Premessa
Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n.158 dà
attuazione ad una delle deleghe previste dalla legge 11 marzo 2014, n.23 ed in
particolare a quella di cui all’articolo 8, comma 1, in materia di revisione
del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di
predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti
e alla revisione del sistema sanzionatorio amministrativo.
La circolare analizza le novità relative alle modifiche alla
revisione del sistema sanzionatorio penale tributario.
Le novità sono numerose e vanno sia nella direzione di un
innalzamento dei limiti previsti per la rilevanza penale della condotta del
contribuente (es. in materia di sostituti di imposta il limite in caso di
ritenute certificate sale da 50 a 150 mila euro) che nell’allargamento delle
ipotesi sanzionatorie (es. omessa dichiarazione del sostituto d’imposta quando
l’ammontare delle imposte non versate supera 50 mila euro).
Va peraltro rilevato che il provvedimento, pur intervenendo
in diversi aspetti della disciplina sanzionatoria penale non stravolge
l’impianto regolatorio esistente, contenuto nel decreto legislativo 10 marzo
2000, n.74, nel quale si collocano le nuove norme.
1. Reato di
dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti
L’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato
"Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015,
stabiliva che "È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni
chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto,
avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in
una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi
fittizi".
L’art. 2 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 interviene sul
presupposto oggettivo del reato di "dichiarazione fraudolenta mediante uso
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti", valevole ai soli
fini delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, ampliando il
novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini del medesimo reato tributario,
sino ad oggi circoscritto alle dichiarazioni presentate in relazione ad un
determinato periodo di imposta.
Nello specifico, l’art. 2 del D.Lgs. n. 158 del 2015
eliminala parola "annuali" dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 74 del
2000, con l’effetto che il reato tributario de quo potrà configurarsi con
riferimento a tutte le dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui
redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, comprese quelle non annuali, cioè
che si riferiscono ad un periodo diverso dall’anno.
Tra le dichiarazioni non annuali, ad esempio, si possono
annoverare le seguenti dichiarazioni:
a) la
dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo
d’imposta e la data in cui si determinano gli effetti dello scioglimento di una
società (cfr. l’art. 5, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, rubricato
"Dichiarazione nei casi di liquidazione");
b) la
dichiarazione dei redditi relativa al risultato finale delle operazioni di
liquidazione(cfr. l’art. 5, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322,
rubricato "Dichiarazione nei casi di liquidazione"); la dichiarazione
dei redditi relativa alla residua frazione del predetto periodo di imposta ove
la procedura di liquidazione si prolunga oltre il periodo d'imposta nel corso
del quale è iniziata (cfr. l’art. 5, comma 2, del D.P.R. 22 luglio 1998, n.
322, rubricato "Dichiarazione nei casi di liquidazione");
c) la
dichiarazione dei redditi relativa alla frazione di esercizio compresa tra
l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la trasformazione di
una società di capitali in una società di persona o viceversa (cfr. l’art.
5-bis, comma 1, del D.P.R. n. 322 del 1998, rubricato "Dichiarazione nei
casi di trasformazione, di fusione e di scissione");
d) la
dichiarazione dei redditi relativa alla frazione di esercizio delle società
fuse o incorporate compresa tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui
ha effetto la fusione, se non si è optato per la retrodatazione degli effetti
fiscali all’inizio dello stesso periodo (cfr. l’art. 5-bis, comma 2, del D.P.R.
n. 322 del 1998) (NOTA 1);
e) la
dichiarazione dei redditi relativa alla frazione del periodo di imposta della
società sottoposta a scissione totale, se non si è optato per la retrodatazione
degli effetti fiscali all’inizio dello stesso periodo (cfr. l’art. 5- bis,
comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998);
f) la
dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo
d’imposta e la data di dichiarazione di fallimento o del provvedimento che
ordina la liquidazione (cfr. l’art. 183 del D.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917 e
art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998);
g) la
dichiarazione dei redditi relativa al periodo di durata della procedura
concorsuale (cfr. l’art. 5, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998) e
h) la
dichiarazione IVA relativa alle operazioni registrate nella parte dell’anno
solare anteriore alla dichiarazione di fallimento o di liquidazione coatta
amministrativa (cfr. l’art. 8, comma 4, del D.P.R. n. 322 del 1998).
