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venerdì 27 novembre 2015

Dai Consulenti del Lavoro una guida sulla Riforma delle sanzioni tributarie penali

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Circolare n.23 del 26 novembre 2015

Premessa
Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n.158 dà attuazione ad una delle deleghe previste dalla legge 11 marzo 2014, n.23 ed in particolare a quella di cui all’articolo 8, comma 1, in materia di revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti e alla revisione del sistema sanzionatorio amministrativo.

La circolare analizza le novità relative alle modifiche alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario.

Le novità sono numerose e vanno sia nella direzione di un innalzamento dei limiti previsti per la rilevanza penale della condotta del contribuente (es. in materia di sostituti di imposta il limite in caso di ritenute certificate sale da 50 a 150 mila euro) che nell’allargamento delle ipotesi sanzionatorie (es. omessa dichiarazione del sostituto d’imposta quando l’ammontare delle imposte non versate supera 50 mila euro).

Va peraltro rilevato che il provvedimento, pur intervenendo in diversi aspetti della disciplina sanzionatoria penale non stravolge l’impianto regolatorio esistente, contenuto nel decreto legislativo 10 marzo 2000, n.74, nel quale si collocano le nuove norme.

1. Reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
L’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, stabiliva che "È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi".

L’art. 2 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 interviene sul presupposto oggettivo del reato di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", valevole ai soli fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, ampliando il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini del medesimo reato tributario, sino ad oggi circoscritto alle dichiarazioni presentate in relazione ad un determinato periodo di imposta.

Nello specifico, l’art. 2 del D.Lgs. n. 158 del 2015 eliminala parola "annuali" dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 74 del 2000, con l’effetto che il reato tributario de quo potrà configurarsi con riferimento a tutte le dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, comprese quelle non annuali, cioè che si riferiscono ad un periodo diverso dall’anno.

Tra le dichiarazioni non annuali, ad esempio, si possono annoverare le seguenti dichiarazioni:

a)     la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui si determinano gli effetti dello scioglimento di una società (cfr. l’art. 5, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rubricato "Dichiarazione nei casi di liquidazione");

b)    la dichiarazione dei redditi relativa al risultato finale delle operazioni di liquidazione(cfr. l’art. 5, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rubricato "Dichiarazione nei casi di liquidazione"); la dichiarazione dei redditi relativa alla residua frazione del predetto periodo di imposta ove la procedura di liquidazione si prolunga oltre il periodo d'imposta nel corso del quale è iniziata (cfr. l’art. 5, comma 2, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rubricato "Dichiarazione nei casi di liquidazione");

c)     la dichiarazione dei redditi relativa alla frazione di esercizio compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la trasformazione di una società di capitali in una società di persona o viceversa (cfr. l’art. 5-bis, comma 1, del D.P.R. n. 322 del 1998, rubricato "Dichiarazione nei casi di trasformazione, di fusione e di scissione");

d)    la dichiarazione dei redditi relativa alla frazione di esercizio delle società fuse o incorporate compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la fusione, se non si è optato per la retrodatazione degli effetti fiscali all’inizio dello stesso periodo (cfr. l’art. 5-bis, comma 2, del D.P.R. n. 322 del 1998) (NOTA 1);

e)     la dichiarazione dei redditi relativa alla frazione del periodo di imposta della società sottoposta a scissione totale, se non si è optato per la retrodatazione degli effetti fiscali all’inizio dello stesso periodo (cfr. l’art. 5- bis, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998);

f)      la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data di dichiarazione di fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione (cfr. l’art. 183 del D.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917 e art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998);

g)     la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di durata della procedura concorsuale (cfr. l’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998) e

h)    la dichiarazione IVA relativa alle operazioni registrate nella parte dell’anno solare anteriore alla dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa (cfr. l’art. 8, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998).

Gli Uffici Studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, a commento dell’art. 2 del D.Lgs. n. 158 del 2015, hanno evidenziato che, a seguito della novella recata all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000, la sanzione penale è estesa a «tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’IVA, comprese quelle presentate in occasione di operazioni straordinarie o nell’ambito di procedure concorsuali» (cfr., in tal senso, anche la circolare n. 331248 del 10 novembre 2015 del Comando Generale della Guardia di Finanza - III Reparto Operazioni - Ufficio Tutela Entrate - Sezione IVA e Federalismo Fiscale).

2. Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici
L’art. 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000 nel testo ante riforma, stabiliva che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici si commette quando al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento, il contribuente indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) ogni singola imposta evasa è superiore a trentamila euro; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti ad imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 5% di quelli dichiarati ovvero è superiore a un milione di euro.

La reclusione prevista è da un 1 anno e sei mesi a 6 anni.

Con riferimento all’art. 3 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, il legislatore delegato ha innanzitutto allargato la platea dei soggetti a cui tale fattispecie di reato è potenzialmente ascrivibile. Infatti, nella versione attualmente vigente vi è un richiamo letterale all’obbligo di tenuta delle scritture contabili che rende tale reato proprio dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili. Nella nuova versione invece il reato potrà essere commesso da chiunque sia tenuto ad una dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi includendo pertanto anche soggetti non titolari di partita iva. Con la direttiva del 10 novembre 2015 la Guardia di Finanza ha precisato che il reato di dichiarazione fraudolente mediante altri artifici commessi da un contribuente non obbligato alla tenuta delle scritture contabili, potrà applicarsi solo per i fatti commessi dopo il 22 ottobre 2015.

Come nel caso dell’art. 2 del decreto in commento, si procede all’ampliamento delle dichiarazioni rilevanti ai fini del reato, sino ad oggi circoscritto alle dichiarazioni annuali presentate in relazione a un determinato periodo di imposta. Pertanto, il reato tributario in commento potrà configurarsi anche con la presentazione di una dichiarazione diversa da quella annuale.

Inoltre, il legislatore definisce una condotta costitutiva del delitto semplificata rispetto alla versione precedente che presenta un carattere complesso, articolato in una "catena fraudolenta" composta da tre segmenti distinti: la non veritiera dichiarazione dei redditi o ai fini Iva, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, per giungere all'utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento. Con la modifica del comma 1, la struttura dell'illecito viene semplificata, tramite l'eliminazione dell'elemento della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie che oltre alle conseguenze da un punto di visto soggettivo già commentate, rende la condotta fraudolenta legata alla duplice condizione mezzi fraudolenti e falsa dichiarazione. In particolare, si precisa che la ratio della norma verte verso la considerazione dei "mezzi fraudolenti", nell’espressione della loro natura tipica, ovvero quella di ostacolare l'accertamento ed ingannare l'amministrazione finanziaria.

Si segnala, nel comma 1, lett. b) l’aumento della soglia di punibilità in riferimento all'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, che deve essere superiore non più ad un milione di euro, ma ad un milione cinquecentomila euro. Inoltre, si introduce un ulteriore possibilità per realizzare la condizione di cui alla lett. b) che "l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta, è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila".

Nel comma 2, ai fini della considerazione della commissione del fatto, si considerano "documenti falsi" sia i documenti registrati nelle scritture contabili obbligatorie sia quelli detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria, coerentemente con l’ampliata portata soggettiva del reato. Infine, il comma 3 chiarisce, che non rientra tra i "mezzi fraudolenti", la mera violazione degli obblighi di fatturazione o di emissione di altri documenti di rilievo probatorio analogo (scontrini fiscali, documenti di trasporto, ecc.) e di annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili, o la mera indicazione nelle fatture o nei documenti ovvero nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali.

3. Reato di dichiarazione infedele
L’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Dichiarazione infedele"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, prevedeva che "Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:

a)     l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila;

b)    l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni". Il "reato di dichiarazione infedele", pertanto, nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, presupponeva che il contribuente indicasse nella dichiarazione annuale dei redditi o dell’imposta sul valore aggiunto elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, a condizione che i) l’imposta evasa fosse superiore, con riferimento alle imposte sui redditi o all’imposta sul valore aggiunto, ad euro 50.000,00 e che ii) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, fosse superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, fosse superiore ad euro 2.000.000,00.

