il lavoratore del turno smontante non può lasciare il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione, del lavoratore del turno montante, che dovrà avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero (...)”.

Dopo aver riepilogato la disciplina legale e contrattuale, la Corte ha rilevato come tale modalità di flessibilizzazione dell’orario consenta il corretto avvicendamento nel servizio, assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con, solo eventuale, superamento del limite di otto ore.
Per tale motivo la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del lavoratore, condannandolo al pagamento delle spese del giudizio liquidate in € 3000,00 per compensi professionali ed in € 50,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.

Valerio Pollastrini

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