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domenica 12 agosto 2012

Le nuove tutele in materia di licenziamenti

Nell'ambito della riforma del lavoro, la tematica che ha suscitato maggiori interessi e' stata senza dubbio quella legata alle modifiche alla disciplina dei licenziamenti.
Tra le polemiche emerse fin dalla redazione del disegno di legge, il maggiore risalto e' stato attribuito alla "rivisitazione" dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ciò e' naturalmente comprensibile, vista anche l'importanza sociale che la norma ha rivestito in oltre 40 anni di operatività, al punto da essere eretta, a giusto titolo, a vero e proprio baluardo delle garanzie di tutela dei lavoratori subordinati. Il sua impianto normativo e' stato completamente stravolto e non vi e' dubbio che le modifiche risultano penalizzanti per la stabilità dei rapporti di lavoro.
La riforma però non si e' limitata alla modifica dell'articolo 18,  rivolto, ora come nel passato, ai datori di lavoro che occupano più' di 15 dipendenti nello stesso Comune, 60 nel territorio nazionale o 5 per le aziende agricole.
Le novità hanno investito l'istituto del licenziamento nel suo complesso ed hanno riguardato disposizioni normative, come la legge 604/1966, destinate alla totalità dei lavoratori, anche quelli occupati nelle piccole aziende.
Nel presente articolo sono state riportate in via generale le novità. Nei prossimi giorni verranno analizzate compiutamente le singole fattispecie di licenziamento e, soprattutto, verranno riepilogate le diverse discipline in funzione dell'applicabilità o meno dell'articolo 18.

Modifiche generali
La riforma e' intervenuta sulla legge 604/1966 concernente le regole generali in materia di licenziamenti. Tale disposizione ne stabilisce i requisiti di forma, i tempi e le modalità di comunicazione, come anche i termini per l'impugnazione e altro ancora.

Motivi del licenziamento
La riforma ha introdotto l'obbligo di indicare, a pena di inefficacia, i motivi del licenziamento contestualmente alla sua comunicazione al lavoratore.
In passato i motivi potevano essere comunicati successivamente al recesso e dopo esplicita richiesta del lavoratore entro determinati limiti temporali.

Azione giudiziaria
Il licenziamento, come e' noto, deve essere impugnato dal lavoratore entro 60 giorni dalla sua irrogazione.
Nel 2010 il c.d. "Collegato lavoro" aveva introdotto un termine di 270 giorni per la
proposizione dell'azione giudiziaria, decorrente dalla data di impugnazione.
Tale termine e' stato ora ridotta a 180 giorni.

Tentativo obbligatorio di conciliazione
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le aziende con più' di 15 dipendenti a tempo pieno nel comune o più' di 60 sul territorio nazionale sono ora costrette a promuovere, prima dell'irrogazione del recesso, un tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla Direzione territoriale del lavoro.

Data del recesso
I licenziamenti disciplinari, vale a dire i recessi  intimati alla fine di un procedimento disciplinare, maturano ora la loro efficacia dal giorno della comunicazione di avvio del procedimento.
La data di licenziamento sarà pertanto coincidente con quella nella quale il lavoratore ha ricevuto la comunicazione della  contestazione disciplinare.
I periodi di lavoro successivi all'avvio del procedimento verranno considerati come preavviso lavorato.
E' necessario sottolineare che questa disposizione si applica a tutti i datori di lavoro, a prescindere dal requisito dimensionale.

Le modifiche all'articolo 18 della legge 300/1970
L'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e' stato completamente stravolto dalla riforma.
Come specificato in precedenza si tratta del regime di tutela contro i licenziamenti illegittimi nell'ambito dei datori di lavoro che occupino più' di 15 dipendenti nel Comune o più' di 60 sul territorio nazionale o più di 5 nel settore agricolo.

Revoca del licenziamento
Ad ogni datore di lavoro viene ora concessa la possibilità di revocare il licenziamento entro 15 giorni dall'eventuale impugnazione del lavoratore. In tal caso il rapporto di lavoro risulterà come se non fosse mai stato interrotto. Ciò significa che al lavoratore dovranno essere erogate le retribuzioni non percepite dal licenziamento alla ripresa del servizio.
In caso di revoca del recesso, il lavoratore dovrà rientrare in servizio. Un eventuale rifiuto verrà considerato come assenza ingiustificata e sarà passibile di licenziamento all'esito di un conseguente procedimento disciplinare.