Il "reato di dichiarazione infedele", come emerge testualmente dalla relazione illustrativa del D.Lgs. n. 158 del 2015, viene ampiamente rivisto dall’art. 4 del medesimo decreto legislativo nell’ottica di un "alleggerimento della situazione attuale".

L’art. 4 del D.Lgs. n. 158 del 2015, nell’ottica di evitare un’eccessiva proliferazione dei reati di dichiarazione infedele e di mantenere un livello adeguato di sanzionabilità, interviene:

I.                   in primo luogo, ad innalzare sia la soglia di punibilità costituita dall’importo dell’imposta evasa, prevedendo che la dichiarazione infedele è penalmente rilevante se l’imposta evasa è superiore, con riferimento alle imposte sui redditi o all’imposta sul valore aggiunto, ad euro 150.000,00 (e non, come in precedenza, ad euro 50.000,00), sia la soglia di punibilità costituita dall’ammontare degli elementi attivi che devono essere sottratti all’imposizione, elevandola da 2 a 3 milioni di euro (cfr. le lettere a) e b));

II.                in secondo luogo, a prevedere che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si deve tener conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi e passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali;

III.             in terzo luogo, a prevedere che non danno luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che singolarmente considerate differiscono in misura inferiore al 10% da quelle corrette e che degli importi compresi entro tale percentuale di tolleranza non si deve tener conto nella verifica delle soglie di punibilità del reato di dichiarazione infedele;

IV.            in quarto luogo, il termine "fittizi" viene sostituito con il termine "inesistenti".

Il Legislatore delegato ha escluso dall’ambito oggettivo del reato di dichiarazione infedele quelle valutazioni giuridico - tributarie difformi da quelle corrette, visto l’ampio margine di opinabilità e di incertezza che connotano i risultati di dette valutazioni.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, in più occasioni, aveva incluso nell’espressione "elementi passivi fittizi" anche i costi effettivamente sostenuti dal contribuente ma che si presentavano fiscalmente indeducibili rispetto ad un determinato periodo di imposta, in quanto non inerenti o non di competenza (cfr.: Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 23 dicembre 2010, n. 45056; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 23 gennaio 2009, n. 3203), con l’effetto di creare «una sorta di "rischio penale" a carico del contribuente, correlato agli ampi margini di opinabilità e di incertezza" che possono connotare le valutazioni di inerenza e di competenza dei costi sostenuti (NOTA 2).

4. Reato di omessa dichiarazione
L’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Omessa dichiarazione"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, prevedeva, al comma 1, che "È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila" e, al comma 2, che "Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto".

L’art. 5 del D.Lgs. n. 158 del 2015 prevede, da un lato, l’innalzamento della soglia di punibilità del reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o della dichiarazione IVA e l’inasprimento della sanzione penale connessa a tale fattispecie delittuosa, e, dall’altro, il "nuovo" delitto di omessa presentazione della dichiarazione di sostituto di imposta, con l’introduzione del nuovo comma 1-bis.

Entrando nello specifico delle suddette modifiche, innanzitutto è previsto ora che "è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque [...]" (prima delle modifiche era invece prevista la sanzione penale da uno a tre anni).

Il novellato comma 1 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 dispone poi che il reato di omessa dichiarazione dei redditi o della dichiarazione IVA sussiste laddove l’imposta evasa sia superiore a 50.000,00, mentre in passato era sufficiente che l’imposta evasa superasse i 30.000,00.

Il nuovo comma 1-bis dell’art. 5 disciplina il reato di omessa presentazione della dichiarazione di sostituto di imposta, prevedendo che il sostituto d’imposta potrà essere imputato del reato in questione se l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro 50.000,00.

Cosi come per le dichiarazioni dei redditi e della dichiarazione IVA, la dichiarazione di sostituto d’imposta, stante il nuovo comma 2 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000, non si considera omessa se presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.

5. Reato di occultamento o distruzione di documenti contabili
L’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Occultamento o distruzione di documenti contabili"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, prevedeva, che "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari".

