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lunedì 2 settembre 2013

Licenziamento per scarso rendimento del lavoratore


Nella sentenza n.14758 del 12 giugno 2013, la Corte di Cassazione ha affrontato la fattispecie del licenziamento per scarso rendimento del lavoratore.
Il caso è quello che ha riguardato l’autista di una Cooperativa di trasporti.

La Corte di Appello di Campobasso, riformando la decisione di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento ed aveva disposto in favore del lavoratore la reintegra nel posto di lavoro ed il pagamento delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione, con gli accessori di legge.
Nel corso del primo grado di giudizio era stato accertato che il recesso era stata irrogato per  scarso rendimento ai sensi dell'art. 27 R.D. n. 148 del 1931, e non già per motivi disciplinari.

La Corte di Appello aveva negato la legittimità del licenziamento  perché, dall’esame dei fatti, non aveva accertato un’evidente violazione della diligente collaborazione richiesta al dipendente.
Al lavoratore erano state contestate  dodici condotte idonee per il datore di lavoro a dimostrarne lo scarso rendimento. La Corte territoriale aveva invece ritenuto che alcune di esse, in realtà,  non avevano avuto incidenza sul regolare svolgimento delle mansioni affidate al lavoratore, né sul suo rendimento, mentre altre erano generiche.
Nello specifico, i fatti rilevati non erano, per il giudicante, di gravità tale da giustificare il licenziamento, anche tenendo conto del lasso di tempo in cui erano avvenuti (dal 2001 al 2005); dei problemi di salute del lavoratore, affetto da epatite C; dell'assenza di intenzionalità del comportamento del lavoratore; della mancata dimostrazione del danno aziendale. Tutto ciò in ossequio al disposto di cui all'art. 1455 cod. civ., secondo cui il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza.
Contro la sentenza di appello la società cooperativa aveva proposto ricorso in cassazione.

L’azienda ha contestato in particolare la valutazione del giudice di secondo grado, in base alla quale la risoluzione del rapporto potesse essere giustificata solo in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, cioè di non scarsa importanza. Nel convincimento datoriale, lo scarso rendimento ricorrerebbe, invece, indipendentemente dalla gravità della colpa, dal momento che l'inosservanza di norme comportamentali rileva, nell'adozione del provvedimento, non già di per sé ma piuttosto quale fattore causale dello scarso rendimento.
Per l’azienda, in sostanza, ai fini della legittimità del licenziamento in questione, non è necessario che ricorra un "notevole" inadempimento del lavoratore, assumendo rilievo primario la valutazione complessiva della prestazione resa in relazione all'esigenza di assicurare il regolare svolgimento del servizio pubblico di trasporto.


La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha ricordato il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale l’ipotesi di licenziamento per scarso rendimento ricorre solamente qualora, dopo una    valutazione complessiva dell'attività resa dal lavoratore  ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro,  risulti provata  una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente, in conseguenza dell'enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione dei lavoratori e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento. Una simile violazione può essere rilevata esclusivamente attraverso il  confronto dei risultanti dati globali riferiti ad una media di attività fra i vari dipendenti, indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.

Quando una simile analisi accerti lo scarso rendimento, la prosecuzione del rapporto di lavoro causerebbe un pregiudizio per gli scopi aziendali, a causa della determinante influenza del comportamento del dipendente sul rapporto di lavoro. La scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti sarebbe infatti idonea a mettere in dubbio la futura correttezza negli adempimenti.
La Cassazione ribadisce, pertanto, che la gravità dell'inadempimento deve essere rigorosamente valutata nel rispetto della regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare può giustificarsi solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali.

Una corretta valutazione dei comportamenti del lavoratore non può   inoltre esimersi dall’adeguata considerazione di criteri quali l’intensità dell’elemento intenzionale, le modalità di attuazione, la durata e la tipologia del rapporto.
Nel caso in esame, l’analisi dei fatti, nella loro interezza, ha evidenziato che alcune condotte contestate al lavoratore, come il danneggiamento di un telefono cellulare di proprietà dell'azienda o l’utilizzazione per scopi personali di un veicolo appartenente alla stessa, non avevano avuto alcuna incidenza sul suo rendimento; altre, invece, erano state indicate in modo talmente generico da non consentire alcun apprezzamento; le rimanenti, inoltre, non erano tali da integrare il requisito della gravità dell'inadempimento, tenuto conto del lasso di tempo in cui erano state realizzate (dal 2001 al 2005), delle condizioni di salute del lavoratore, affetto da epatite C, dell'assenza di intenzionalità e della regola generale di cui all'art. 1455 cod. civ., secondo cui il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza.

Per tali motivi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, ritenendo illegittimo il licenziamento e confermando la sentenza della Corte di Appello.

Valerio Pollastrini

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