Nel 2014 si attesta al 28,3% la stima delle persone a
rischio di povertà o esclusione sociale residenti in Italia, secondo la
definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020. L'indicatore
corrisponde alla quota di popolazione che sperimenta almeno una delle seguenti
condizioni: rischio di povertà (calcolato sui redditi 2013), grave deprivazione
materiale e bassa intensità di lavoro (calcolata sul numero totale di mesi lavorati
dai componenti della famiglia durante il 2013).
Nel 2014 le persone a rischio di povertà sono stimate pari
al 19,4%, quelle che vivono in famiglie gravemente deprivate l'11,6%, mentre le
persone appartenenti a famiglie dove l'intensità lavorativa è bassa
rappresentano il 12,1%.
L'indicatore del rischio povertà o esclusione sociale rimane
stabile rispetto al 2013: la diminuzione della quota di persone in famiglie
gravemente deprivate (la stima passa dal 12,3% all'11,6%) viene infatti
compensata dall'aumento della quota di chi vive in famiglie a bassa intensità
lavorativa (dall'11,3% al 12,1%); la stima del rischio di povertà è invece
invariata1.
Per il secondo anno consecutivo, il calo della grave
deprivazione è determinato dal fatto che scendono le quote di individui in
famiglie che, se lo volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico
adeguato ogni due giorni (dal 13,9% al 12,6%), una settimana di ferie all'anno
lontano da casa (dal 51,0% al 49,5%) o una spesa imprevista pari a 800 euro (dal
40,2% al 38,8%).
La stima della grave deprivazione diminuisce soprattutto nel
Mezzogiorno, tra i single e le coppie (soprattutto se anziani) e tra le coppie
con un solo figlio, anche minore. Ancora grave la condizione dei genitori soli,
delle famiglie con almeno tre minori o di altra tipologia, famiglie, queste
ultime, che tra il 2013 e il 2014 hanno mostrato un ulteriore deterioramento
della loro condizione (dal 15,9% al 20,2%).
L'aumento della bassa intensità lavorativa ha riguardato, in
particolare, gli individui in famiglie che vivono nel Mezzogiorno (la stima va
dal 18,9% al 20,9%) o in famiglie numerose: coppie con figli (dall'8,3% al
9,7%), soprattutto minori (dal 7,5% all'8,9%), e famiglie con membri aggregati
(dal 17,8% al 20,5%).
La stima dei redditi delle famiglie si riferisce al 2013 e
mostra stabilità rispetto all'anno precedente. Le uniche informazioni
disponibili sulla dinamica reddituale tra il 2013 e il 2014 sono quelle diffuse
dalla contabilità nazionale e segnalano un leggero aumento in termini di
ammontare e una sostanziale stabilità in termini pro-capite.
Nel 2013, si stima che la metà delle famiglie residenti in
Italia abbia percepito un reddito netto2 non superiore a 24.310 euro l'anno
(circa 2.026 euro al mese); questo valore scende a 20.188 euro nel Mezzogiorno
(circa 1.682 euro mensili).
Le famiglie con tre o più percettori hanno un reddito
mediano nel 2013 quasi triplo delle monoreddito (44.900 contro 16.690 euro),
mentre quelle con fonte principale da lavoro dipendente dispongono di circa 10
mila euro in più di quelle che vivono prevalentemente di pensione o
trasferimenti pubblici (29.527 contro 19.441 euro).
Nel Mezzogiorno, ai più bassi livelli di reddito si associa
anche una maggiore disuguaglianza: nel 2013, la stima dell'indice di Gini, pari
a 0,296 a livello nazionale, nel Mezzogiorno si attesta a 0,305.
Il 20% più ricco delle famiglie residenti in Italia
percepisce il 37,5% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta solo il
7,7%.
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