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giovedì 7 marzo 2013

L'assenza ingiustificata del lavoratore non giustifica il licenziamento


La Corte di Cassazione, nella sentenza n.3179 dell'11 febbraio 2013, ribadisce il principio che consente al datore di lavoro di punire l’infrazione  del dipendente esclusivamente con una sanzione commisurata alla gravita' della condotta accertata.

Un dipendente dell'Azienda Municipale Ambiente di Roma nel giugno 2003,  dopo avere ottenuto un permesso per recarsi presso l'ufficio infortuni dell'azienda, ubicato in luogo diverso e distante da quello presso il quale prestava servizio, si era assentato dal posto di lavoro dalle 8,49 alle 11,24.

Da un successivo controllo era emerso che lo stesso non si era recato presso il luogo indicato. Conseguentemente l'azienda, dopo averlo sottoposto a procedimento disciplinare, aveva provveduto al suo licenziato.

Il Tribunale di Roma aveva rigettato il ricorso con il quale il lavoratore aveva chiesto l'annullamento del  licenziamento per l'eccessività della sanzione inflittagli.

La Corte di Appello di Roma aveva successivamente riformato integralmente la decisione di primo grado, ravvisando  una violazione del principio di proporzionalità, anche alla luce di quanto indicato nel codice disciplinare interno.

L'azienda aveva quindi proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della Corte di Appello per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha osservato che nel corso della precedente istruttoria era emerso che il lavoratore si era assentato dal lavoro senza giustificazione per poco meno di tre ore e che la tale condotta non era tale da costituire un inadempimento cosi' grave da giustificare il licenziamento.

La durata non eccessiva della mancata prestazione, associata al basso livello di inquadramento del dipendente, corrispondente a mansioni per le quali non e' richiesto un elevato grado di affidamento e fiducia, era tale da escludere  disagi o disfunzioni nell'organizzazione aziendale.

Il codice disciplinare aziendale, inoltre, valutava  come passibile di  licenziamento solamente le assenze ingiustificate di durata superiore a cinque giorni consecutivi.

Le assenze di durata inferiore, pari ad una giornata, erano invece configurate tra le violazioni comportanti la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni, che possono condurre al licenziamento  solo dopo  l’applicazione di almeno due sanzioni conservative irrogate nel recente passato.  

Riguardo alle soste prolungate in pubblici esercizi, all'irreperibilità sul posto di lavoro o all'inattività,  lo stesso codice disponeva la sospensione da 1 a 10 giorni.

Trovarsi al di fuori della propria area di lavoro  era altresi' considerata una circostanza aggravante che poteva causare il licenziamento solamente in seguito alla  irrogazione, per fatti medesimi, di sanzioni minori di entita' progressiva a partire da quella di un solo giorno di sospensione.

A detta della Corte, la valutazione della  proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato compete al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria.

 Nella fattispecie in esame la Corte di Appello aveva escluso tale proporzionalità ed aveva valutato la gravità dell'inadempimento del lavoratore e l'adeguatezza della sanzione con una  motivazione esauriente e, pertanto, non  passibile di censura

Valerio Pollastrini

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