Gli Uffici Studi della Camera dei Deputati e del Senato
della Repubblica, a commento dell’art. 2 del D.Lgs. n. 158 del 2015, hanno
evidenziato che, a seguito della novella recata all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del
2000, la sanzione penale è estesa a «tutte le dichiarazioni relative alle
imposte sui redditi e all’IVA, comprese quelle presentate in occasione di
operazioni straordinarie o nell’ambito di procedure concorsuali» (cfr., in tal
senso, anche la circolare n. 331248 del 10 novembre 2015 del Comando Generale
della Guardia di Finanza - III Reparto Operazioni - Ufficio Tutela Entrate -
Sezione IVA e Federalismo Fiscale).
2. Dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifici
L’art. 3 del D.Lgs. n. 74 del 2000 nel testo ante riforma,
stabiliva che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici si
commette quando al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore
aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili
obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne
l'accertamento, il contribuente indica in una delle dichiarazioni annuali
relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello
effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) ogni singola
imposta evasa è superiore a trentamila euro; b) l’ammontare complessivo degli
elementi attivi sottratti ad imposizione, anche mediante indicazione di
elementi passivi fittizi, è superiore al 5% di quelli dichiarati ovvero è
superiore a un milione di euro.
La reclusione prevista è da un 1 anno e sei mesi a 6 anni.
Con riferimento all’art. 3 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
158, il legislatore delegato ha innanzitutto allargato la platea dei soggetti a
cui tale fattispecie di reato è potenzialmente ascrivibile. Infatti, nella
versione attualmente vigente vi è un richiamo letterale all’obbligo di tenuta
delle scritture contabili che rende tale reato proprio dei soggetti obbligati
alla tenuta delle scritture contabili. Nella nuova versione invece il reato
potrà essere commesso da chiunque sia tenuto ad una dichiarazione ai fini delle
imposte sui redditi includendo pertanto anche soggetti non titolari di partita
iva. Con la direttiva del 10 novembre 2015 la Guardia di Finanza ha precisato
che il reato di dichiarazione fraudolente mediante altri artifici commessi da
un contribuente non obbligato alla tenuta delle scritture contabili, potrà
applicarsi solo per i fatti commessi dopo il 22 ottobre 2015.
Come nel caso dell’art. 2 del decreto in commento, si
procede all’ampliamento delle dichiarazioni rilevanti ai fini del reato, sino
ad oggi circoscritto alle dichiarazioni annuali presentate in relazione a un
determinato periodo di imposta. Pertanto, il reato tributario in commento potrà
configurarsi anche con la presentazione di una dichiarazione diversa da quella
annuale.
Inoltre, il legislatore definisce una condotta costitutiva
del delitto semplificata rispetto alla versione precedente che presenta un
carattere complesso, articolato in una "catena fraudolenta" composta
da tre segmenti distinti: la non veritiera dichiarazione dei redditi o ai fini
Iva, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie, per
giungere all'utilizzazione di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne
l'accertamento. Con la modifica del comma 1, la struttura dell'illecito viene
semplificata, tramite l'eliminazione dell'elemento della falsa rappresentazione
nelle scritture contabili obbligatorie che oltre alle conseguenze da un punto
di visto soggettivo già commentate, rende la condotta fraudolenta legata alla
duplice condizione mezzi fraudolenti e falsa dichiarazione. In particolare, si
precisa che la ratio della norma verte verso la considerazione dei "mezzi
fraudolenti", nell’espressione della loro natura tipica, ovvero quella di
ostacolare l'accertamento ed ingannare l'amministrazione finanziaria.
Si segnala, nel comma 1, lett. b) l’aumento della soglia di
punibilità in riferimento all'ammontare complessivo degli elementi attivi
sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi
fittizi, che deve essere superiore non più ad un milione di euro, ma ad un
milione cinquecentomila euro. Inoltre, si introduce un ulteriore possibilità
per realizzare la condizione di cui alla lett. b) che "l’ammontare
complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta,
è superiore al cinque per cento dell'ammontare dell’imposta medesima o comunque
a euro trentamila".
