Nei giorni scorsi su
questo blog avevamo commentato la sentenza n.4509 del 2012, con la quale la
Cassazione aveva riconosciuto l'effetto benefico della c.d. pausa caffè. In
quella occasione la Suprema Corte aveva affermato che una breve interruzione
della prestazione lavorativa puo' essere
tollerata, a patto che sia limitata a pochi minuti.
A distanza
di qualche mese la Corte e' tornata ad occuparsi della questione, stabilendo
questa volta che l'allontanamento per una pausa caffè può legittimare il
licenziamento del dipendente nel caso in cui da essa derivi un rallentamento dell'attività lavorativa.
Nella
sentenza n.7829 del 28 marzo 2013 la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il
licenziamento irrogato dal Credito Emiliano ad un impiegato di banca che aveva abbandonato la postazione di lavoro
per andare al bar senza alcun permesso, nonostante in quel momento vi fossero
ben quindici clienti in fila.
In realta' la sanzione espulsiva era stata addotta in seguito ad una serie di infrazioni reiterate in un brevissimo lasso di tempo dallo stesso dipendente. Quest'ultimo il giorno precedente si era allontanato dal posto di lavoro senza aver effettuato le operazioni di chiusura della cassa, mentre sei giorni prima si era rifiutato di eseguire un'operazione richiesta da un cliente prevista dal manuale che la banca aveva predisposto per tutti i dipendenti.
In realta' la sanzione espulsiva era stata addotta in seguito ad una serie di infrazioni reiterate in un brevissimo lasso di tempo dallo stesso dipendente. Quest'ultimo il giorno precedente si era allontanato dal posto di lavoro senza aver effettuato le operazioni di chiusura della cassa, mentre sei giorni prima si era rifiutato di eseguire un'operazione richiesta da un cliente prevista dal manuale che la banca aveva predisposto per tutti i dipendenti.
Il
lavoratore aveva contestato il licenziamento, lamentando che la sua funzione di rappresentante sindacale aziendale,
oltre ai diversi giudizi promossi in precedenza contro il datore di lavoro per
la tutela dei suoi diritti, l'avrebbero
di fatto reso inviso alla banca.
Per quanto
riguarda la mancata effettuazione dell'operazione richiesta dal cliente, il
lavoratore licenziato contestava l'assenza
della prova della consegna del manuale
operativo aziendale. L'allontanamento risalente al giorno prima dell'ultima
infrazione, a suo dire, sarebbe invece rientrato in una prassi interna che lo
consentiva senza bisogno di chiederne il
permesso.
Inoltre,
per la difesa del lavoratore la pausa
caffè presso il bar non avrebbe causato alcun pregiudizio sui quindici clienti in attesa, se non un
leggero ritardo nelle operazioni, vista anche la contemporanea operativita' di altre
casse.
La Corte di
Cassazione, investita della questione, ha ricordato che "la giusta causa di licenziamento di un
cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere apprezzata
con riguardo non soltanto all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma
anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell'interesse pubblico
alla sana e prudente gestione del credito. Né il rigoroso rispetto delle regole
di maneggio del denaro può essere sostituito da non meglio specificate regole
di buon senso, inidonee ad assicurare la conservazione del denaro della banca e
dei clienti".
La presenza di una pluralita' di casse operative non esclude che l'allontanamento del lavoratore per la pausa caffè possa rallentare il servizio, vista la confluenza dei 15 clienti in attesa nelle file, comunque cospicue, presso gli altri sportelli.
La presenza di una pluralita' di casse operative non esclude che l'allontanamento del lavoratore per la pausa caffè possa rallentare il servizio, vista la confluenza dei 15 clienti in attesa nelle file, comunque cospicue, presso gli altri sportelli.
Oltre alla
conferma della legittimita' del suo licenziamento, il dipendente del Credito Emiliano e' stato condannato dalla Cassazione al pagamento di
3.500 euro per le spese processuali.
Valerio
Pollastrini
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