Reintegrazione e indennità
Nei casi in cui, dinnanzi all'accertato diritto alla reintegrazione, il  lavoratore opti per l'indennità economica sostitutiva, il rapporto si considererà estinto non più' con il pagamento dell'indennità, ma con la comunicazione dell'esercizio dell'opzione.
Per quanto riguarda le conseguenze del licenziamento illegittimo, la vecchia disciplina imponeva al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore  con pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso alla reintegra. Tale somma non poteva, in ogni caso essere inferiore all'equivalente di cinque mensilità.
Il lavoratore, in questa circostanza, poteva optare, in luogo della reintegrazione,  per un'indennità economica sostitutiva pari a 15 mensilità.
La disciplina ora elencata rimane in vigore unicamente per le seguenti ipotesi:
1) Licenziamento discriminatorio. Si tratta di quei licenziamenti la cui reale motivazione sia dettata da  ragioni inerenti al credo politico, alla fede religiosa, all’appartenenza sindacale o di razza, di lingua, di sesso, di handicap, di età, di orientamento sessuale o di convinzioni personali;
2) Licenziamento nullo perché in concomitanza con il matrimonio;
3) Licenziamento nullo perché in violazione dei divieti a sostegno della maternità e paternità;
4) Licenziamento riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante, come ad esempio il licenziamento per ritorsione;
5) Licenziamento orale.
La particolare tutela contro queste particolari fattispecie di licenziamento non e' soggetta ad alcun limite dimensionale dell'azienda. Essa si applica, pertanto, a tutti i datori di lavoro.
Dal confronto con il passato, ne risulta accentuata la tutela dei lavoratori contro il licenziamento verbale. I datori di lavoro esclusi dall'ambito di applicazione dell'articolo 18 (quelli, per intenderci, con meno di 16 o 60 dipendenti) potevano contare su un meccanismo di favore che, in caso di licenziamento orale, li obbligava a pagare al lavoratore solamente le retribuzioni maturate successivamente alla formale messa a disposizione delle energie lavorative di quest’iltimo.

Retribuzioni maturate fra recesso e reintegra
In caso di licenziamento nullo o illegittimo, il legislatore ha precisato che dalle retribuzioni maturate dal lavoratore tra il recesso e la reintegra dovranno essere detratti gli eventuali compensi percepiti per altra attività lavorativa nonché quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.
E' stato inoltre specificato che i contributi relativi alle retribuzioni maturate nelle more della reintegra non saranno aggravati dalle sanzioni per omessa o ritardata contribuzione.

Licenziamento disciplinare
In caso di licenziamento disciplinare, il nuovo articolo 18 prevede tre diverse forme di tutela.
1: nei casi in cui il giudice ritenesse insussistente il fatto contestato o tale fatto rientrasse tra le condotte punibili dai contratti collettivi o dai codici disciplinari applicabili con una sanzione più' lieve del licenziamento, il lavoratore avrà diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.
Rispetto al passato non e' prevista una misura minima del risarcimento, mentre
e' stata introdotta la misura massima di 12 mensilità. Resta fermo il diritto al versamento dei contributi per l'intero periodo non lavorato.
2: "nelle altre ipotesi" in cui il giudice accertasse che non ricorrono gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, il licenziamento avrà comunque prodotto la sua efficacia interruttiva. Il rapporto di lavoro sarà dichiarato risolto senza alcuna possibilità di reintegra. Al lavoratore spetterà unicamente un'indennità fra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità di retribuzione.
3: nel caso in cui il licenziamento sia stato adottato in violazione delle regole procedurali (mancato rispetto dei termini e altre violazioni formali), il rapporto sarà comunque dichiarato risolto e al lavoratore spetterà unicamente un'indennità variabile fra sei e 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.

Licenziamento per motivi economici

Si tratta del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Con la riforma, anche per tale fattispecie la reintegrazione diviene un’ipotesi residuale. La regola generale prevede, nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti.
Meno pesante il rischio per quei licenziamenti economici che presentino semplici vizi procedurali e formali. La mancata indicazione dei motivi nella lettera di recesso ovvero la violazione della procedura di conciliazione preventiva, comporterà in favore del lavoratore   un’indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità.
La reintegrazione spetta soltanto nei casi in cui venga accertata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In tale caso il giudice dovrà annullare il licenziamento e condannare il datore alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione.


Decorrenza della prescrizione
Tra le conseguenze delle modifiche  all'articolo 18 della legge 300/1970, dovranno essere chiarite quelle relative al regime della decorrenza della prescrizione.
Finora e' stato pacifico  che la prescrizione inizi a decorrere in costanza di rapporto solo per i lavoratori che godano di un regime di stabilità reale. Mentre resti sospesa fino alla fine del rapporto per i dipendenti delle piccole imprese.
Il discrimine era pertanto costituito dall'applicabilità o meno al datore di lavoro dell'articolo 18.
Venuta meno la possibilità di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, sembra logico che la decorrenza della prescrizione debba ora ritenersi sospesa in costanza di rapporto anche per le grandi imprese.

Risarcimento del danno
Per il calcolo del risarcimento del danno si dovrà ora fare riferimento all'"ultima" retribuzione globale di fatto. Restano pertanto esclusi gli aumenti contrattuali eventualmente intercorsi successivamente al licenziamento.

Il rito speciale per le controversie di lavoro
Il legislatore ha introdotto uno specifico procedimento in materia di licenziamenti. L'intento e' quello di velocizzare i tempi  circoscrivendo l'oggetto della discussione.

Valerio Pollastrini


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