L’analisi,
disponibile online sul sito della rivista scientifica BMC Cancer, ha
identificato 32 cluster di comuni per ciascuno dei quali – per la prima volta
in Italia – la patologia asbesto-correlata è stata interpretata sulla base dei
dati di esposizione raccolti dai Centri operativi regionali del ReNaM
ROMA
- Sul sito della rivista scientifica open access BMC Cancer, specializzata in
materia oncologica, è stato pubblicato un articolo che riassume i risultati di
un innovativo lavoro di analisi territoriale dei casi di mesotelioma, basato
sui dati di esposizione rilevati dal Registro nazionale dei mesoteliomi
(ReNaM). A realizzarlo sono stati i ricercatori Inail del laboratorio di
epidemiologia del Dimeila (Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del
lavoro e ambientale) insieme agli esperti dei Centri operativi regionali (Cor),
articolazioni del ReNaM che hanno il compito di identificare tutti i casi di
mesotelioma insorti nel proprio territorio.
Quasi
12mila storie occupazionali, residenziali e familiari. Lo studio, che risulta
essere uno dei più letti e scaricati tra quelli pubblicati su BMC Cancer, ha
individuato con tecniche statistiche bayesiane 32 cluster di comuni e
analizzato 15.322 casi incidenti (ovvero in vita al momento della rilevazione)
di mesotelioma registrati dal ReNaM, con diagnosi formulata nel periodo
compreso tra il 1993 e il 2008. Per la prima volta in Italia questi dati sono
interpretati alla luce dei dati di esposizione rilevati dai Cor, che hanno
raccolto 11.852 storie occupazionali, residenziali e familiari attraverso
interviste individuali, dirette o indirette, per identificare le modalità di
esposizione. Nel dettaglio, tra gli uomini intervistati l’esposizione
all’amianto è stata accertata nell’86,4% dei casi (7.538 su 8.724), mentre tra
le donne la stessa percentuale è pari al 60,3% (1.888 su 3.128).
Marinaccio:
“Un approccio innovativo rispetto al passato”. “In passato sono state svolte
analisi territoriali e comunali dei decessi per mesotelioma con dati di minore
qualità diagnostica e senza avere a disposizione informazioni sulle modalità di
esposizione – spiega il responsabile del responsabile del ReNaM, Alessandro
Marinaccio – In questo studio, invece, per la prima volta abbiamo utilizzato i
dati di esposizione rilevati nelle interviste per descrivere le ragioni della
presenza di cluster di casi di mesotelioma in ciascun territorio identificato”.
Tra i siti analizzati spiccano Biancavilla Etnea, per l’esposizione ambientale
da fluoroedenite, Casale Monferrato, Broni e Bari, per la presenza di impianti
di produzione di manufatti in cemento amianto, e La Spezia, Genova, Monfalcone,
Trieste, Castellamare di Stabia, Livorno e Ancona, per la presenza di cantieri
navali.
“Particolarmente
alta la quota delle donne”. Un dato interessante emerso dalla ricerca riguarda
il rapporto di genere uomo-donna: tra i casi analizzati è pari a due casi e
mezzo di sesso maschile per ogni caso di sesso femminile. “Questo rapporto,
particolarmente basso in Italia, anche comparato ad altri Paesi con
disponibilità di dati, per una malattia di prevalente origine occupazionale è
significativo – sottolinea Marinaccio – Nel nostro Paese, infatti, la quota di
casi di sesso femminile è particolarmente alta e la spiegazione può essere la
circostanza di un impiego nel passato delle donne in settori coinvolti
nell’esposizione, come il tessile e l’industria del cemento amianto, elevato
per ragioni di storia industriale”. Il peso dell’esposizione non occupazionale
nell’insorgenza del mesotelioma è stimabile, secondo il ReNaM, intorno al 10%.
Il 10% dei casi di mesotelioma è cioè determinato da esposizioni all’amianto
occorse in ambito non lavorativo, per le quali è rilevante la quota femminile.
Il
prossimo step: individuare le località di esposizione. Premesso che i casi
osservati al momento della diagnosi sono assegnati al municipio di residenza,
come vengono valutati i casi di quei lavoratori che sono residenti in un comune
ma sono stati esposti in un altro, dove si è svolta la loro storia
professionale? La risposta a questo quesito, che introduce il problema della
migrazione lavorativa, costituisce la prossima fase di studio dei ricercatori.
“L’analisi per comune ‘di esposizione’ avrà l’obiettivo di superare questo
limite e sarà il prossimo step del nostro lavoro”, conferma Marinaccio.
La
fibra killer estratta e lavorata ancora in molti Paesi. La ricerca ricorda
anche che la produzione di amianto nel nostro Paese ha raggiunto il suo culmine
nel periodo compreso tra il 1976 e il 1980, ma si è mantenuta intorno alle
100mila tonnellate all’anno fino al 1987, con l’import di asbesto che nel 1991
superava ancora le 50mila tonnellate. Considerata la lunga latenza del
mesotelioma – generalmente di 35-40 anni a partire dalla prima esposizione –
questi riferimenti temporali non consentono di considerare chiusa la questione
amianto in Italia. Malgrado i risultati scientifici non lascino dubbi sui danni
per la salute che comporta il suo utilizzo e sebbene tutti gli organismi e le
istituzioni internazionali, come l’Ilo e l’Organizzazione mondiale della
sanità, abbiano sollecitato a più riprese la sua messa al bando, la fibra
killer continua a essere estratta, lavorata ed esportata in molti Paesi.
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