Corte di
Cassazione, Sentenza n.17438 del 2 settembre 2015
Svolgimento del
processo
1. - Con sentenza del
6 maggio 2008 la Corte di Appello di Lecce ha confermato la decisione del primo
giudice nella parte in cui aveva rigettato la domanda di A.P., azionata nei
confronti del datore di lavoro Consorzio di Bonifica X., volta ad ottenete il
risarcimento del danno biologico sofferto per l'eccessivo carico di lavoro ed
il cumulo di mansioni, invocando l'art. 2087 c.c.
In punto di fatto la
Corte territoriale ha argomentato che non era risultato provato che la P. fosse
stata obbligata al raggiungimento di determinati risultati produttivi,
ragionevolmente incompatibili con lo svolgimento di una normale attività
lavorativa; che la dirigenza del Consorzio non le aveva mai imposto lavoro
straordinario oltre i limiti di legge né aveva mal preteso che fossero
raggiunti determinati risultati, né aveva mai avvertito la dipendente che
comunque si sarebbe resa responsabile di eventuali disfunzioni nel servizio
assegnato, "così sostanzialmente liberando la P. da ogni responsabilità
conseguente all'eccessivo carico di lavoro"; che in definitiva la stessa
si era fatta "carico di oneri che spettavano ad altri e di cui altri
avevano la responsabilità, ma per sua esclusiva scelta di ordine morale, che
vale ad interrompere il nesso di causalità tra fatto causativo e danno".
2. - Per la cassazione
di tale sentenza la soccombente ha proposto ricorso affidato a due motivi. Ha
resistito con controricorso il Consorzio, depositando altresì memoria ex art.
378 c.p.c.
Il Collegio ha
autorizzato la motivazione semplificata.
Motivi della decisione
3. - I motivi di
ricorso possono essere come di seguito sintetizzati:
con il primo si
denuncia violazione dell’art. 2087 c.c. nonché emessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia
attinente "a) alla mancata adozione da parte dell’ente datoriale di tutte
le misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore e b) alla
insussistenza di un obbligo in capo al dipendente di aggiungere determinati
risultati produttivi";
- con il secondo mezzo
di impugnazione si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e
1218 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.c. nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa i punti decisivi della controversia in
ordine: "a) assolvimento dell’onere probatorio da parte della dipendente
b) alla sussistenza del nesso causale tra danno e sovraccarico di lavoro c)
alla mancata considerazione della richiesta di prova e della CTU medico
legale".
4. - I motivi, che per
la loro reciproca connessione possano essere esaminati congiuntamente, sono
infondati.
Per consolidata
giurisprudenza di questa Corte dal dovere di prevenzione imposto al datore di
lavoro dall’art. 2087 c.c. - che non configura una ipotesi di responsabilità
oggettiva - non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di
rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi
danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro
ogni volta che un danno si sia comunque verificato, occorrendo invece che
l'evento sia pur sempre riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di
comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, ma
concretamente individuati (ex plurimis: Cass. n. 15082 del 2014; Cass n. 10510
del 2004).
Quanto alla ripartizione
degli oneri probatori in un’azione di responsabilità avente natura contrattuale
incombe sul lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività
lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale
danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due
elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore
abbia provato le suddette circostanze, l'onere di dimostrare di avere adottato
tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, sì che non
possa essere a lui addebitabile l’inadempimento dell'obbligo di sicurezza
previsto dalla norma (Cass. n. 3989 del 2015; Cass. n. 203S del 2013; Cass. n.
3788 del 2009).
Nella specie la Corte
territoriale ha mostrato di fare corretta applicazione di tali principi e, dopo
avere ben premesso in diritto che "il datore di lavoro ha l'obbligo, ex
art. 2087 c.c., di tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore,
Indipendentemente dal consenso di questi all’adozione di misure che potrebbero
pregiudicarla", ha tuttavia ritenuto "in punto di fatto",
concordando con il giudice di prime cure, che non fosse provata una
responsabilità datoriale per un obbligo imposto alla P. di raggiungere
"risultati produttivi ragionevolmente incompatibili con lo svolgimento di
una normale attività lavorativa", specificando altresì gli elementi della
vicenda storica da cui si è tratto il convincimento di una assenza di colpa del
Consorzio.
Rispetto a tale iter
argomentativo condiviso da entrambi i giudici di merito le plurime doglianze di
vizi di motivazione prospettati dall'istante attingono aspetti del giudizio,
interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e all'apprezzamento
dei fatti, riguardanti il libero convincimento del giudice e non i possibili
difetti del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto. Pertanto esse
si risolvono in un'istanza inammissibile di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti del giudice di merito e quindi nella richiesta di una nuova
pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di
cassazione (tra le tante: Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 6064 del 2008),
Invero il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito dell'Intera vicenda processuale, ma solo la
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al
quale spetta, in vie esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere,
tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee
a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197
del 2011).
5.- Conclusivamente il
ricorso deve essere respinto.
Il Collegio reputa
sussistano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
compensa le spese di lite.
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