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lunedì 8 febbraio 2016

Dalla Fondazione Studi Cdl una guida sui nuovi contratti di collaborazione

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Circolare n.4/2016

LE NUOVE COLLABORAZIONI
DOPO IL DECRETO LEGISLATIVO N.81 DEL 2015

Il 1° gennaio 2016 è entrata pienamente a regime la nuova regolamentazione relativa alle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n.81, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.144 del 24 giugno 2015.

L’articolo n.52 del decreto ha previsto l’abrogazione degli articoli da 61 a 69-bis del decreto legislativo n.276 del 2003.

La nuova disciplina, dunque, supera il contratto di lavoro a progetto e il lavoro occasionale (cfr. art. 61 D.Lgs. n.276/2003), nonché le presunzioni operanti in relazione alle altre prestazioni rese in regime di lavoro autonomo (cfr. art. 69-bis D.Lgs. n.276/2003).

Il legislatore ha introdotto una doppio binario in relazione alle collaborazioni:

1) già in atto alla data di entrata in vigore del decreto (25 giugno 2015);

2) stipulate dal 25 giugno 2015.

Al riguardo si richiamano le precedenti circolari sul tema diffuse dalla Fondazione Studi n. 13/2015 (http://www.consulentidellavoro.it/index.php/sitiistituzionali/ fs/circolari) e l’approfondimento del 15 dicembre 2015 (http://www.consulentidellavoro.it/index.php/sitiistituzionali/ fs/approfondimenti).

COLLABORAZIONI IN CORSO AL 25 GIUGNO 2015
L’articolo 52 prevede che la previgente disciplina sul lavoro a progetto (ovvero gli articoli da 61 a 69-bis del D.Lgs. n.276/2003) continua ad applicarsi per i contratti già in atto alla data di entrata in vigore del decreto.

Ciò significa, in particolare, che il legislatore ha previsto una ultrattività delle norme che regolano i contratti di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto in corso di esecuzione.

Come evidenziato dalla Fondazione Studi nella circolare n.13 del 25 giugno 2015, per i contratti a progetto già in essere è consentita la proroga, se funzionale alla realizzazione del progetto, talché risulta possibile che il contratto a progetto possa produrre effetti anche oltre l’entrata in vigore del decreto. In alternativa, è possibile concludere il contratto a progetto in scadenza per poi stipulare, con il medesimo lavoratore, un nuovo contratto di collaborazione coordinata e continuativa come consentito dalle nuove regole anche senza soluzione di continuità.

Il contratto a progetto in corso al 25 giugno 2015, ovvero quello prorogato, qualora lo fosse ancora al 1° gennaio 2016, dovrà comunque rispettare anche i requisiti indicati nell’art. 2, comma 1 del decreto (oltre a quelli dell’art. 2094 del c.c.), per non incorrere nell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato (v. infra).

COLLABORAZIONI DAL 25 GIUGNO 2015
Dal 25 giugno 2015, è consentito stipulare i contratti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 del cpc. (cfr. art.52, comma 2, D.Lgs.n.81/2015) a tempo determinato o indeterminato.

Dal 1° gennaio 2016, tuttavia, la norma prevede che “si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche alle collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi ai luoghi di lavoro”.

Come chiarito dalla Fondazione Studi con la circolare 13/2015, il legislatore con l’articolo 2 del D.Lgs. n.81 del 2015, interviene per contrastare l’abuso ma attraverso una modalità differente rispetto a quelle adottate in passato.

Infatti, la riforma Biagi ha cercato di intervenire valorizzando le differenti caratteristiche tra il lavoro subordinato e la collaborazione autonoma attraverso l’obbligo di indicare in contratto (e riscontrare in concreto) un risultato specifico che rappresenta una caratteristica essenziale del lavoro autonomo. Mentre, il decreto 81/2015 tende a spostare l’indice di valutazione sulle modalità organizzative adottate dall’azienda, attribuendo le medesime tutele previste per i lavoratori subordinati, anche a quelle forme di collaborazione (con o senza partita iva) che per caratteristiche di tempo e di luogo (e quindi per i profili organizzativi) sono sostanzialmente assimilabili al lavoro subordinato.

A tal fine occorre individuare quali siano le collaborazioni che, potenzialmente, rientrano nell’ambito di applicazione della nuova disciplina.

