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martedì 14 agosto 2012

Licenziamento per motivi economici

La riforma del lavoro, tra le altre cose, ha ribattezzato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con la nuova dizione "per motivi economici".
Si tratta di quei recessi che esulano da eventuali "colpe" dei prestatori di lavoro e che fanno ricondurre la loro ragione nelle esigenze organizzative aziendali.
A titolo esemplificativo, si citano, tra i recessi rientranti in questa fattispecie, le riduzioni del personale in seguito alla riorganizzazione aziendale, alle contrazioni dell'attività lavorativa o alla soppressione di un reparto aziendale.
Il licenziamento, in questi casi, deve essere giustificato da ragioni, per l'appunto, di natura "economica" e l'individuazione del lavoratore interessato dal provvedimento deve garantire la massima "oggettività" dei criteri di scelta.
Il nostro ordinamento fin dagli anni '60 ha previsto un duplice regime di tutela, fondato esclusivamente sui requisiti dimensionali dell'azienda.
Secondo la vecchia formulazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il licenziamento illegittimo comportava a carico del datore di lavoro l'obbligo di reintegrare il lavoratore nonché quello di corrispondere a quest'ultimo un risarcimento del danno.
Tale disposizione, allora come oggi, risultava applicabile ai datori di lavoro con più' di 15 lavoratori nello stesso Comune o più' di 60 in tutto il territorio nazionale. Per le aziende agricole tale limite era ridotto fino all'importo complessivo di 5 unità lavorative.
Per le aziende con personale inferiore ai suddetti parametri, o per le c.d. "Organizzazioni di tendenza" (partiti politici, associazioni sindacali...) la protezione dei lavoratori dall'illegittimità del licenziamento era affidata ad una "tutela minore", stante l'inapplicabilità nei confronti di quest'ultime del predetto articolo 18.
In questo caso, il licenziamento operato nel rispetto delle procedure formali (per iscritto), quand'anche dichiarato illegittimo, era, di per se, idoneo a concludere definitivamente il rapporto di lavoro. Al lavoratore licenziato era preclusa ogni possibilità di pretendere la reintegra. Tale opzione, semmai, poteva essere offerta dal datore di lavoro in luogo di un risarcimento del danno quantificato dal giudice in una misura compresa tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione globale di fatto.
La "tutela minore" di cui si e' detto, ha contribuito negli anni a definire le aziende escluse dall'ambito di applicazione dell'articolo 18 come operanti in un'area di "libera recedibilità".
La legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro ha introdotto diverse novità all'istituto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per quanto riguarda le conseguenze dovute ad un licenziamento illegittimo, il nuovo impianto normativo conferma un doppio regime di tutela fondato esclusivamente sul requisito dimensionale aziendale e lascia invariata la misura del risarcimento economico dovuto dalle "aziende minori": tra 2,5 e 6 mensilità.
Del tutto stravolto invece il contenuto dell'articolo 18, nel quale la reintegrazione sul posto di lavoro e' ora diventata una mera "eccezione".

Conseguenze di un licenziamento "economico" nelle aziende con più' di 15 dipendenti in un Comune, più' di 60 dipendenti in tutto il territorio nazionale e più' di 5 dipendenti per i datori di lavoro agricolo
La nuova formulazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori dispone, nei in cui il licenziamento sia dichiarato illegittimo perché privo degli estremi del giustificato motivo oggettivo, la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Il legislatore ha previsto, inoltre, una sanzione più' mite quando l'illegittimità sia dovuta a vizi procedurali e formali nell'irrogazione del licenziamento.
Per la mancata indicazione dei motivi nella lettera di recesso ovvero per la violazione della procedura di conciliazione preventiva, di cui si dirà in seguito, al lavoratore dovrà essere erogata  un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità.
L'unico caso in cui viene 'salvato' il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro attiene all'accertata manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Al verificarsi di tale ipotesi, il giudice dovrà inoltre condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito dal lavoratore in altra attività lavorativa svolta tra il licenziamento e la reintegra, ovvero quanto lo stesso avrebbe potuto percepire se si fosse impegnato diligentemente nella ricerca di un altro lavoro.

Novità procedurali introdotte dalla riforma

Necessaria indicazione dei motivi: in passato, i datori di lavoro, nell'operare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, avevano il solo obbligo di comunicare il recesso al lavoratore per iscritto. La compiuta indicazione dei motivi determinanti il licenziamento doveva essere fornita solamente in seguito ad una espressa richiesta del lavoratore.
La novità consiste ora nella necessità di indicare - a pena di inefficacia - i suddetti motivi nella lettera di licenziamento.
E' necessario sottolineare che il presente obbligo e' rivolto a tutti i datori di lavoro, a prescindere da quale sia il numero dei lavoratori occupati in azienda.

Preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione
Esclusivamente per le aziende rientranti, per requisito dimensionale, nell'ambito di applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e' stato introdotto, nel caso di un licenziamento "economico", l'obbligo di esperire un preventivo tentativo di conciliazione.
Il datore di lavoro dovrà inoltrare una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro  (e, per conoscenza, al lavoratore interessato) attestando la volontà di irrogare un licenziamento per ragioni oggettive, elencandone i motivi e le eventuali misure di outplacement prospettate al lavoratore.
Entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta, la Dtl dovrà convocare le parti per esperire un tentativo di conciliazione che  dovrà concludersi entro i successivi 20 giorni.
Decorsi inutilmente i predetti termini,  il datore di lavoro potrà effettuare il licenziamento.
Da notare che la procedura in commento consente di favorire la conciliazione
concedendo al lavoratore, disposto a non impugnare il recesso, la nuova indennità di sostegno al reddito introdotta dalla riforma. Ciò in deroga alla disciplina ordinaria in materia di Aspi.
Per evitare il rischio di un dilatamento dei tempi a causa di un'eventuale malattia del lavoratore, il legislatore ha previsto che il licenziamento, intimato all'esito della procedura di conciliazione,  acquisti efficacia dal giorno della comunicazione alla Dtl con la quale la procedura e' stata avviata.

Operatività
Tutte le disposizioni oggetto del presente articolo si applicano ai licenziamenti irrogati successivamente al 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della riforma.

Valerio Pollastrini

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