L’art. 6 del D.Lgs. n. 158 del 2015 innalza la pena del reato tributario in questione, elevando da 6 mesi ad un anno e 6 mesi la pena minima e da cinque a sei anni la pena massima.

6. Reato di omesso versamento delle ritenute
L’art. 10-bis del D.Lgs. 74 del 2000(rubricato "Omesso versamento di ritenute certificate"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, stabiliva che "E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta".

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, in vigenza di tale norma, si è divisa sulle modalità con cui il Pubblico Ministero possa dimostrare il rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente erogate ai sostituiti.

Secondo un primo orientamento, tale prova poteva essere fornita dal Pubblico Ministero anche attraverso il modello dichiarativo 770 presentato dal sostituto di imposta (cfr.: Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 15 settembre 2014, n. 37730; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 22 maggio 2014, n. 20778; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 12 maggio 2014, n. 19454; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 31 ottobre 2013, n. 44275). Secondo un altro orientamento, di più recente formazione, la prova dell’elemento costitutivo del reato di omesso versamento di ritenute certificate, rappresentato dal rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, non può essere costituita dal solo contenuto del modello dichiarativo 770 presentato dal sostituto di imposta (cfr.: Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 15 settembre 2015, n. 37075; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 12 marzo 2015, n. 10475; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 1° ottobre 2014, n. 40526).

Il contrasto giurisprudenziale appena richiamato ha spinto la Sezione III penale della Corte di Cassazione a rimettere la risoluzione della questione de qua nelle mani delle Sezioni Unite penali della medesima Suprema Corte, con l’ordinanza 25 maggio 2015, n. 21629.

Il legislatore delegato con l’art. 7 del D.Lgs. n. 158 del 2015, anticipando l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, la cui udienza si è svolta il 24 settembre 2015,chiarisce, come evidenzia la relazione illustrativa del decreto legislativo di riforma del sistema sanzionatorio, la "portata dell’omesso versamento di ritenute", stabilendo che l’omesso versamento penalmente rilevante può riguardare ritenute non versate risultanti dalla dichiarazione di sostituto di imposta o dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

Viene pertanto estesa la sanzione penale anche nelle ipotesi in cui la soglia rilevante a configurare l’ipotesi di reato venga superata sulla base della dichiarazione, a prescindere dalla circostanza che le ritenute risultino dalla certificazione effettivamente rilasciata al sostituito.

Il citato art. 7, inoltre, innalza la soglia di non punibilità del reato tributario de quo, da euro 50.000,00 a euro 150.000,00, con l’effetto che sino a 150.000,00 euro di ritenute non versate non potrà configurarsi il reato tributario in esame.

7. Omesso versamento di iva
L’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, nel testo vigente sino al 21 ottobre 2015, prevedeva la reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versasse l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, a condizione che l’importo dell’IVA non versata superasse euro 50.000,00.

L’art. 8 del D.Lgs. n. 158 del 2015, nel confermare gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa dell’omesso versamento di IVA, innalza da euro 50.000,00 ad euro 250.000,00 la soglia di non punibilità della condotta omissiva in questione, con l’effetto che l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo determina esclusivamente l’irrogazione di una sanzione amministrativa se l’importo non versato non supera euro 250.000,00.

8. Indebita compensazione
Nella versione attualmente in vigore dell’art. 10-quater del D. Lgs. n. 74 del 2000 è prevista la reclusione da sei mesi a due anni per chi utilizza in compensazione crediti non spettanti o inesistenti per un totale superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta. Il nuovo art. 10-quater introdotto dall’art. 9 del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 pur mantenendo invariato il quantum pari a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta, introduce una distinzione sostanziale, creando di fatto una nuova fattispecie di reato di indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10- quater, c. 2), differenziandola rispetto alla indebita compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater, c. 1). Quest’ultima fattispecie, continua ad essere punita con la reclusione da sei mesi a due anni, mentre per la fattispecie più grave di indebita compensazione di crediti inesistenti la reclusione prevista è da un anno e sei mesi a sei anni.