Nel comma 2, ai fini della considerazione della commissione
del fatto, si considerano "documenti falsi" sia i documenti
registrati nelle scritture contabili obbligatorie sia quelli detenuti a fini di
prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria, coerentemente con
l’ampliata portata soggettiva del reato. Infine, il comma 3 chiarisce, che non
rientra tra i "mezzi fraudolenti", la mera violazione degli obblighi
di fatturazione o di emissione di altri documenti di rilievo probatorio analogo
(scontrini fiscali, documenti di trasporto, ecc.) e di annotazione dei
corrispettivi nelle scritture contabili, o la mera indicazione nelle fatture o
nei documenti ovvero nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli
reali.
3. Reato di
dichiarazione infedele
L’art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato
"Dichiarazione infedele"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre
2015, prevedeva che "Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è
punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le
imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni
annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a
quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta
evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro
cinquantamila;
b) l’ammontare
complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento
dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o,
comunque, è superiore a euro due milioni". Il "reato di dichiarazione
infedele", pertanto, nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015,
presupponeva che il contribuente indicasse nella dichiarazione annuale dei
redditi o dell’imposta sul valore aggiunto elementi attivi per un ammontare
inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, a condizione che i)
l’imposta evasa fosse superiore, con riferimento alle imposte sui redditi o
all’imposta sul valore aggiunto, ad euro 50.000,00 e che ii) l’ammontare
complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante
indicazione di elementi passivi fittizi, fosse superiore al dieci per cento
dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o,
comunque, fosse superiore ad euro 2.000.000,00.
Il "reato di dichiarazione infedele", come emerge
testualmente dalla relazione illustrativa del D.Lgs. n. 158 del 2015, viene
ampiamente rivisto dall’art. 4 del medesimo decreto legislativo nell’ottica di
un "alleggerimento della situazione attuale".
L’art. 4 del D.Lgs. n. 158 del 2015, nell’ottica di evitare
un’eccessiva proliferazione dei reati di dichiarazione infedele e di mantenere
un livello adeguato di sanzionabilità, interviene:
I.
in primo luogo, ad innalzare sia la soglia di
punibilità costituita dall’importo dell’imposta evasa, prevedendo che la
dichiarazione infedele è penalmente rilevante se l’imposta evasa è superiore,
con riferimento alle imposte sui redditi o all’imposta sul valore aggiunto, ad
euro 150.000,00 (e non, come in precedenza, ad euro 50.000,00), sia la soglia
di punibilità costituita dall’ammontare degli elementi attivi che devono essere
sottratti all’imposizione, elevandola da 2 a 3 milioni di euro (cfr. le lettere
a) e b));
II.
in secondo luogo, a prevedere che, ai fini della
configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si deve tener conto
della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi e
passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente
applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione
rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione
dell’esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di
elementi passivi reali;
III.
in terzo luogo, a prevedere che non danno luogo
a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che
singolarmente considerate differiscono in misura inferiore al 10% da quelle
corrette e che degli importi compresi entro tale percentuale di tolleranza non
si deve tener conto nella verifica delle soglie di punibilità del reato di
dichiarazione infedele;
IV.
in quarto luogo, il termine "fittizi"
viene sostituito con il termine "inesistenti".
Il Legislatore delegato ha escluso dall’ambito oggettivo del
reato di dichiarazione infedele quelle valutazioni giuridico - tributarie
difformi da quelle corrette, visto l’ampio margine di opinabilità e di
incertezza che connotano i risultati di dette valutazioni.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, in più
occasioni, aveva incluso nell’espressione "elementi passivi fittizi"
anche i costi effettivamente sostenuti dal contribuente ma che si presentavano
fiscalmente indeducibili rispetto ad un determinato periodo di imposta, in
quanto non inerenti o non di competenza (cfr.: Corte di Cassazione, sez. III
penale, sentenza 23 dicembre 2010, n. 45056; Corte di Cassazione, sez. III
penale, sentenza 23 gennaio 2009, n. 3203), con l’effetto di creare «una sorta
di "rischio penale" a carico del contribuente, correlato agli ampi margini
di opinabilità e di incertezza" che possono connotare le valutazioni di
inerenza e di competenza dei costi sostenuti (NOTA 2).
4. Reato di omessa
dichiarazione
L’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Omessa
dichiarazione"), nel testo in vigore sino al 21 ottobre 2015, prevedeva,
al comma 1, che "È punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al
fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta,
essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte,
quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole
imposte, a euro trentamila" e, al comma 2, che "Ai fini della
disposizione prevista dal comma 1 non si considera omessa la dichiarazione
presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o
non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto".
