Nella sentenza n.21922 del 25 settembre 2013 la Corte
di Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento irrogato ad una lavoratrice
che, in mancanza di un ordine specifico impartito per iscritto, si era rifiutata
di eseguire una prestazione diversa dalle mansioni abitualmente svolte.
I giudizi di merito
La Corte di
Appello di Milano, riformando parzialmente la decisione del giudice di primo
grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, condannando il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice
nel posto di lavoro, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a
trentasei mesi di retribuzione globale di fatto.
Per la Corte territoriale la richiesta di apportare con il pc delle
modifiche al catalogo prodotti esulava
dalla mansioni della lavoratrice - impiegata addetta al marketing- e,
oltretutto, era estranea alla formazione professionale della stessa,
richiedendo competenze specifiche
superiori rispetto all’uso del programma Foto-shop conosciuto dalla
lavoratrice.
Il giudice di appello giustificava, pertanto, l’istanza
della lavoratrice volta ad ottenere l’assegnazione di tali compiti per iscritto,
sia in ragione della particolare complessità tecnica del lavoro, sia in ragione delle possibili responsabilità
in caso di errori nell’esecuzione, oltre che in considerazione del fatto che i
compiti in questione fossero estranei alle mansioni di impiegata amministrativa
svolte fino a quel momento.
Per la Corte milanese la sanzione espulsiva era quindi
illegittima sia sotto il profilo della giusta causa che di quello del giustificato
motivo soggettivo. La condotta della lavoratrice, al massimo, avrebbe potuto
configurare una lieve insubordinazione,
punibile, ai sensi di quanto disposto dal contratto collettivo applicato, con
una sanzione conservativa.
La società si era quindi rivolta alla Cassazione,
precisando che la lavoratrice vantava un curriculum con esperienza nel settore
informatico e che il datore di lavoro le aveva fatto seguire un corso di specializzazione
professionale Photo-shop, avente ad oggetto la definizione delle immagini digitali,
tecniche di fotoritocco, circostanza, questa, sufficiente ad includere la
prestazione richiesta tra le mansioni di inquadramento.
Nel ricorso l’azienda richiamava un precedente della Cassazione (1) in base al
quale il rifiuto di eseguire la prestazione da parte del lavoratore sarebbe
sempre illegittimo, deducendone anche l’illegittimità della richiesta che l’ordine venisse impartito
per iscritto.
La pronuncia della Cassazione
La Suprema
Corte ha preliminarmente affrontato la censura datoriale in base alla quale la
frequenza ad un corso per il programma Photo-shop comportasse l’inclusione automatica
della prestazione richiesta tra le
mansioni della lavoratrice.
Sul punto il giudice di appello, con valutazione
compiuta in base ad un accertamento di fatto, aveva espressamente affermato che
l’attività richiesta, per la sua complessità tecnica, implicava conoscenze
informatiche superiori a quelle del programma Photo-shop conosciuto dalla
lavoratrice. Si tratta di un giudizio
che per la Cassazione non può essere sindacato in sede di legittimità, ove,
come nel caso di specie, logicamente
motivato.
La Cassazione ha poi negato ogni valore al richiamato
precedente della stessa Corte, poiché riferito ad un caso di totale inadempimento del lavoratore
(2), mentre, nel caso di specie, invece di un rifiuto tout court di eseguire la
prestazione, vi era stata solamente la richiesta di un ordine scritto di
assegnazione dei nuovi compiti. Il giudice di merito aveva giustificato tale pretesa, valorizzando, tra le altre, la circostanza delle possibili responsabilità per la lavoratrice in caso di errore nell’esecuzione di compiti che erano risultati estranei non solo alle mansioni di impiegata amministrativa ma alla formazione professionale della dipendente. Inoltre, a detta della Cassazione, l’adozione della forma scritta nell’assegnazione di nuovi compiti al dipendente, in linea generale, non si pone in contrasto né con i poteri organizzativi e direttivi del datore di lavoro, né appare tale da pregiudicare l’efficienza e l’ordinato svolgimento dell’attività di produzione.
Tenuto conto della peculiarità della vicenda e, soprattutto, del fatto che le prestazioni richieste fossero estranee al bagaglio professionale della lavoratrice, la pretesa di ricevere una formalizzazione per iscritto dell’ordine era stata considerata legittima dal giudice di appello attraverso una valutazione rispondente, per la Cassazione, ai criteri di logicità e congruità.
Per tali motivi la Suprema Corte ha confermato quanto disposto dalla Corte di Appello di Milano e, nel respingerne il ricorso, ha condannato l’azienda al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 50,00 per esborsi e 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Valerio Pollastrini
(1) - Cass. n. 25313 del 2007;
(2) - tra le altre, Cass. n. 12696 del
2012, n. 29832 del 2008, n. 25313 del 2007;
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