Si tratta, in particolare, delle:

-         collaborazioni coordinate e continuative;

-         collaborazioni coordinate e continuative a progetto in corso di esecuzione alla data del 25 giugno 2015 ed ancora in corso al 1° gennaio 2016;

-         prestazioni rese in regime di lavoro autonomo anche da titolari di partita iva.

Se tali prestazioni presentano congiuntamente tutti gli elementi che il legislatore ha individuato (art.2, comma 1), ad esse si applica la disciplina del lavoro subordinato.

Gli elementi che debbono ricorrere sono i seguenti:

1. prestazione esclusivamente personale. Ciò sta a significare che se il collaboratore si avvale di ulteriori collaboratori, il requisito non ricorre. Non si applicano le nuove regole di etero organizzazione nel caso in cui il collaboratore possa attuare una clausola di sostituibilità nel caso di suo impedimento a svolgere la prestazione di lavoro.

2. prestazione continuativa. Vale a dire che la stessa non deve essere caratterizzata da occasionalità e quindi l’interesse della prestazione deve essere durevole. Occasionalità, peraltro, non significa che la stessa prestazione non possa essere resa più volte ma che l’oggetto della stessa si realizzi in relazione alla singola prestazione;

3. le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Pertanto, non è possibile la programmazione unilaterale della prestazione in ordine ai tempi ed anche al luogo di lavoro da parte del committente in quanto tali ipotesi, ove ricorrano congiuntamente, porterebbero alla presenza dei requisiti previsti dall’articolo 2.

Viceversa, appare legittima la possibilità di fasce orarie all’interno delle quali il collaboratore, autonomamente, potrà rendere la propria prestazione nel luogo messo a disposizione del committente.

Quanto al concetto di luogo di lavoro si ritiene debba intendersi ampio.

Ovvero qualsiasi luogo presso il quale il collaboratore deve rendere la prestazione, che sia nella disponibilità o comunque riferibile o individuato dal committente, anche se non coincidente con la sede aziendale.

In presenza dei requisiti indicati, che debbono ricorrere congiuntamente (ovvero, prestazione esclusivamente personale, continuativa e con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento sia ai tempi che al luogo di lavoro), la legge dispone una presunzione di applicazione della disciplina di lavoro subordinato.

Rimane peraltro l’onere della prova a carico del lavoratore ovvero dei terzi interessati circa la sussistenza dei suddetti requisiti in quanto non dovrà essere il committente a doverne dimostrare l’assenza, anche se il legislatore, al fine di prevenire possibili rischi di errata valutazione, ha previsto la possibilità per le parti di ricorrere alla certificazione (v. infra).

LA DISCIPLINA APPLICABILE
Il legislatore utilizza una accezione ampia quanto alle conseguenze derivanti dall’applicabilità della nuova disciplina.

La sussistenza dei requisiti della etero organizzazione comporta il mantenimento del contratto di collaborazione stipulato, ma allo stesso si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Non pare semplice individuare quale sia la disciplina applicabile. A tal fine, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella circolare n.3 dell’1 febbraio 2016, conviene che “la formulazione utilizzata dal Legislatore”, è “di per sé generica”, ma afferma che ciò significa che “ lascia intendere l’applicazione di qualsivoglia istituto, legale e contrattuale (ad es. trattamento retributivo, orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutele avverso i licenziamenti illegittimi ecc.), normalmente applicabile in forza di un rapporto di lavoro subordinato.“.

In ogni caso si ritiene che le tutele riguardino il lavoratore interessato e pertanto non producano effetti ai fini aziendali. Ne consegue che le collaborazioni etero organizzate non si computano nella base occupazionale dell’azienda ogniqualvolta la norma o il contratto collettivo faccia riferimento ai lavoratori subordinati.

LE ESCLUSIONI
La nuova disciplina della etero organizzazione non trova applicazione nei casi di seguito indicati:

a) collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore. I requisiti affinché si renda applicabile l’esclusione riguardano gli agenti negoziali: occorre che il livello che abbia proceduto alla conclusione dell’accordo collettivo sia quello nazionale. Su tale aspetto si segnala altresì il chiarimento del Ministero del Lavoro con l’Interpello n.27/2015 nel quale ha confermato che “l’eventuale applicazione di un diverso contratto collettivo non impedirà l’applicazione dell’art. 2”.Da notare che il legislatore richiede che gli accordi collettivi individuino anche il requisito finalistico, ovvero che la stipula sia avvenuta in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore.

b) collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali; il requisito soggettivo del collaboratore è che lo stesso sia iscritto all’albo professionale previsto dalla legge e che svolga attività rientrante nell’ambito della professione medesima. In questa ottica si ritiene che non rientrino nella fattispecie eventuali iscrizioni del collaboratore ad elenchi tenuti dalle camere di commercio locale;

c) attività prestate nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Su tale ipotesi, il Ministero del Lavoro, ha chiarito che debbano essere ricomprese non solo le collaborazioni coordinate e continuative rese in favore delle Associazioni sportive e delle Società sportive dilettantistiche ma anche quelle rese in favore del CONI, delle Federazioni Sportive nazionali, delle discipline associate e degli Enti di promozione sportiva (Interpello n.6/2016).

