Il fatto
Alcuni
dipendenti dell'Azienda di Servizi alla Persona (A.S.P.) "Golgi-Redaelli",
lamentando che il tempo necessario per indossare e svestire l’obbligatoria divisa di lavoro
(circa 10 minuti per ciascuna operazione) non fosse loro retribuito, si erano
rivolti al Giudice del lavoro di Milano chiedendo che tali frazioni temporali
venissero considerate orario di lavoro e, come tale, retribuite. In base a tale
assunto, richiedevano, inoltre, la
corresponsione dei compensi dovuti dal 1 gennaio 1995 al 30 novembre 2000.
Svolgimento del processo
In seguito al
rigetto del ricorso dal parte del Tribunale, i lavoratori si erano rivolti alla
Corte di Appello di Milano che ne aveva invece accolto le richieste,
condannando il datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive
maturate per il titolo dedotto.
In base alle
risultanze istruttorie, la Corte di Appello aveva rilevato che il tempo necessario
per indossare e dismettere gli indumenti di lavoro rientrasse nella prestazione
e che, nella fattispecie, non essendo stato esso computato nell'orario di
lavoro, dovesse essere remunerato con la normale retribuzione. Ritenuto che le
dette operazioni di vestizione e vestizione avessero una durata media
giornaliera di dieci minuti, accoglieva la domanda solo per coloro che erano
tenuti ad indossare gli indumenti di lavoro in relazione alle mansioni svolte.
Contro questa
sentenza, l’azienda aveva proposto ricorso per cassazione.
Per il
ricorrente la Corte di Appello non
avrebbe considerato che dall'istruttoria era emerso che i dipendenti fossero
soliti indossare gli indumenti di lavoro solo dopo aver timbrato il cartellino
di ingresso, dismettendoli prima di timbrare il cartellino di uscita, quindi, durante
l'orario di lavoro.
A detta del
datore di lavoro, non vi era alcuna
obbligazione della timbratura del
cartellino di ingresso a vestizione avvenuta, pertanto, la Corte d'appello,
affermando che dette operazioni fossero avvenute durante l'orario di lavoro, avesse enunciato un concetto non corretto, atteso che per
"orario di lavoro" deve intendersi il periodo di tempo in cui il
lavoratore si trovi a disposizione del datore e nell'esercizio delle sue
attività e funzioni.
In sostanza, la
controdeduzione aziendale si incentrava sul fatto che l'istruttoria avesse
evidenziato che non vi fosse alcun obbligo di indossare la divisa fin
dall'inizio del turno e che i lavoratori, indossando gli abiti da lavoro dopo
aver timbrato il cartellino di ingresso e lasciando, altresì, il servizio
qualche minuto prima della scadenza del turno per poter dismettere la divisa, nei
fatti erano soliti far rientrare simili operazioni all’interno dell'orario di
lavoro retribuito.
Il ricorrente
contestava inoltre alla Corte territoriale la liquidazione equitativa fissata nella
durata media giornaliera (dieci minuti) del tempo necessario per indossare e
dismettere la divisa di lavoro. I tempi, invece, avrebbero dovuto essere
determinati in seguito ad un’apposita
consulenza tecnica ed il corrispondente importo retributivo avrebbe dovuto tener conto delle effettive presenze in
servizio, al netto delle assenze.
La decisione della Corte di Cassazione
Nell’affrontare
la questione, la Suprema Corte ha preliminarmente ricordato che la vestizione degli indumenti di
lavoro (e, più in generale, della divisa aziendale) costituisce un'operazione
preparatoria della prestazione di lavoro e ad essa strumentale. La Cassazione
ha quindi richiamato la consolidata giurisprudenza
che impone, al fine di valutare se il
tempo occorrente per tale operazione debba essere retribuito o meno, l’esame della
disciplina contrattuale specifica. In particolare, ove sia il lavoratore a
poter scegliere tempo e luogo per indossare
la divisa (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi
al lavoro), tali operazioni rientrano negli atti di diligenza preparatoria allo
svolgimento dell'attività lavorativa, e, come tali, il tempo necessario per il loro
compimento non deve essere retribuito. Diverso invece, se le modalità esecutive
di dette operazioni siano imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo
ed il luogo di esecuzione. In questo caso tali periodi rientrano nelle fasi di lavoro effettivo e, di conseguenza, il tempo necessario deve essere retribuito.
Questo principio
trova, tra l’altro, piena conferma nell'interpretazione fornita dalla stessa
Cassazione a proposito dell'art. 5 del
contratto collettivo per i lavoratori delle industrie metalmeccaniche - per la
quale "sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva
prestazione" - nel senso che sono da ricomprendere nella nozione di lavoro
"effettivo" anche le attività preparatorie allo svolgimento dell'attività
lavorativa e quelle successive alla prestazione, ove siano etero-dirette dal
datore di lavoro, e che, come tali, dette attività debbono essere retribuite
nella misura contrattuale prevista per la prestazione.
Nell’analisi di
merito la Cassazione sconfessa però la Corte di Appello che, pur aderendo alla
corretta impostazione di diritto, è giunta alla sua pronunzia sulla base di una
incompleta considerazione del materiale probatorio acquisito nel corso dell'istruttoria.
Nell’affermare
che, nel caso di specie, le operazioni di vestizione e svestizione, non fossero
avvenute all’interno dell'orario di lavoro, non aveva tenuto esaurientemente
conto delle risultanze della prova testimoniale
ed, in particolare, delle dichiarazioni di quei testi che avevano dichiarato
che l'Azienda non imponesse alcun obbligo di indossare la divisa fin dall'inizio
del turno e che i lavoratori, dopo aver timbrato, fossero soliti recarsi negli spogliatoi, dove indossavano la divisa,
e solo dopo si recavano al reparto, lasciando altresì il servizio qualche
minuto prima della scadenza del turno per poter dismettere la divisa durante
l'orario di lavoro.
Nel corso del
giudizio di merito, la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre un raffronto
tra queste dichiarazioni e le risultanze
dei cartellini-orario, con riferimento agli orari di timbratura all'ingresso ed
all'uscita e all'orario di inizio e conclusione dei turni di lavoro.
L'esame della
Corte d'appello, pertanto, risulta carente su un punto essenziale, ovvero se esistesse l'obbligo - nascente da specifica
disposizione del datore di lavoro - di indossare la divisa fin dall'orario di inizio del turno, oppure, se
fosse consentito ai lavoratori di indossarli in un momento successivo
all'inizio della prestazione. Analoga carenza si rileva per il momento della
svestizione, non risultando con certezza se i dipendenti potessero dismettere
gli indumenti di lavoro prima della fine del turno o dovessero attendere la sua
conclusione.
Questa carenza dovrà
essere colmata dal giudice di merito in sede di rinvio, attraverso il riesame
delle testimonianze e di tutte le risultanze documentali acquisite in
istruttoria.
La Corte di
Cassazione ha disposto pertanto il rinvio della causa alla Corte di Appello di
Milano che, in diversa composizione, previa gli accertamenti indicati, dovrà
applicare il seguente principio di diritto:
il tempo occorrente per la vestizione e
la svestizione degli indumenti di lavoro rientra nell'orario di lavoro
effettivo, e deve essere retribuito come tale, ove dette operazioni, con
apposita disciplina del momento e del luogo di esecuzione, siano imposte dal
datore di lavoro, mentre non deve essere retribuito ove la scelta di momento e
luogo sia lasciata al lavoratore.
Valerio
Pollastrini
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