La Corte di
Cassazione, nella sentenza n.3179 dell'11 febbraio 2013, ribadisce il principio
che consente al datore di lavoro di punire l’infrazione del dipendente esclusivamente con una sanzione
commisurata alla gravita' della condotta accertata.
Un dipendente
dell'Azienda Municipale Ambiente di Roma nel giugno 2003, dopo avere ottenuto un permesso per recarsi
presso l'ufficio infortuni dell'azienda, ubicato in luogo diverso e distante da
quello presso il quale prestava servizio, si era assentato dal posto di lavoro
dalle 8,49 alle 11,24.
Da un
successivo controllo era emerso che lo stesso non si era recato presso il luogo
indicato. Conseguentemente l'azienda, dopo averlo sottoposto a procedimento
disciplinare, aveva provveduto al suo licenziato.
Il Tribunale
di Roma aveva rigettato il ricorso con il quale il lavoratore aveva chiesto
l'annullamento del licenziamento per l'eccessività
della sanzione inflittagli.
La Corte di
Appello di Roma aveva successivamente riformato integralmente la decisione di
primo grado, ravvisando una violazione
del principio di proporzionalità, anche alla luce di quanto indicato nel codice
disciplinare interno.
L'azienda
aveva quindi proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della
Corte di Appello per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema
Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che nel corso della precedente
istruttoria era emerso che il lavoratore si era assentato dal lavoro senza
giustificazione per poco meno di tre ore e che la tale condotta non era tale da
costituire un inadempimento cosi' grave da giustificare il licenziamento.
La durata non
eccessiva della mancata prestazione, associata al basso livello di
inquadramento del dipendente, corrispondente a mansioni per le quali non e'
richiesto un elevato grado di affidamento
e fiducia, era tale da escludere disagi
o disfunzioni nell'organizzazione aziendale.
Il codice
disciplinare aziendale, inoltre, valutava come passibile di licenziamento solamente le assenze
ingiustificate di durata superiore a cinque giorni consecutivi.
Le assenze di
durata inferiore, pari ad una giornata, erano invece configurate tra le
violazioni comportanti la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre
giorni, che possono condurre al licenziamento solo dopo
l’applicazione di almeno due sanzioni conservative irrogate nel recente
passato.
Riguardo alle soste
prolungate in pubblici esercizi, all'irreperibilità sul posto di lavoro o all'inattività,
lo stesso codice disponeva la
sospensione da 1 a 10 giorni.
Trovarsi al di
fuori della propria area di lavoro era altresi'
considerata una circostanza aggravante che poteva causare il licenziamento
solamente in seguito alla irrogazione,
per fatti medesimi, di sanzioni minori di entita' progressiva a partire da
quella di un solo giorno di sospensione.
A detta della
Corte, la valutazione della proporzionalità tra licenziamento disciplinare
e addebito contestato compete al giudice di merito, la cui valutazione non è
censurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione sufficiente e non
contraddittoria.
Nella fattispecie in esame la Corte di Appello
aveva escluso tale proporzionalità ed aveva valutato la gravità
dell'inadempimento del lavoratore e l'adeguatezza della sanzione con una motivazione esauriente e, pertanto, non passibile di censura
Valerio
Pollastrini
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