L’art. 5 del D.Lgs. n. 158 del 2015 prevede, da un lato,
l’innalzamento della soglia di punibilità del reato di omessa presentazione
della dichiarazione dei redditi o della dichiarazione IVA e l’inasprimento
della sanzione penale connessa a tale fattispecie delittuosa, e, dall’altro, il
"nuovo" delitto di omessa presentazione della dichiarazione di
sostituto di imposta, con l’introduzione del nuovo comma 1-bis.
Entrando nello specifico delle suddette modifiche,
innanzitutto è previsto ora che "è punito con la reclusione da un anno e
sei mesi a quattro anni chiunque [...]" (prima delle modifiche era invece
prevista la sanzione penale da uno a tre anni).
Il novellato comma 1 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000
dispone poi che il reato di omessa dichiarazione dei redditi o della
dichiarazione IVA sussiste laddove l’imposta evasa sia superiore a 50.000,00,
mentre in passato era sufficiente che l’imposta evasa superasse i 30.000,00.
Il nuovo comma 1-bis dell’art. 5 disciplina il reato di
omessa presentazione della dichiarazione di sostituto di imposta, prevedendo
che il sostituto d’imposta potrà essere imputato del reato in questione se
l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro 50.000,00.
Cosi come per le dichiarazioni dei redditi e della
dichiarazione IVA, la dichiarazione di sostituto d’imposta, stante il nuovo
comma 2 dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000, non si considera omessa se
presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o
non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
5. Reato di
occultamento o distruzione di documenti contabili
L’art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato
"Occultamento o distruzione di documenti contabili"), nel testo in
vigore sino al 21 ottobre 2015, prevedeva, che "Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque
anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto,
ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in
parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la
conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del
volume di affari".
L’art. 6 del D.Lgs. n. 158 del 2015 innalza la pena del
reato tributario in questione, elevando da 6 mesi ad un anno e 6 mesi la pena
minima e da cinque a sei anni la pena massima.
6. Reato di omesso
versamento delle ritenute
L’art. 10-bis del D.Lgs. 74 del 2000(rubricato "Omesso
versamento di ritenute certificate"), nel testo in vigore sino al 21
ottobre 2015, stabiliva che "E’ punito con la reclusione da sei mesi a due
anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della
dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla
certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a
cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta".
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, in vigenza di tale
norma, si è divisa sulle modalità con cui il Pubblico Ministero possa
dimostrare il rilascio delle certificazioni attestanti le ritenute operate dal
datore di lavoro, quale sostituto di imposta, sulle retribuzioni effettivamente
erogate ai sostituiti.
Secondo un primo orientamento, tale prova poteva essere
fornita dal Pubblico Ministero anche attraverso il modello dichiarativo 770
presentato dal sostituto di imposta (cfr.: Corte di Cassazione, sez. III
penale, sentenza 15 settembre 2014, n. 37730; Corte di Cassazione, sez. III
penale, sentenza 22 maggio 2014, n. 20778; Corte di Cassazione, sez. III
penale, sentenza 12 maggio 2014, n. 19454; Corte di Cassazione, sez. III
penale, sentenza 31 ottobre 2013, n. 44275). Secondo un altro orientamento, di
più recente formazione, la prova dell’elemento costitutivo del reato di omesso
versamento di ritenute certificate, rappresentato dal rilascio ai sostituiti
delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate, non può
essere costituita dal solo contenuto del modello dichiarativo 770 presentato
dal sostituto di imposta (cfr.: Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza
15 settembre 2015, n. 37075; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 12
marzo 2015, n. 10475; Corte di Cassazione, sez. III penale, sentenza 1° ottobre
2014, n. 40526).
Il contrasto giurisprudenziale appena richiamato ha spinto
la Sezione III penale della Corte di Cassazione a rimettere la risoluzione
della questione de qua nelle mani delle Sezioni Unite penali della medesima
Suprema Corte, con l’ordinanza 25 maggio 2015, n. 21629.
Il legislatore delegato con l’art. 7 del D.Lgs. n. 158 del
2015, anticipando l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite Penali della
Corte di Cassazione, la cui udienza si è svolta il 24 settembre 2015,chiarisce,
come evidenzia la relazione illustrativa del decreto legislativo di riforma del
sistema sanzionatorio, la "portata dell’omesso versamento di
ritenute", stabilendo che l’omesso versamento penalmente rilevante può
riguardare ritenute non versate risultanti dalla dichiarazione di sostituto di
imposta o dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.
