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domenica 22 settembre 2013

Gli estremi che configurano la violazione dell’obbligo di fedeltà


Nella sentenza n.19096 del 9 agosto 2013 la Corte di Cassazione ha tracciato in maniera estensiva i limiti degli obblighi di fedeltà posti a carico del lavoratori nei confronti dell’azienda, includendo tra le ipotesi legittimanti il licenziamento la semplice partecipazione del dipendente alla costituzione di una società il cui oggetto sociale evidenzi una futura attività concorrenziale con quella del datore di lavoro.


Il fatto
La “Cedisa”,  azienda impegnata nel campo sanitario, aveva licenziato un proprio dipendente, dopo averne accertato la partecipazione   alla costituzione della  “Pegasus”, società per la gestione di un centro medico.

Il lavoratore aveva impugnato il provvedimento dinnanzi al Tribunale di Salerno, precisando che, al momento del licenziamento, la “Pegasus” non avesse ancora iniziato l'attività.

 
I giudizi di merito
Nel primo grado di giudizio, il Tribunale aveva annullato il licenziamento. Tale decisione era stata però  integralmente riformata dalla Corte di Appello di Salerno, che, di contro, aveva ritenuto legittimo il recesso, giudicando la costituzione della “Pegasus” come potenzialmente produttiva di danno per la “Cedisa”.

Il lavoratore aveva, pertanto, proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte salernitana per vizi di motivazione e violazione di legge.

 
La pronuncia della Cassazione
Nel rigettare il ricorso, confermando la legittimità del licenziamento, la Suprema Corte ha ricordato quanto più volte affermato  a proposito dell'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato.

I principi generali di correttezza e buona fede, sanciti dagli  artt. 1175 e 1375 cod. civ., impongono al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente.  Ai finì della violazione del correlato obbligo di fedeltà, incombente sul lavoratore ai sensi  dell’art. 2105 cod. civ., risulta sufficiente la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno (1).

Più volte la Cassazione ha precisato che la costituzione, da parte di un lavoratore,  di una società per lo svolgimento della medesima attività economica del datore di lavoro deve valutarsi come potenzialmente produttiva di danno ed integri così la violazione del dovere di fedeltà (2).

Sempre traendo spunto dai propri precedenti, la Corte ha ribadito che l’obbligo di fedeltà impone al lavoratore di astenersi dal porre in essere, non soltanto i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 cod. civ., ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (3).  

L’obbligo di fedeltà deve dunque essere interpretato in considerazione del suo collegamento con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., dai quali deriva l'obbligo di astensione  da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le  possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (4).  

In relazione al caso di specie, l’analisi riepilogativa dei precedenti della giurisprudenza di legittimità  ha indotto la Suprema Corte a ritenere violato l'obbligo di fedeltà anche in presenza di una condotta di mera predisposizione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro.

La Corte ha osservato  come l’estensione della violazione dell'art. 2105 cod. civ. ad attività solo potenzialmente lesive non costituisca un processo alle intenzioni.

In sostanza, l’analisi relativa al rispetto dell’obbligo di fedeltà non può limitarsi esclusivamente all’attività concreta e alla sua lesività attuale, dovendosi parimenti spingersi alle azioni sintomatiche di un atteggiamento mentale del dipendente in aperto contrasto con la leale collaborazione posta a fondamento del rapporto di lavoro (5).

La Corte, in conclusione, ha affermato come anche la semplice possibilità del verificarsi di effetti dannosi per gli interessi del datore di lavoro, sia, di per sé, idonea ad integrare gli estremi dell'intenzionalità dell'infrazione.

 
Valerio Pollastrini

(1) - Cass. sent n. 12489 del 2003;

(2) - Cass. sent n.6654 del 2004, n. 16377 del 2006;

(3) -  Cass. n. 2474 del 2008;

(4) - Cass. n. 6957 del 2005; v. pure Cass. n. 14176 del 2009;

(5) - Cass. nn. 1143 e 7427 del 1995, n. 512 del 1997, n. 8208 del 1998, nn. 7990 e 13906 del 2000;

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