La nuova norma, perciò differenzia in maniera condivisibile le pene per l’utilizzo di crediti non spettanti da quelli inesistenti, inasprendo il regime sanzionatorio solo per questi ultimi. Tale differenziazione è giustificata dal fatto che l’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, sia considerata una fattispecie estremamente offensiva. L’inesistenza del credito, presuppone, un’azione con intento fraudolento maggiore, creando artificiosamente crediti mai esistiti al solo fine di non versare le imposte dovute.

Si precisa che, secondo quanto previsto dal nuovo articolo 13 del D. Lgs. n. 74 del 2000 "i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso".

Pertanto il reato in commento, nella sola fattispecie meno grave dell’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti risulta non punibile qualora il contribuente provveda all’integrale pagamento del debito tributario, comprese sanzioni ed interessi, entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Gli istituti utili a tale scopo sono il ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione o le procedure conciliative previste dall’ordinamento tributario.

Come affermato nella recente direttiva della Guardia di Finanza del 10 novembre 2015, nel caso di indebita compensazione di crediti inesistenti l'autorità giudiziaria potrà disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche nel corso delle indagini relative a tali delitti.

9. Confisca
L’art. 10 del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 introduce l’art. 12-bis rubricato "Confisca" nel D. Lgs. n. 74 del 2000. La norma di fatto è stata riformulata senza modificarne la portata sostanziale. Al fine di evitare incertezze applicative, è stato precisato che nel caso in cui sia in atto un sequestro per equivalente prodromico alla confisca venga consentito al contribuente di utilizzare quanto in sequestro per provvedere alla restituzione all’erario. Al comma 2 si precisa che la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.

All’interno dell’articolo 10 il legislatore avrebbe potuto precisare che, contrariamente a quanto ritenuto da prassi amministrativa e giurisprudenza di legittimità, nella nozione di "profitto" dell’evasione fiscale non devono intendersi ricomprese anche le sanzioni amministrative. Tale "cumulo", viola di fatto il principio di proporzionalità, che rappresenta uno dei criteri guida indicati dal legislatore delegante.

10. Pagamento del debito tributario e causa di non punibilità del reato
L’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015, sostituendo integralmente l’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Circostanza attenuante. Pagamento del debito tributario") in vigore sino al 21 ottobre 2015, introduce nel sistema penale tributario cause di non punibilità di alcune fattispecie di reato tributario.

Il "nuovo" comma 1 dell’art. 13 dispone che i reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000), di omesso versamento di IVA(10-ter)e di indebita compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1) (NOTA 3) non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, compresi gli interessi e le sanzioni, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

Il comma 1 dell’art. 11, pertanto, consente al contribuente di neutralizzare la rilevanza penale delle suddette condotte omissive attraverso la totale soddisfazione del credito erariale prima dell’inizio del processo penale. In questi casi, la condotta omissiva del contribuente sarà sanzionata solo in via amministrativa. Il "nuovo" comma 2 dell’art. 13 stabilisce che i reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione non sono punibili se i debiti tributari, compresi gli interessi e le sanzioni, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, a condizione che il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione avvengano prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche o dell’inizio di una qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Il "nuovo" comma 3 dell’art. 13 prevede che qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è concesso all’autore del reato di procedere all’estinzione del debito tributario residuo entro tre mesi, fermo restando, in questo caso, la sospensione della prescrizione. Il giudice penale, qualora lo ritenga necessario, ha la facoltà di prorogare per una sola volta il predetto termine trimestrale e per un periodo non superiore a tre mesi, fermo restando sempre la sospensione della prescrizione.

11. Circostanze del reato
L’art. 12 del D.Lgs. n. 158 del 2015 introduce nel D.Lgs. n. 74 del 2000 l’art. 13-bis, rubricato "Circostanze del reato".

Il comma 1 del nuovo art. 13-bis prevede che, al di fuori dei casi di non punibilità dei reati tributari,il pagamento integrale dei debiti tributari, ivi compresi gli interessi e le sanzioni amministrative,anche seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie determina la diminuzione fino alla metà delle pene previste e la non applicazione delle pene accessorie indicate nell’art. 12, a condizione che lo stesso pagamento avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

I delitti tributari potenzialmente interessati dalla riduzione a metà della pena sono: il reato di "dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti"; il reato di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici"; il reato di "occultamento o distruzione di documenti contabili" e il reato di "sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte".

Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, una previsione simile a quella recata dal comma 1 del "nuovo" art. 13-bis era contenuta, anche se con alcune differenze, nel previgente art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricato "Circostanza attenuante. Pagamento del debito tributario": a) le pene previste per i delitti tributari erano diminuite alla metà per i reati commessi sino al 16 settembre 2011 e ad un terzo per quelli commessi dal 17 settembre 2011; b) la riduzione di pena a seguito del pagamento integrale del debito tributario era prevista per tutti i delitti tributari, in quanto mancava una disposizione che prevedesse la non punibilità di alcuni reati tributari a seguito del pagamento integrale del debito tributario.

Anche con riguardo alla possibilità di accedere alla riduzione di pena opera il comma 3 del "nuovo" art. 13 del D.Lgs. 74 del 2000, esaminato nel precedente paragrafo, con l’effetto che se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, l’autore del reato può procedere all’estinzione del debito tributario residuo entro tre mesi, fermo restando, in questo caso, la sospensione della prescrizione. Il giudice penale, qualora lo ritenga necessario, ha la facoltà di prorogare per una sola volta il predetto termine trimestrale e per un periodo non superiore a tre mesi, fermo restando sempre la sospensione della prescrizione.

Il comma 3 del "nuovo" art. 13-bis prevede, invece, che per il correo le pene previste per i reati tributari sono aumentate della metà se egli partecipa alla commissione del reato nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale, svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione di modelli di evasione fiscale.

12. Custodia giudiziale dei beni sequestrati
L’art. 13 del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 introduce l’art. 18-bis rubricato "Custodia giudiziale dei beni sequestrati" nel D. Lgs. n. 74 del 2000.

Dando attuazione al criterio direttivo di cui all’ultima parte dell’articolo 8, comma 1, della legge delega, l’articolo 13 prevede che i beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti da detto decreto e ad ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possano essere affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell’amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. In maniera condivisibile, la nuova norma prevede l’utilizzo dei beni sequestrati per esigenze operative dell’amministrazione finanziaria.

Al secondo comma vengono fatte espressamente salve le disposizioni in materia di affluenza al "Fondo unico giustizia" delle somme di denaro sequestrate e dei proventi derivanti dai beni confiscati.

13. ABROGAZIONI
L’art. 14, prevede delle abrogazioni espresse relative al comma 143 dell’articolo 1 della legge n. 244 del 2007, in tema di confisca, in quanto trattasi di fattispecie definita nel nuovo articolo 12-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000. Inoltre, viene abrogato l’articolo 7 del decreto legislativo n. 74 del 2000, recante disposizioni in materia di "Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio" e l’articolo 16 del medesimo decreto che sancisce la non punibilità, di chi si sia uniformato al parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive, previsto dall’art. 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

14. Decorrenza
Un aspetto di particolare interesse della riforma delle sanzioni tributarie riguarda l’entrata in vigore della nuova disciplina.

Il decreto legislativo n.158 del 2015 è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2015 - Suppl. Ordinario n. 55, ma l’efficacia delle nuove disposizioni risulta in parte differita rispetto al 22 ottobre 2015, data di entrata in vigore del provvedimento.

Specificamente, l’art.23 si occupa della decorrenza degli effetti e, di converso, delle abrogazioni.

In particolare, è previsto che le disposizioni di cui al Titolo II del decreto - sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie - si applicano a decorrere dal 1°gennaio 2017.

Tuttavia, occorre considerare che dovrebbero applicarsi a decorrere dal 1° gennaio 2016 se il Parlamento confermerà la disposizione recata originariamente dall’art. 9, comma 11, primo periodo, del "Disegno di Legge di stabilità 2016" e confermata dall’art.1, comma 68 del maxiemendamento approvato dal Senato il 20 novembre scorso, che, nello stabilire che «All’articolo 32, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 le parole: "1° gennaio 2017" sono sostituite dalle seguenti: "1° gennaio 2016"», anticipa dal 1° gennaio 2017 al 1° gennaio 2016 l’entrata in vigore della riforma del sistema sanzionatorio amministrativo tributario.