Viene pertanto estesa la sanzione penale anche nelle ipotesi
in cui la soglia rilevante a configurare l’ipotesi di reato venga superata sulla
base della dichiarazione, a prescindere dalla circostanza che le ritenute
risultino dalla certificazione effettivamente rilasciata al sostituito.
Il citato art. 7, inoltre, innalza la soglia di non
punibilità del reato tributario de quo, da euro 50.000,00 a euro 150.000,00,
con l’effetto che sino a 150.000,00 euro di ritenute non versate non potrà
configurarsi il reato tributario in esame.
7. Omesso versamento
di iva
L’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, nel testo vigente
sino al 21 ottobre 2015, prevedeva la reclusione da sei mesi a due anni per
chiunque non versasse l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla
dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo
al periodo di imposta successivo, a condizione che l’importo dell’IVA non
versata superasse euro 50.000,00.
L’art. 8 del D.Lgs. n. 158 del 2015, nel confermare gli
elementi costitutivi della fattispecie delittuosa dell’omesso versamento di
IVA, innalza da euro 50.000,00 ad euro 250.000,00 la soglia di non punibilità
della condotta omissiva in questione, con l’effetto che l’omesso versamento
dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il
versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo determina
esclusivamente l’irrogazione di una sanzione amministrativa se l’importo non
versato non supera euro 250.000,00.
8. Indebita
compensazione
Nella versione attualmente in vigore dell’art. 10-quater del
D. Lgs. n. 74 del 2000 è prevista la reclusione da sei mesi a due anni per chi
utilizza in compensazione crediti non spettanti o inesistenti per un totale
superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta. Il nuovo art.
10-quater introdotto dall’art. 9 del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 pur
mantenendo invariato il quantum pari a cinquantamila euro per ciascun periodo
d’imposta, introduce una distinzione sostanziale, creando di fatto una nuova
fattispecie di reato di indebita compensazione di crediti inesistenti (art. 10-
quater, c. 2), differenziandola rispetto alla indebita compensazione di crediti
non spettanti (art. 10-quater, c. 1). Quest’ultima fattispecie, continua ad
essere punita con la reclusione da sei mesi a due anni, mentre per la
fattispecie più grave di indebita compensazione di crediti inesistenti la
reclusione prevista è da un anno e sei mesi a sei anni.
La nuova norma, perciò differenzia in maniera condivisibile
le pene per l’utilizzo di crediti non spettanti da quelli inesistenti,
inasprendo il regime sanzionatorio solo per questi ultimi. Tale differenziazione
è giustificata dal fatto che l’utilizzo in compensazione di crediti
inesistenti, sia considerata una fattispecie estremamente offensiva.
L’inesistenza del credito, presuppone, un’azione con intento fraudolento
maggiore, creando artificiosamente crediti mai esistiti al solo fine di non
versare le imposte dovute.
Si precisa che, secondo quanto previsto dal nuovo articolo
13 del D. Lgs. n. 74 del 2000 "i reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter
e 10-quater comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni
amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento
degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e
di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del
ravvedimento operoso".
Pertanto il reato in commento, nella sola fattispecie meno
grave dell’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti risulta non
punibile qualora il contribuente provveda all’integrale pagamento del debito
tributario, comprese sanzioni ed interessi, entro la dichiarazione di apertura
del dibattimento di primo grado. Gli istituti utili a tale scopo sono il
ravvedimento operoso, l’accertamento con adesione o le procedure conciliative
previste dall’ordinamento tributario.
Come affermato nella recente direttiva della Guardia di
Finanza del 10 novembre 2015, nel caso di indebita compensazione di crediti
inesistenti l'autorità giudiziaria potrà disporre l'intercettazione di
conversazioni o comunicazioni telefoniche nel corso delle indagini relative a
tali delitti.
9. Confisca
L’art. 10 del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 introduce
l’art. 12-bis rubricato "Confisca" nel D. Lgs. n. 74 del 2000. La
norma di fatto è stata riformulata senza modificarne la portata sostanziale. Al
fine di evitare incertezze applicative, è stato precisato che nel caso in cui
sia in atto un sequestro per equivalente prodromico alla confisca venga
consentito al contribuente di utilizzare quanto in sequestro per provvedere
alla restituzione all’erario. Al comma 2 si precisa che la confisca non opera
per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in
presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre
disposta.
