Tuttavia,
la liquidazione a carico del Fondo di Garanzia potrà essere disposta solo se,
preventivamente, sia stato esperito un tentativo di pignoramento, il cui esito
non sia andato a buon fine.
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n.10824 del 27 gennaio–26 maggio 2015
Svolgimento del
processo
1. S.I. prestava
attività lavorativa subordinata con mansioni di addetto alle pulizie in favore
della Greenpul s.r.l. dal 1 febbraio 1991 al 9 ottobre 1992, data della
risoluzione del rapporto di lavoro, maturando quindi il diritto al trattamento
di fine rapporto, non erogatogli dalla predetta società-datrice di lavoro.
Con sentenza del
17 novembre 1994 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento della Greenpul
s.r.l., fallimento chiuso il 23 luglio 1997.
Il lavoratore
non insinuava al passivo fallimentare il suo credito per il pagamento del
T.F.R. maturato e, con ricorso del 14 settembre 1999, conveniva innanzi al
Tribunale di Torino la Greenpul s.r.l. per sentirla condannare al pagamento di
quanto dovutogli a titolo di trattamento di fine rapporto.
Con sentenza n.
1294/2000 l’adito Tribunale di Torino condannava la società, rimasta contumace,
a pagare al ricorrente S. a titolo di maturato T.F.R. la somma di 6:4317,91.
La società
datrice di lavoro non eseguiva la sentenza.
Con lettera
raccomandata del 12 luglio 2002, il sig. S.I. richiedeva all’INPS-Fondo di
Garanzia per il trattamento di fine rapporto il pagamento del predetto T.F.R,
ritenendo che l’obbligo di intervento del Fondo di Garanzia citato scaturisse
dal fatto di aver esperito nel 2001 una esecuzione forzata negativa ai danni
della stessa Greenpul che, secondo l’assunto del lavoratore, sarebbe tornata in
bonis dopo la chiusura della procedura concorsuale.
L’INPS negava la
prestazione in considerazione del fatto che il lavoratore non aveva insinuato
il suo credito al passivo fallimentare, non essendo sufficiente per
l’intervento del Fondo di Garanzia l’esperimento di esecuzioni forzate
individuali nel caso in cui il datore di lavoro, come la Grenpul s.r.l., sia
soggetto alla disciplina delle procedure fallimentari.
Pertanto, con
ricorso depositato l’8 gennaio 2007, il sig. S. conveniva in giudizio l’INPS
dinanzi al Tribunale di Torino per sentire condannare l’Istituto al pagamento
in suo favore del trattamento di fine rapporto dovutogli dalla Greenpul s.r.l.
sua ex datrice di lavoro così come accertato dalla sentenza n. 1294/2000 del
medesimo Tribunale torinese, dopo la chiusura del fallimento della società
debitrice.
Il ricorrente
esponeva di non aver fatto valere il suo credito nell’ambito della procedura
fallimentare ormai chiusa per averla ignorata, documentando l’inutile tentativo
di esecuzione forzata individuale nei confronti della società menzionata.
Si costituiva in
giudizio l’INPS e chiedeva il rigetto del ricorso.
Il Tribunale di
Torino accoglieva il ricorso proposto da S.I. e condannava il convenuto INPS a
pagare al medesimo la somma di Euro 4.317,91 a titolo di T.F.R dovuto da parte
della ex datrice di lavoro, s.r.l. Greenpul, dichiarata fallita.
2. A seguito di appello dell’INPS, nel
contraddittorio con l’appellato, la Corte di appello di Torino, con sentenza n.
244/2009, ha respinto il gravame proposto dall’INPS e lo ha condannato al
pagamento delle spese di lite del grado di giudizio.
3. Avverso detta sentenza d’appello propone
ricorso per cassazione l’INPS.
Resiste con controricorso la parte intimata.
L’Inps ha anche depositato memoria.
Motivi della
decisione
1. Con il
ricorso, articolato in due motivi, l’Istituto deduce la prescrizione
quinquennale del diritto azionato dall’originario ricorrente e comunque, nel
merito, sostiene l’infondatezza della pretesa attesa la mancata insinuazione
del credito per il TFR nel fallimento.
2. Il primo
motivo di ricorso è infondato.
Il diritto del
lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro,
la corresponsione del trattamento di fine rapporto ha natura di diritto di
credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo
rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro e, pertanto, la
prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia è
quella ordinaria (decennale); cfr. in proposito Cass., sez. Iav., n. 24
febbraio 2006, n. 4183. Più recentemente Cass., sez. VI-L, 9 giugno 2014, n.
12971, ha ribadito che il diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso
di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del t.f.r. a carico dello
speciale fondo di cui all’art. 2 l. 29 maggio 1982 n. 297, ha natura di diritto
di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo
rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando
esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si
perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei
presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica
dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero
all’esito di procedura esecutiva), con la conseguenza che, prima che si siano
verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta
all’Inps e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del
lavoratore nei confronti del fondo di garanzia. Cfr. anche Cass., sez. lav., 17
gennaio 2014, n. 901, secondo cui il credito per trattamento di fine rapporto
maturato durante il periodo di cassa integrazione, in quanto non compensativo
di prestazioni di lavoro effettivamente rese, ha natura previdenziale e non
retributiva, in quanto inteso ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita
del lavoratore temporaneamente ed involontariamente disoccupato, con
conseguente soggezione alla prescrizione ordinaria decennale. Per la durata
decennale della prescrizione v. anche Cass., sez. lav., 1 febbraio 2010, n.
2278.
3. Infondato è
anche il secondo motivo.
Questa Corte
(Cass., sez. lav., 22 maggio 2007, n. 11945) ha affermato in proposito che in
caso di fallimento del datore di lavoro, il pagamento del trattamento di fine
rapporto da parte del fondo di garanzia istituito presso l’Inps richiede,
secondo la disciplina di cui all’art. 2 legge n. 297 del 1982, che il
lavoratore assolva all’onere di dimostrare che è stata emessa la sentenza
dichiarativa del fallimento e che il suo credito è stato ammesso nello stato
passivo. Però, ove l’ammissione del credito nello stato passivo sia reso
impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo
intervenuta dopo la proposizione, da parte del lavoratore, della domanda di
insinuazione ma prima dell’udienza fissata per l’esame della domanda suddetta,
il lavoratore che intenda chiedere l’intervento del fondo di garanzia ha
l’onere di procedere preventivamente, ai sensi del quinto comma dell’art. 2, ad
esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato “in bonis” con la
chiusura del fallimento. Ed è ciò che – secondo l’accertamento della Corte
d’appello confermativo di quello del tribunale – ha fatto nella specie lo S. .
D’altra parte l’INPS non ha allegato né provato che lo S. si sarebbe potuto
insinuare nel fallimento. Cfr. anche Cass., sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3640,
che parimenti ha affermato che, ove l’ammissione del credito nello stato
passivo sia stata resa impossibile dalla chiusura della procedura per
insufficienza dell’attivo intervenuta prima che il lavoratore abbia avuto la
possibilità di ottenere la verifica del proprio credito, il lavoratore che
intenda chiedere l’intervento del fondo di garanzia ha l’onere di procedere
preventivamente, ai sensi del quinto comma del suddetto art. 2, ad esecuzione
forzata nei confronti del datore di lavoro tornato in bonis con la chiusura del
fallimento.
4. Il ricorso
nel suo complesso va quindi rigettato.
Alla soccombenza
consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di
questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio
di cassazione liquidate in Euro 100,00 (cento) per esborsi oltre Euro 1.500,00
(millecinquecento) per compensi d’avvocato ed oltre spese generali e accessori
di legge.
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