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martedì 2 giugno 2015

Tfr: sì all’intervento del Fondo Garanzia anche se non c’è il fallimento

Nella sentenza  n.10824 del 27 gennaio–26 maggio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che i dipendenti possono ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto dall’apposito Fondo di Garanzia dell’Inps anche nel caso in cui l’istanza di fallimento promossa nei confronti del datore di lavoro sia stata rigettata dal Tribunale.

Tuttavia, la liquidazione a carico del Fondo di Garanzia potrà essere disposta solo se, preventivamente, sia stato esperito un tentativo di pignoramento, il cui esito non sia andato a buon fine.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza  n.10824 del 27 gennaio–26 maggio 2015

Svolgimento del processo

1. S.I. prestava attività lavorativa subordinata con mansioni di addetto alle pulizie in favore della Greenpul s.r.l. dal 1 febbraio 1991 al 9 ottobre 1992, data della risoluzione del rapporto di lavoro, maturando quindi il diritto al trattamento di fine rapporto, non erogatogli dalla predetta società-datrice di lavoro.

Con sentenza del 17 novembre 1994 il Tribunale di Roma dichiarava il fallimento della Greenpul s.r.l., fallimento chiuso il 23 luglio 1997.

Il lavoratore non insinuava al passivo fallimentare il suo credito per il pagamento del T.F.R. maturato e, con ricorso del 14 settembre 1999, conveniva innanzi al Tribunale di Torino la Greenpul s.r.l. per sentirla condannare al pagamento di quanto dovutogli a titolo di trattamento di fine rapporto.

Con sentenza n. 1294/2000 l’adito Tribunale di Torino condannava la società, rimasta contumace, a pagare al ricorrente S. a titolo di maturato T.F.R. la somma di 6:4317,91.

La società datrice di lavoro non eseguiva la sentenza.

Con lettera raccomandata del 12 luglio 2002, il sig. S.I. richiedeva all’INPS-Fondo di Garanzia per il trattamento di fine rapporto il pagamento del predetto T.F.R, ritenendo che l’obbligo di intervento del Fondo di Garanzia citato scaturisse dal fatto di aver esperito nel 2001 una esecuzione forzata negativa ai danni della stessa Greenpul che, secondo l’assunto del lavoratore, sarebbe tornata in bonis dopo la chiusura della procedura concorsuale.

L’INPS negava la prestazione in considerazione del fatto che il lavoratore non aveva insinuato il suo credito al passivo fallimentare, non essendo sufficiente per l’intervento del Fondo di Garanzia l’esperimento di esecuzioni forzate individuali nel caso in cui il datore di lavoro, come la Grenpul s.r.l., sia soggetto alla disciplina delle procedure fallimentari.

Pertanto, con ricorso depositato l’8 gennaio 2007, il sig. S. conveniva in giudizio l’INPS dinanzi al Tribunale di Torino per sentire condannare l’Istituto al pagamento in suo favore del trattamento di fine rapporto dovutogli dalla Greenpul s.r.l. sua ex datrice di lavoro così come accertato dalla sentenza n. 1294/2000 del medesimo Tribunale torinese, dopo la chiusura del fallimento della società debitrice.

Il ricorrente esponeva di non aver fatto valere il suo credito nell’ambito della procedura fallimentare ormai chiusa per averla ignorata, documentando l’inutile tentativo di esecuzione forzata individuale nei confronti della società menzionata.

Si costituiva in giudizio l’INPS e chiedeva il rigetto del ricorso.

Il Tribunale di Torino accoglieva il ricorso proposto da S.I. e condannava il convenuto INPS a pagare al medesimo la somma di Euro 4.317,91 a titolo di T.F.R dovuto da parte della ex datrice di lavoro, s.r.l. Greenpul, dichiarata fallita.

 2. A seguito di appello dell’INPS, nel contraddittorio con l’appellato, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 244/2009, ha respinto il gravame proposto dall’INPS e lo ha condannato al pagamento delle spese di lite del grado di giudizio.

 3. Avverso detta sentenza d’appello propone ricorso per cassazione l’INPS.

 Resiste con controricorso la parte intimata. L’Inps ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in due motivi, l’Istituto deduce la prescrizione quinquennale del diritto azionato dall’originario ricorrente e comunque, nel merito, sostiene l’infondatezza della pretesa attesa la mancata insinuazione del credito per il TFR nel fallimento.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del trattamento di fine rapporto ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro e, pertanto, la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia è quella ordinaria (decennale); cfr. in proposito Cass., sez. Iav., n. 24 febbraio 2006, n. 4183. Più recentemente Cass., sez. VI-L, 9 giugno 2014, n. 12971, ha ribadito che il diritto del lavoratore di ottenere dall’Inps, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del t.f.r. a carico dello speciale fondo di cui all’art. 2 l. 29 maggio 1982 n. 297, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva), con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’Inps e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del fondo di garanzia. Cfr. anche Cass., sez. lav., 17 gennaio 2014, n. 901, secondo cui il credito per trattamento di fine rapporto maturato durante il periodo di cassa integrazione, in quanto non compensativo di prestazioni di lavoro effettivamente rese, ha natura previdenziale e non retributiva, in quanto inteso ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore temporaneamente ed involontariamente disoccupato, con conseguente soggezione alla prescrizione ordinaria decennale. Per la durata decennale della prescrizione v. anche Cass., sez. lav., 1 febbraio 2010, n. 2278.

3. Infondato è anche il secondo motivo.

Questa Corte (Cass., sez. lav., 22 maggio 2007, n. 11945) ha affermato in proposito che in caso di fallimento del datore di lavoro, il pagamento del trattamento di fine rapporto da parte del fondo di garanzia istituito presso l’Inps richiede, secondo la disciplina di cui all’art. 2 legge n. 297 del 1982, che il lavoratore assolva all’onere di dimostrare che è stata emessa la sentenza dichiarativa del fallimento e che il suo credito è stato ammesso nello stato passivo. Però, ove l’ammissione del credito nello stato passivo sia reso impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo intervenuta dopo la proposizione, da parte del lavoratore, della domanda di insinuazione ma prima dell’udienza fissata per l’esame della domanda suddetta, il lavoratore che intenda chiedere l’intervento del fondo di garanzia ha l’onere di procedere preventivamente, ai sensi del quinto comma dell’art. 2, ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato “in bonis” con la chiusura del fallimento. Ed è ciò che – secondo l’accertamento della Corte d’appello confermativo di quello del tribunale – ha fatto nella specie lo S. . D’altra parte l’INPS non ha allegato né provato che lo S. si sarebbe potuto insinuare nel fallimento. Cfr. anche Cass., sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3640, che parimenti ha affermato che, ove l’ammissione del credito nello stato passivo sia stata resa impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo intervenuta prima che il lavoratore abbia avuto la possibilità di ottenere la verifica del proprio credito, il lavoratore che intenda chiedere l’intervento del fondo di garanzia ha l’onere di procedere preventivamente, ai sensi del quinto comma del suddetto art. 2, ad esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro tornato in bonis con la chiusura del fallimento.

4. Il ricorso nel suo complesso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 100,00 (cento) per esborsi oltre Euro 1.500,00 (millecinquecento) per compensi d’avvocato ed oltre spese generali e accessori di legge.

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