All’interno dell’articolo 10 il legislatore avrebbe potuto
precisare che, contrariamente a quanto ritenuto da prassi amministrativa e
giurisprudenza di legittimità, nella nozione di "profitto"
dell’evasione fiscale non devono intendersi ricomprese anche le sanzioni
amministrative. Tale "cumulo", viola di fatto il principio di
proporzionalità, che rappresenta uno dei criteri guida indicati dal legislatore
delegante.
10. Pagamento del
debito tributario e causa di non punibilità del reato
L’art. 11 del D.Lgs. n. 158 del 2015, sostituendo
integralmente l’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "Circostanza
attenuante. Pagamento del debito tributario") in vigore sino al 21 ottobre
2015, introduce nel sistema penale tributario cause di non punibilità di alcune
fattispecie di reato tributario.
Il "nuovo" comma 1 dell’art. 13 dispone che i
reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis del
D.Lgs. n. 74 del 2000), di omesso versamento di IVA(10-ter)e di indebita
compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1) (NOTA 3) non
sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo grado, i debiti tributari, compresi gli interessi e le sanzioni, sono
stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a
seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento
previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.
Il comma 1 dell’art. 11, pertanto, consente al contribuente
di neutralizzare la rilevanza penale delle suddette condotte omissive
attraverso la totale soddisfazione del credito erariale prima dell’inizio del
processo penale. In questi casi, la condotta omissiva del contribuente sarà
sanzionata solo in via amministrativa. Il "nuovo" comma 2 dell’art.
13 stabilisce che i reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione
non sono punibili se i debiti tributari, compresi gli interessi e le sanzioni,
sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito
del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro
il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di
imposta successivo, a condizione che il ravvedimento operoso o la presentazione
della dichiarazione avvengano prima che l’autore del reato abbia avuto formale
conoscenza di accessi, ispezioni e verifiche o dell’inizio di una qualunque
attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Il
"nuovo" comma 3 dell’art. 13 prevede che qualora prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario
sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è concesso all’autore del
reato di procedere all’estinzione del debito tributario residuo entro tre mesi,
fermo restando, in questo caso, la sospensione della prescrizione. Il giudice
penale, qualora lo ritenga necessario, ha la facoltà di prorogare per una sola
volta il predetto termine trimestrale e per un periodo non superiore a tre
mesi, fermo restando sempre la sospensione della prescrizione.
11. Circostanze del
reato
L’art. 12 del D.Lgs. n. 158 del 2015 introduce nel D.Lgs. n.
74 del 2000 l’art. 13-bis, rubricato "Circostanze del reato".
Il comma 1 del nuovo art. 13-bis prevede che, al di fuori
dei casi di non punibilità dei reati tributari,il pagamento integrale dei
debiti tributari, ivi compresi gli interessi e le sanzioni amministrative,anche
seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento
previste dalle norme tributarie determina la diminuzione fino alla metà delle
pene previste e la non applicazione delle pene accessorie indicate nell’art.
12, a condizione che lo stesso pagamento avvenga prima della dichiarazione di
apertura del dibattimento di primo grado.
I delitti tributari potenzialmente interessati dalla
riduzione a metà della pena sono: il reato di "dichiarazione fraudolenta
mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti"; il
reato di "dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici"; il reato
di "occultamento o distruzione di documenti contabili" e il reato di
"sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte".
Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, una
previsione simile a quella recata dal comma 1 del "nuovo" art. 13-bis
era contenuta, anche se con alcune differenze, nel previgente art. 13 del
D.Lgs. n. 74 del 2000, rubricato "Circostanza attenuante. Pagamento del
debito tributario": a) le pene previste per i delitti tributari erano
diminuite alla metà per i reati commessi sino al 16 settembre 2011 e ad un
terzo per quelli commessi dal 17 settembre 2011; b) la riduzione di pena a
seguito del pagamento integrale del debito tributario era prevista per tutti i
delitti tributari, in quanto mancava una disposizione che prevedesse la non
punibilità di alcuni reati tributari a seguito del pagamento integrale del
debito tributario.
