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mercoledì 6 marzo 2013

Limiti al potere di adibire il lavoratore ad altre mansioni


Con la sentenza n.3668 del 14 febbraio 2013 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, torna ad occuparsi dei limiti al potere datoriale  di adibire il lavoratore ad altre mansioni.

Il caso e' quello che ha riguardato un medico chirurgo della ULSS 12 di Venezia, che, in seguito alle rimostranze dei colleghi, era stato assegnato in via ordinaria ad attività di corsia e di ambulatorio, senza  servizi di guardia medica e di reperibilità.

 La sua attività chirurgica avrebbe dovuto essere svolta, d'ora in avanti, in affiancamento al primario che ne ha disposto il mutamento di mansioni.

Nel primo grado di giudizio il Tribunale di Venezia aveva accolto il ricorso con il quale il lavoratore  aveva lamentato il demansionamento in violazione dell'art. 2103 cod. civ. ed aveva chiesto  la condanna della ULSS 12 a reintegrarlo nelle mansioni precedenti e a risarcirgli il danno.

Riformando la decisione di primo grado, la Corte di Appello aveva invece  condannato il lavoratore a restituire quanto percepito in forza della sentenza del Tribunale.

Il chirurgo ha dunque proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte veneziana per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte, nell'accogliere le sue richieste, ha richiamato preliminarmente  i fatti  accertati nei precedenti giudizi.

Il 6 giugno 2000  il primario , in seguito alle lamentele dei colleghi, aveva emesso un ordine di servizio con il quale aveva adibito il ricorrente, in via ordinaria, ad attività di corsia e di ambulatorio, esonerandolo dai servizi di guardia medica e di reperibilità, e ne aveva disposto l'attività chirurgica sotto la sua diretta supervisione.

Il 13 marzo 2003 il capo dipartimento di chirurgia aveva evidenziato in una relazione che il ricorrente non partecipava  alla vita del reparto, e che lo stesso non effettuava né visite né turni di guardia e reperibilità e neppure svolgeva attività negli ambulatori divisionali.

Con un ordine di servizio del 3 luglio 2003 il primario della U.O. chirurgica aveva disposto che il lavoratore riprendesse tutte le attività istituzionali, a partire dal 15 luglio 2003. Quest'ultima data era stata poi spostata al 1° settembre 2003,  in seguito al formale dissenso espresso dai colleghi.

Secondo la Cassazione la Corte d'Appello, pur avendo accertato i fatti, non ha espresso alcuna valutazione sugli sviluppi successivi al provvedimento del primario del giugno 2000, dai quali si evince che il ricorrente si è trovato a svolgere un tipo di attività di gran lunga inferiore, per quantità e qualità, rispetto alla qualifica rivestita, tanto da giustificare l'esigenza di prevederne una reintegrazione nel proprio ruolo e nei compiti istituzionali.

Questi fatti avevano indotto il Giudice di primo grado ad accogliere parzialmente il ricorso del lavoratore, con conseguente reintegrazione dello stesso e condanna della ULSS 12 Veneziana al risarcimento del danno professionale da demansionamento.

La Corte territoriale, nel maturare la propria decisione, si e' erroneamente limitata a valutare le ragioni di "incompatibilità ambientale" senza minimamente considerare i motivi che hanno determinato l'incisivo esautoramento delle mansioni del professionista.

L'incompleta ricostruzione della Corte di Appello  ha indotta erroneamente quest’ultima a ritenere a che il ricorrente sarebbe stato in realtà esonerato soltanto dalle mansioni meno gratificanti, come se per quest'ultimo fosse stata creata una "nicchia privilegiata" per limitarne le problematiche personali in costante conflitto con i colleghi.

Per la Corte di Cassazione il ricorso deve dunque essere accolto in quanto l'analisi compiuta dalla Corte d'appello di Venezia ha omesso degli elementi che avrebbero potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata, con cio' viziando  sul piano logico-formale e della correttezza giuridica  la stessa sentenza.

Valerio Pollastrini

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