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lunedì 30 settembre 2013

Rifiuto del lavoratore di eseguire prestazioni diverse dalle mansioni abituali


Nella sentenza n.21922 del 25 settembre 2013 la Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento irrogato ad una lavoratrice che, in mancanza di un ordine specifico impartito per iscritto, si era rifiutata di eseguire una prestazione diversa dalle mansioni abitualmente svolte.

I giudizi di merito
La Corte di Appello di Milano, riformando parzialmente la decisione del giudice di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, condannando  il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a trentasei mesi di retribuzione globale di fatto.

Per la Corte territoriale  la richiesta di apportare con il pc delle modifiche al catalogo prodotti  esulava dalla mansioni della lavoratrice - impiegata addetta al marketing- e, oltretutto, era estranea alla formazione professionale della stessa, richiedendo  competenze specifiche superiori rispetto all’uso del programma Foto-shop conosciuto dalla lavoratrice.
Il giudice di appello giustificava, pertanto, l’istanza della lavoratrice volta ad ottenere l’assegnazione di tali compiti per iscritto, sia in ragione della particolare complessità tecnica del lavoro,  sia in ragione delle possibili responsabilità in caso di errori nell’esecuzione, oltre che in considerazione del fatto che i compiti in questione fossero estranei alle mansioni di impiegata amministrativa svolte fino a quel momento.

Per la Corte milanese la sanzione espulsiva era quindi illegittima sia sotto il profilo della giusta causa che di quello del giustificato motivo soggettivo. La condotta della lavoratrice, al massimo, avrebbe potuto configurare  una lieve insubordinazione, punibile, ai sensi di quanto disposto dal contratto collettivo applicato, con una sanzione conservativa.

La società si era quindi rivolta alla Cassazione, precisando che la lavoratrice vantava un curriculum con esperienza nel settore informatico e che il datore di lavoro le aveva fatto seguire un corso di specializzazione professionale Photo-shop, avente ad oggetto la definizione delle immagini digitali, tecniche di fotoritocco, circostanza, questa, sufficiente ad includere la prestazione richiesta tra le mansioni di inquadramento.
Nel ricorso l’azienda richiamava  un precedente della Cassazione (1) in base al quale il rifiuto di eseguire la prestazione da parte del lavoratore sarebbe sempre illegittimo, deducendone anche l’illegittimità  della richiesta che l’ordine venisse impartito per iscritto.

La pronuncia della Cassazione
La Suprema Corte ha preliminarmente affrontato la censura datoriale in base alla quale la frequenza ad un corso per il programma Photo-shop comportasse l’inclusione automatica della prestazione richiesta  tra le mansioni della lavoratrice.

Sul punto il giudice di appello, con valutazione compiuta in base ad un accertamento di fatto, aveva espressamente affermato che l’attività richiesta, per la sua complessità tecnica, implicava conoscenze informatiche superiori a quelle del programma Photo-shop conosciuto dalla lavoratrice. Si tratta di un  giudizio che per la Cassazione non può essere sindacato in sede di legittimità, ove, come nel caso di specie,  logicamente motivato.
La Cassazione ha poi negato ogni valore al richiamato precedente della stessa Corte, poiché  riferito ad un  caso di totale inadempimento del lavoratore (2), mentre, nel caso di specie, invece di un rifiuto tout court di eseguire la prestazione, vi era stata solamente la richiesta di un ordine scritto di assegnazione dei nuovi compiti.

Il giudice di merito aveva giustificato tale pretesa, valorizzando, tra le altre, la circostanza delle possibili responsabilità per la lavoratrice in caso di errore nell’esecuzione di compiti che erano risultati estranei non solo alle mansioni di impiegata amministrativa ma alla formazione professionale della dipendente. Inoltre, a detta della Cassazione, l’adozione della forma scritta nell’assegnazione di nuovi compiti al dipendente, in linea generale, non si pone in contrasto né con i poteri organizzativi e direttivi del datore di lavoro, né appare tale da pregiudicare l’efficienza e l’ordinato svolgimento dell’attività di produzione.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda e, soprattutto, del fatto che le prestazioni richieste fossero estranee al bagaglio professionale della lavoratrice, la pretesa di ricevere una formalizzazione per iscritto dell’ordine era stata considerata legittima dal giudice di appello attraverso una valutazione rispondente, per la Cassazione, ai criteri di logicità e congruità.

Per tali motivi  la Suprema Corte ha confermato quanto disposto dalla Corte di Appello di Milano e, nel respingerne il ricorso, ha condannato l’azienda  al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 50,00 per esborsi e 4.000,00 per  compensi professionali, oltre accessori di legge.

Valerio Pollastrini


(1) - Cass. n. 25313 del 2007;

(2) - tra le altre, Cass. n. 12696 del 2012, n. 29832 del 2008, n. 25313 del 2007;

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