Anche con riguardo alla possibilità di accedere alla
riduzione di pena opera il comma 3 del "nuovo" art. 13 del D.Lgs. 74
del 2000, esaminato nel precedente paragrafo, con l’effetto che se prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado il debito tributario
sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, l’autore del reato può
procedere all’estinzione del debito tributario residuo entro tre mesi, fermo
restando, in questo caso, la sospensione della prescrizione. Il giudice penale,
qualora lo ritenga necessario, ha la facoltà di prorogare per una sola volta il
predetto termine trimestrale e per un periodo non superiore a tre mesi, fermo
restando sempre la sospensione della prescrizione.
Il comma 3 del "nuovo" art. 13-bis prevede,
invece, che per il correo le pene previste per i reati tributari sono aumentate
della metà se egli partecipa alla commissione del reato nell’esercizio dell’attività
di consulenza fiscale, svolta da un professionista o da un intermediario
finanziario o bancario attraverso l’elaborazione di modelli di evasione
fiscale.
12. Custodia
giudiziale dei beni sequestrati
L’art. 13 del D. Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 introduce
l’art. 18-bis rubricato "Custodia giudiziale dei beni sequestrati"
nel D. Lgs. n. 74 del 2000.
Dando attuazione al criterio direttivo di cui all’ultima
parte dell’articolo 8, comma 1, della legge delega, l’articolo 13 prevede che i
beni sequestrati nell’ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti
previsti da detto decreto e ad ogni altro delitto tributario, diversi dal
denaro e dalle disponibilità finanziarie, possano essere affidati dall’autorità
giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell’amministrazione finanziaria
che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. In maniera
condivisibile, la nuova norma prevede l’utilizzo dei beni sequestrati per
esigenze operative dell’amministrazione finanziaria.
Al secondo comma vengono fatte espressamente salve le
disposizioni in materia di affluenza al "Fondo unico giustizia" delle
somme di denaro sequestrate e dei proventi derivanti dai beni confiscati.
13. ABROGAZIONI
L’art. 14, prevede delle abrogazioni espresse relative al
comma 143 dell’articolo 1 della legge n. 244 del 2007, in tema di confisca, in
quanto trattasi di fattispecie definita nel nuovo articolo 12-bis del decreto
legislativo n. 74 del 2000. Inoltre, viene abrogato l’articolo 7 del decreto
legislativo n. 74 del 2000, recante disposizioni in materia di
"Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio" e l’articolo
16 del medesimo decreto che sancisce la non punibilità, di chi si sia
uniformato al parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme
antielusive, previsto dall’art. 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413.
14. Decorrenza
Un aspetto di particolare interesse della riforma delle
sanzioni tributarie riguarda l’entrata in vigore della nuova disciplina.
Il decreto legislativo n.158 del 2015 è stato pubblicato
nella gazzetta ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2015 - Suppl. Ordinario n. 55, ma
l’efficacia delle nuove disposizioni risulta in parte differita rispetto al 22
ottobre 2015, data di entrata in vigore del provvedimento.
Specificamente, l’art.23 si occupa della decorrenza degli
effetti e, di converso, delle abrogazioni.
In particolare, è previsto che le disposizioni di cui al
Titolo II del decreto - sanzioni amministrative per le violazioni di norme
tributarie - si applicano a decorrere dal 1°gennaio 2017.
Tuttavia, occorre considerare che dovrebbero applicarsi a
decorrere dal 1° gennaio 2016 se il Parlamento confermerà la disposizione
recata originariamente dall’art. 9, comma 11, primo periodo, del "Disegno
di Legge di stabilità 2016" e confermata dall’art.1, comma 68 del
maxiemendamento approvato dal Senato il 20 novembre scorso, che, nello
stabilire che «All’articolo 32, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24
settembre 2015, n. 158 le parole: "1° gennaio 2017" sono sostituite
dalle seguenti: "1° gennaio 2016"», anticipa dal 1° gennaio 2017 al
1° gennaio 2016 l’entrata in vigore della riforma del sistema sanzionatorio
amministrativo tributario.
Dal 22 ottobre 2015, in ogni caso, è entrata in vigore la
disciplina prevista dal titolo I del d.lgs. n.158 del 2015 relativa alla
revisione del sistema sanzionatorio penale tributario.