CERTIFICAZIONE
Il legislatore, al fine di consentire alle parti di prevenire i rischi derivanti da un non corretto inquadramento contrattuale della tipologia di lavoro che si intende avviare, ha previsto la possibilità per le stesse di richiedere la certificazione dell’assenza dei requisiti anche di etero organizzazione.

In particolare, il comma 2 dell’articolo 2, assegna alle Commissioni (ex articolo 76 del decreto legislativo n. 276 del 2003) proprio tale compito ovvero la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1.

La prerogativa riguarda dunque tutte le Commissioni di Certificazione istituite ai sensi della citata disposizione e, tra esse, quelle costituite presso i Consigli provinciali degli Ordini dei consulenti del lavoro, capillarmente presenti sul territorio, alle quali le parti potranno quindi rivolgersi.

Si tratta di una funzione nuova per le suddette Commissioni che si aggiunge a quelle già esistenti.

Le parti potranno chiedere anche la certificazione dell’intero contratto ai fini di valutare non solo l’assenza dei requisiti previsti dall’art.2, comma 1 citato, ma anche la conformità della tipologia contrattuale prescelta con l’effettiva modalità di svolgimento del lavoro.

E’ previsto che il lavoratore possa farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Non è escluso che anche il committente possa validamente farsi assistere da un appartenente alle medesime categorie legittimate ad affiancare il lavoratore.

Il dettato normativo ribadisce quindi il ruolo di terzietà del consulente del lavoro il quale può assistere, nel procedimento, sia il committente che il collaboratore.

La certificazione potrà riguardare sia i rapporti da instaurare che quelli già instaurati.

L’articolo 79 del decreto legislativo n.276 del 2003, prevede infatti che gli effetti si producono dal momento di inizio del contratto, ove la Commissione abbia appurato che l'attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede.

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Come espressamente previsto dal comma 4 dell’articolo 2 del decreto, la disposizione non trova applicazione fino al completo riordino della disciplina dell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni.

In ogni caso, dal 1° gennaio 2017 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

STABILIZZAZIONE
L’articolo 54 del decreto legislativo n.81 del 2015 ha previsto la possibilità di stabilizzazione agevolata dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di soggetti titolari di partita IVA.

I vantaggi consistono nella estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione.

La stabilizzazione agevolata è prevista a partire dal 1° gennaio 2016: si tratta di una norma che entra nell’ordinamento in modo permanente e dunque, il processo di stabilizzazione può essere attivato in qualunque momento salvo quanto di seguito precisato.

La stabilizzazione prevede l’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale.

L’assunzione può avvenire a prescindere dalla data in cui il contratto di collaborazione coordinata e continuativa o altra tipologia per la quale è prevista la stabilizzazione, si sia concluso.

La norma infatti si limita ad affermare che i soggetti assunti siano stati già parti ma non anche che lo siano ancora al momento della stabilizzazione.

Al fine di consentire, come anzidetto, l’estinzione degli illeciti debbono essere rispettate le seguenti specifiche condizioni:

1) i lavoratori interessati alle assunzioni sottoscrivano, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile, o avanti alle commissioni di certificazione;

2) nei dodici mesi successivi alle assunzioni i datori di lavoro non debbono recedere dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

E’ previsto che vengano fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente alla assunzione.

Pertanto non si potrà beneficiare della sanatoria nel caso la procedura di stabilizzazione venga avviata successivamente all’accesso ispettivo e quindi all’inizio dell’accertamento, come confermato anche dal Ministero del Lavoro (circ. n. 3/2016).

Come già evidenziato dalla Fondazione Studi col parere n.3 del 25 novembre 2015, l’assunzione anche se frutto di stabilizzazione ai sensi dell’articolo 54 non preclude l’accesso alle agevolazioni previste dall’articolo 1, comma 178 della legge n.208/2015.

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