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lunedì 1 aprile 2013

Quando la pausa caffè puo' costare il licenziamento


Nei giorni scorsi su questo blog avevamo commentato la sentenza n.4509 del 2012, con la quale la Cassazione aveva riconosciuto l'effetto benefico della c.d. pausa caffè.   In quella occasione la Suprema Corte aveva affermato che una breve interruzione della prestazione lavorativa  puo' essere tollerata, a patto che sia limitata a pochi minuti.

A distanza di qualche mese la Corte e' tornata ad occuparsi della questione, stabilendo questa volta che l'allontanamento per una pausa caffè può legittimare il licenziamento del dipendente nel caso in cui da essa derivi un  rallentamento dell'attività lavorativa.

Nella sentenza n.7829 del 28 marzo 2013 la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato dal Credito Emiliano ad un impiegato di banca  che aveva abbandonato la postazione di lavoro per andare al bar senza alcun permesso, nonostante in quel momento vi fossero ben quindici clienti in fila.

In realta' la sanzione espulsiva era stata addotta in seguito ad una serie di infrazioni reiterate in un brevissimo lasso di tempo dallo stesso dipendente. Quest'ultimo il giorno precedente si era allontanato dal posto di lavoro senza aver effettuato le operazioni di chiusura della cassa, mentre sei giorni prima si era rifiutato di eseguire  un'operazione richiesta da un cliente prevista dal  manuale che la banca aveva predisposto per tutti i dipendenti.
Il lavoratore aveva contestato il licenziamento, lamentando  che la sua  funzione di rappresentante sindacale aziendale, oltre ai diversi giudizi promossi in precedenza contro il datore di lavoro per la tutela dei suoi diritti, l'avrebbero  di fatto reso inviso alla banca.

Per quanto riguarda la mancata effettuazione dell'operazione richiesta dal cliente, il lavoratore licenziato contestava  l'assenza della prova della consegna  del manuale operativo aziendale. L'allontanamento risalente al giorno prima dell'ultima infrazione, a suo dire, sarebbe invece rientrato in una prassi interna che lo consentiva  senza bisogno di chiederne il permesso.
Inoltre, per la  difesa del lavoratore la pausa caffè presso il bar non avrebbe causato alcun pregiudizio  sui quindici clienti in attesa, se non un leggero ritardo nelle operazioni, vista anche la contemporanea operativita' di altre casse.

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha ricordato che "la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere apprezzata con riguardo non soltanto all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell'interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Né il rigoroso rispetto delle regole di maneggio del denaro può essere sostituito da non meglio specificate regole di buon senso, inidonee ad assicurare la conservazione del denaro della banca e dei clienti".

La presenza di una pluralita' di casse operative non esclude che  l'allontanamento del lavoratore per la pausa caffè possa  rallentare il servizio, vista la confluenza dei 15 clienti in attesa nelle file, comunque cospicue, presso gli altri sportelli.

Oltre alla conferma della legittimita' del suo licenziamento, il dipendente  del Credito Emiliano  e' stato  condannato dalla Cassazione al pagamento di 3.500 euro per le spese processuali.

Valerio Pollastrini

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