Di conseguenza, secondo quanto previsto dall’art. 25, comma
2, della Costituzione (NOTA 4), nonché dall’art.2 del Codice Penale (NOTA 5),
si rendono pienamente applicabili i principi della retroattività della norma
nel caso di abolitio criminis e del favor rei, così come la irretroattività di
quelle norme che introducono una nuova ipotesi di reato ovvero introducono una
sanzione più grave rispetto a quella previgente.
Ad esempio, non potrà essere punito con la sanzione penale
il sostituto di imposta che avesse omesso entro il termine di presentazione
dell’ultima dichiarazione il versamento di ritenute fiscali certificate per il
periodo di imposta 2014 di importo complessivamente superiore a 50 mila euro
(condotta penalmente rilevante fino al 21 ottobre 2015) ma non a 150 mila
(condotta penalmente rilevante fino dal 22 ottobre 2015).
Non potrà, altresì, essere soggetto a sanzione penale la
condotta di omessa dichiarazione del sostituto d’imposta, qualora le ritenute
superino 50 mila euro, commessa prima del 22 ottobre 2015 in quanto fattispecie
non punibile penalmente secondo la disciplina previgente.
---
Note:
1) L’Agenzia delle Entrate,
nella risoluzione 28 gennaio 2009, n. 22/E, ha precisato che il ricorso alla
retrodatazione convenzionale degli effetti ai fini delle imposte sui redditi
delle operazioni di fusione non sia possibile qualora le società partecipanti
siano soggette, anteriormente alla data di efficacia giuridica della fusione, a
sistemi di imposizione diversi.
2) Si pensi, ad esempio, alla
tematica della deducibilità degli interessi passivi che una società corrisponde
su un finanziamento contratto per eseguire la delibera di distribuzione degli
utili ai soci.
L’Agenzia delle Entrate,
molto spesso, nega la deducibilità dei predetti interessi passivi, sul
presupposto che gli stessi risulterebbero privi di un qualunque collegamento
con l’attività di impresa e, quindi, privi del requisito
dell’"inerenza" all’attività di impresa.
L’Agenzia delle Entrate,
infatti, nel negare la deducibilità degli interessi passivi contratti su
finanziamenti finalizzati al pagamento dei dividendi a favore dei soci, fa
riferimento, negli atti di controllo o di accertamento, all’art. 109, comma 5,
del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), che, come è noto, subordina la
deducibilità dei costi alla circostanza che questi si riferiscano "...ad
attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a
formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi", rilevando
che gli interessi passivi de quibus non sono finalizzati al conseguimento di
ricavi imponibili, ma concorrono all’effettuazione di un’operazione che non
produce alcun effetto reddituale e che è estranea all’esercizio di impresa, in
quanto risponde un interesse esclusivo dei soci.
La posizione dell’Agenzia
delle entrate lascia molto perplessi per almeno due ordini di motivi.
In primo luogo, appare
sbagliato tentare di stabilire una correlazione biunivoca tra una specifica
"fonte" ed uno specifico "impiego" presenti in un bilancio
di esercizio, con la conseguenza che quand’anche una società si indebitasse per
poter fronteggiare l’esigenza di liquidità legata all'esecuzione della delibera
di distribuzione degli utili, sarebbe non solo falso, ma anche specioso ed
incompatibile con i principi dell’economia aziendale, sostenere che il
finanziamento sia stato acceso per tali scopi.
In secondo luogo, non può
sfuggire che il contratto di società si fonda, come prevede l’art. 2247 del
codice civile, sull’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di
dividerne gli utili, di conseguenza la distribuzione degli utili ai soci deve
considerarsi un’operazione assolutamente fisiologica, senza, peraltro, essere
subordinata ad una floridezza finanziaria della società partecipata
3) Per il reato di indebita
compensazione di crediti inesistenti l’estinzione del debito tributario non è
causa di "non punibilità", potendo il reo solo beneficiare di una
riduzione della pena, in forza del nuovo art. 13-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000.
4) "Nessuno può essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata prima del fatto
commesso".
5) "Nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non
costituiva reato. Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge
posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano
l’esecuzione e gli effetti penali.
Se vi è stata condanna a pena
detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la
pena detentiva inflittasi converte immediatamente nella corrispondente pena
pecuniaria, ai sensi dell’articolo 135.
Se la legge del tempo in cui
fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui
disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo sia stata pronunciata sentenza
irrevocabile. [...]".
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