Nel
caso di specie, la Corte d’Appello di Milano, riformando integralmente la
sentenza del Tribunale del primo grado, aveva accolto la domanda proposta da un
lavoratore avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento
disciplinare intimatogli dalla società, sua datrice di lavoro, per la
reiterazione del comportamento, già sanzionato in precedenza con la sospensione
dal lavoro e dalla retribuzione per giorni dieci, consistito nell'essere
rimasto assente dal lavoro a seguito della richiesta di fruizione di un’aspettativa
retribuita ex art.4 della Legge n.53/2000, motivata e documentata in relazione
allo stato di salute della madre, nonostante il diniego comunicatogli dalla società,
tuttavia, riferito alla mera irregolarità dell'istanza che non aveva tenuto
conto della previsione del CCNL che qualificava l’aspettativa per motivi
familiari soltanto come non retribuita.
La
Corte territoriale aveva così disposto ritenendo l’intimazione della massima
sanzione sproporzionata in relazione alla condotta qualificata da semplice
colpa, per essersi il lavoratore reso responsabile di aver, sia pur
pervicacemente, ignorato la formalità della presentazione di una corretta
istanza, cui la società gli aveva chiesto di adempiere, risultando soddisfatto
ogni altro requisito, con riguardo, in particolare, all’adeguatezza della
documentazione attestante il diritto a fruire dell'aspettativa, sia pur non nei
termini richiesti sotto il profilo del trattamento economico.
Avverso
questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando
il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla qualificazione
dell’elemento soggettivo della condotta, individuato nella mera colpa con
esclusione, dunque, di ogni intenzionalità idonea a riflettere abuso del
proprio diritto o volontà di recare danno all'azienda.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure predette,
osservando come la valutazione operata dal Giudice dell’Appello non possa ritenersi
né illegittima, né illogica, allorché aveva inteso valorizzare il
fatto/presupposto, tarando su quello il giudizio • di proporzionalità ed
approdando, in coerenza con il rilievo minimale dell’inadempimento meramente
formale imputato al lavoratore, alla conclusione per cui la reazione posta in
essere dalla Società era da considerarsi eccessiva.
La
vicenda, infatti, avrebbe potuto
rinvenire agevole e rapida soluzione ove la
società,
anziché insistere, fino alle estreme conseguenze, nel pretendere dal lavoratore
l’invio dell’istanza adeguata all’istituto di cui intendeva fruire, ne avesse
consentito la fruizione accompagnandola con la precisazione che, in conformità
alla disciplina contrattuale dell’istituto medesimo, non avrebbe dato corso al
pagamento della retribuzione per il relativo periodo.
Queste,
in sostanza, le considerazioni che hanno indotto gli ermellini a concludere con
il rigetto del ricorso.
Valerio
Pollastrini
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