Con la sentenza
n.3668 del 14 febbraio 2013 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, torna ad
occuparsi dei limiti al potere datoriale
di adibire il lavoratore ad altre mansioni.
Il caso e' quello che
ha riguardato un medico chirurgo della ULSS 12 di Venezia, che, in seguito alle
rimostranze dei colleghi, era stato assegnato in via ordinaria ad attività di
corsia e di ambulatorio, senza servizi
di guardia medica e di reperibilità.
Nel primo grado di
giudizio il Tribunale di Venezia aveva accolto il ricorso con il quale il
lavoratore aveva lamentato il
demansionamento in violazione dell'art. 2103 cod. civ. ed aveva chiesto la condanna della ULSS 12 a reintegrarlo
nelle mansioni precedenti e a risarcirgli il danno.
Riformando la
decisione di primo grado, la Corte di Appello aveva invece condannato il lavoratore a restituire quanto
percepito in forza della sentenza del Tribunale.
Il chirurgo ha dunque
proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte veneziana
per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte, nell'accogliere
le sue richieste, ha richiamato preliminarmente
i fatti accertati nei precedenti
giudizi.
Il 6 giugno 2000 il primario , in seguito alle lamentele dei
colleghi, aveva emesso un ordine di servizio con il quale aveva adibito il
ricorrente, in via ordinaria, ad attività di corsia e di ambulatorio,
esonerandolo dai servizi di guardia medica e di reperibilità, e ne aveva
disposto l'attività chirurgica sotto la sua diretta supervisione.
Il 13 marzo 2003 il
capo dipartimento di chirurgia aveva evidenziato in una relazione che il
ricorrente non partecipava alla vita del
reparto, e che lo stesso non effettuava né visite né turni di guardia e
reperibilità e neppure svolgeva attività negli ambulatori divisionali.
Con un ordine di
servizio del 3 luglio 2003 il primario della U.O. chirurgica aveva disposto che
il lavoratore riprendesse tutte le attività istituzionali, a partire dal 15
luglio 2003. Quest'ultima data era stata poi spostata al 1° settembre
2003, in seguito al formale dissenso espresso dai colleghi.
Secondo la Cassazione
la Corte d'Appello, pur avendo accertato i fatti, non ha espresso alcuna
valutazione sugli sviluppi successivi al provvedimento del primario del giugno
2000, dai quali si evince che il ricorrente si è trovato a svolgere un tipo di
attività di gran lunga inferiore, per quantità e qualità, rispetto alla
qualifica rivestita, tanto da giustificare l'esigenza di prevederne una
reintegrazione nel proprio ruolo e nei compiti istituzionali.
Questi fatti avevano
indotto il Giudice di primo grado ad accogliere parzialmente il ricorso del
lavoratore, con conseguente reintegrazione dello stesso e condanna della ULSS
12 Veneziana al risarcimento del danno professionale da demansionamento.
La Corte
territoriale, nel maturare la propria decisione, si e' erroneamente limitata a
valutare le ragioni di "incompatibilità ambientale" senza minimamente
considerare i motivi che hanno determinato l'incisivo esautoramento delle
mansioni del professionista.
L'incompleta
ricostruzione della Corte di Appello ha
indotta erroneamente quest’ultima a ritenere a che il ricorrente sarebbe stato
in realtà esonerato soltanto dalle mansioni meno gratificanti, come se per
quest'ultimo fosse stata creata una "nicchia privilegiata" per
limitarne le problematiche personali in costante conflitto con i colleghi.
Per la Corte di
Cassazione il ricorso deve dunque essere accolto in quanto l'analisi compiuta
dalla Corte d'appello di Venezia ha omesso degli elementi che avrebbero potuto
condurre ad una decisione diversa da quella adottata, con cio' viziando sul piano logico-formale e della correttezza
giuridica la stessa sentenza.
Valerio Pollastrini
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