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martedì 10 settembre 2013

Legittimo licenziare il dipendente che non comunica la malattia al datore di lavoro


Con la sentenza n.10552 del 7 maggio 2013 la Corte di Cassazione ha ribadito l’importanza dell’obbligo, posto a carico del lavoratore, di informare tempestivamente il datore di lavoro del proprio stato di malattia.

Il fatto
Il caso è quello del dipendente della P. Srl  assente dal lavoro per una malattia attestata da un certificato medico, rilasciato dal Policlinico in data 10 marzo, con una prognosi di venti giorni, ovvero fino al 30 marzo 2003. Tale certificato,  non era stato inviato al datore di lavoro, ed era stato inoltre  superato da un secondo attestato di malattia, questa volta rilasciato il 12 marzo dal medico curante, che prescriveva un’assenza di durata inferiore rispetto a quella originariamente prescritta, con scadenza fissata per il giorno 23 marzo.

Il lavoratore, nei fatti, aveva ignorato la seconda prognosi, rimanendo assente dal lavoro dal 24 al 30 marzo 2003, periodo coperto dal primo certificato medico ma non dal secondo. In conseguenza, l’azienda aveva provveduto al suo licenziamento per il protrarsi dell’assenza ingiustificata.

Contro tale provvedimento, il lavoratore si rivolgeva al Tribunale di Catania chiedendo la nullità del licenziamento.

I precedenti gradi di giudizio
In seguito al rigetto del ricorso da parte del Tribunale, la Corte di Appello di Catania confermava l’esito della sentenza di primo grado, pronunciandosi,  in sostanza, in favore  della legittimità del licenziamento.

La Corte territoriale  aveva in primo luogo accertato che, effettivamente, l'assenza contestata al lavoratore non era supportata da una giustificazione idonea. Il certificato medico rilasciato dal Policlinico poteva, infatti, dirsi superato dal successivo certificato del medico curante, l'unico tra l’altro inviato al datore di lavoro in ossequio delle norme di legge.

Tale documento riteneva sufficiente l’ assenza di durata inferiore a quella originariamente prescritta, con scadenza, invece del giorno 30, nel giorno 23 marzo 2003.

Accertata  la mancanza di un’ulteriore certificazione, successiva cioè a quella rilasciata dal medico curante, che legittimasse l’assenza dal servizio nel periodo 24-30 marzo, tale periodo poteva, a ragione, considerarsi come assenza ingiustificata e, come tale, dare luogo al licenziamento.

Acclarata l’assenza ingiustificata, il giudice ha ritenuto la sanzione irrogata dall’azienda  proporzionale all’infrazione commessa dal dipendente, confermando la legittimità del licenziamento. A tale proposito la Corte ha rilevato che il Contratto collettivo applicato, prevedeva il recesso per assenze ingiustificate anche di durata più breve (4 giorni consecutivi). Inoltre il comportamento del lavoratore, che non si era accertato della minor durata dell'assenza autorizzata dal medico curante provvedendo a riprendere il servizio o comunque a comunicare tempestivamente il prorogarsi della sua assenza, doveva essere considerato espressione di una grave negligenza sanzionabile con la massima sanzione espulsiva.

Contro la sentenza della Corte di Appello il lavoratore proponeva ricorso per cassazione.

Il lavoratore contestava innanzitutto il fatto che la Corte di Appello avesse equiparato le generiche assenze ingiustificate alle assenze per malattia non coperte da regolare certificato inviato al datore di lavoro. Per il ricorrente, il fatto che, indipendentemente dalla prova, sussistesse l’evento morboso avrebbe dovuto far configurare l’inadempimento commesso non come assenza ingiustificata ma semplicemente come “mancato invio della certificazione medica”.

Il ricorrente, inoltre, lamentava il fatto che la Corte di Appello, ai fini della legittimità del licenziamento, si fosse limitata ad attestare una durata dell’assenza ingiustificata superiore al   periodo  contrattualmente previsto quale presupposto per l'intimazione del recesso, senza valutare  l'intenzionalità della condotta contestata e ciò  sebbene nel giudizio fossero emersi elementi di fatto che deponevano decisamente per l'insussistenza di una intenzionalità della condotta (pessime condizioni di salute che giustificavano l'omesso controllo da parte del dipendente delle date apposte sui diversi certificati, assenza di precedenti disciplinari negli oltre otto anni di durata del rapporto di lavoro).

Il giudizio della Cassazione
La Suprema Corte, nel dirimere la controversia, è intervenuta preliminarmente sulle censure poste dal ricorrente a proposito dell'applicazione della disposizione collettiva, ricordando il proprio orientamento in base al quale  "ove la contrattazione collettiva preveda, quale ipolesi di giusta causa di licenziamento, l'omessa o tardiva presentazione del certificato medico in caso di assenza per malattia oppure l'inadempimento di altri obblighi contrattuali specifici da parte del lavoratore, la valutazione in ordine di legittimità del licenziamento, motivato dalla ricorrenza di una di tali ipotesi, non può conseguire automaticamente dal mero riscontro che il comportamento del lavoratore integri la fattispecie tipizzata contrattualmente, ma occorre sempre che quest'ultima sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto tenuto dal lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo."

Tenendo presente il citato principio, la Corte conferma tuttavia la corretta interpretazione del giudizio di appello che  aveva verificato, da un lato, l'esistenza effettiva della condotta materiale (assenza dal lavoro per più di quattro giorni senza comunicare la giustificazione) e, dall'altro, aveva approfondito anche il profilo soggettivo, ravvisando nella condotta tenuta dal lavoratore nel corso della sua assenza, un comportamento gravemente negligente, consistito nell'aver omesso di verificare la corrispondenza delle prognosi effettuate nelle due diverse certificazioni mediche acquisite (una nell'immediatezza del malore e l'altra a distanza di due giorni) ed in particolare nella non coincidenza dei termini finali tra la prima (trattenuta dal lavoratore)  e la seconda inviata al datore di lavoro.

La Cassazione, conferma,  tra i normali obblighi di diligenza e correttezza nello svolgimento del rapporto di lavoro, quello di  assicurarsi che, impedimenti nello svolgimento della prestazione, pur legittimi, non arrechino alla controparte datoriale un pregiudizio ulteriore per effetto di inesatte comunicazioni che generino un legittimo affidamento nella effettiva ripresa della prestazione lavorativa.

Nel valutare  la condotta del lavoratore non bisogna dunque rilevare  l’ effettività della malattia, quanto piuttosto la diligenza nell'esecuzione della prestazione che si concretizza anche nella corretta e tempestiva informazione al datore di lavoro della sua impossibilità.

In questa prospettiva, nel caso di specie, risulta evidente che il solo valido accertamento della impossibilità della prestazione per malattia fosse quello contenuto nella certificazione del medico curante.

Per tali motivazioni la Suprema Corte ha respinto il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento.

Valerio Pollastrini 

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