Dal 22 ottobre 2015, in ogni caso, è entrata in vigore la disciplina prevista dal titolo I del d.lgs. n.158 del 2015 relativa alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario.

Di conseguenza, secondo quanto previsto dall’art. 25, comma 2, della Costituzione (NOTA 4), nonché dall’art.2 del Codice Penale (NOTA 5), si rendono pienamente applicabili i principi della retroattività della norma nel caso di abolitio criminis e del favor rei, così come la irretroattività di quelle norme che introducono una nuova ipotesi di reato ovvero introducono una sanzione più grave rispetto a quella previgente.

Ad esempio, non potrà essere punito con la sanzione penale il sostituto di imposta che avesse omesso entro il termine di presentazione dell’ultima dichiarazione il versamento di ritenute fiscali certificate per il periodo di imposta 2014 di importo complessivamente superiore a 50 mila euro (condotta penalmente rilevante fino al 21 ottobre 2015) ma non a 150 mila (condotta penalmente rilevante fino dal 22 ottobre 2015).

Non potrà, altresì, essere soggetto a sanzione penale la condotta di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta, qualora le ritenute superino 50 mila euro, commessa prima del 22 ottobre 2015 in quanto fattispecie non punibile penalmente secondo la disciplina previgente.
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Note:
1) L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione 28 gennaio 2009, n. 22/E, ha precisato che il ricorso alla retrodatazione convenzionale degli effetti ai fini delle imposte sui redditi delle operazioni di fusione non sia possibile qualora le società partecipanti siano soggette, anteriormente alla data di efficacia giuridica della fusione, a sistemi di imposizione diversi.
2) Si pensi, ad esempio, alla tematica della deducibilità degli interessi passivi che una società corrisponde su un finanziamento contratto per eseguire la delibera di distribuzione degli utili ai soci.
L’Agenzia delle Entrate, molto spesso, nega la deducibilità dei predetti interessi passivi, sul presupposto che gli stessi risulterebbero privi di un qualunque collegamento con l’attività di impresa e, quindi, privi del requisito dell’"inerenza" all’attività di impresa.
L’Agenzia delle Entrate, infatti, nel negare la deducibilità degli interessi passivi contratti su finanziamenti finalizzati al pagamento dei dividendi a favore dei soci, fa riferimento, negli atti di controllo o di accertamento, all’art. 109, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), che, come è noto, subordina la deducibilità dei costi alla circostanza che questi si riferiscano "...ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi", rilevando che gli interessi passivi de quibus non sono finalizzati al conseguimento di ricavi imponibili, ma concorrono all’effettuazione di un’operazione che non produce alcun effetto reddituale e che è estranea all’esercizio di impresa, in quanto risponde un interesse esclusivo dei soci.
La posizione dell’Agenzia delle entrate lascia molto perplessi per almeno due ordini di motivi.
In primo luogo, appare sbagliato tentare di stabilire una correlazione biunivoca tra una specifica "fonte" ed uno specifico "impiego" presenti in un bilancio di esercizio, con la conseguenza che quand’anche una società si indebitasse per poter fronteggiare l’esigenza di liquidità legata all'esecuzione della delibera di distribuzione degli utili, sarebbe non solo falso, ma anche specioso ed incompatibile con i principi dell’economia aziendale, sostenere che il finanziamento sia stato acceso per tali scopi.
In secondo luogo, non può sfuggire che il contratto di società si fonda, come prevede l’art. 2247 del codice civile, sull’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili, di conseguenza la distribuzione degli utili ai soci deve considerarsi un’operazione assolutamente fisiologica, senza, peraltro, essere subordinata ad una floridezza finanziaria della società partecipata
3) Per il reato di indebita compensazione di crediti inesistenti l’estinzione del debito tributario non è causa di "non punibilità", potendo il reo solo beneficiare di una riduzione della pena, in forza del nuovo art. 13-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000.
4) "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata prima del fatto commesso".
5) "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflittasi converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. [...]".

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