A sette mesi dall'entrata in vigore della Riforma
del lavoro, nulla si muove per quanto riguarda l'attuazione delle poche norme
positive introdotte nel mare di restrizioni
che hanno solamente favorito la contrazione dell'occupazione.
Se il 18 luglio dello scorso anno sono entrate in
vigore tutte le disposizioni penalizzanti per imprese e lavoratori della legge
n.92, la riduzione contributiva del 50%, prevista per favorire l'occupazione di
donne e ultracinquantenni, e' stata differita al gennaio del 2013.
Assistiamo oggi a continue promesse elettorali che,
da ogni parte, rivolgono alle stesse categorie progetti mirati alla risoluzione delle difficolta' nel
trovare un impiego quando basterebbe solo applicare la legge.
La famigerata riduzione contributiva, infatti,
rimane ad oggi inapplicabile a causa dei necessari decreti e circolari
ministeriali che, come al solito, quando servono tardano ad arrivare. Si tratta
di una cosa normale? Non certo in uno stato di diritto.
Altro dato di fatto e' che la riduzione delle tutele
previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, relative ai
licenziamenti per le aziende con più di 15 dipendenti, non ha generato
occupazione ma solo conflitto sociale. A cio' si aggiunga che le imprese tutte
dal primo gennaio 2013 sono costrette, per ogni licenziamento, a pagare un pesante
contributo aggiuntivo per finanziare l'Aspi. Si tratta del sostegno al reddito
che ha sostituito, aumentandone l'importo, le vecchie indennita' di disoccupazione.
Un trattamento più elevato per chi perde il lavoro va, ovviamente, giudicato
positivamente. Il Biasimo e' dovuto al fatto che la copertura finanziaria
aggiuntiva sia stata imposta, invece che
alla fiscalita' generale, interamente alle aziende che, ormai ovunque, faticano
ad andare avanti.
In conclusione, lavoratori, artigiani e piccole imprese viaggiano
ormai sulla stessa barca mentre il tempo scorre e la riva sembra sempre più
distante.
Valerio Pollastrini
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