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mercoledì 6 maggio 2015

L’errore nella richiesta del congedo non legittima il licenziamento

Nella sentenza n.8928 del 5 maggio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che l’errore formale contenuto della richiesta di un permesso non legittima il licenziamento del lavoratore.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano, riformando integralmente la sentenza del Tribunale del primo grado, aveva accolto la domanda proposta da un lavoratore avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla società, sua datrice di lavoro, per la reiterazione del comportamento, già sanzionato in precedenza con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per giorni dieci, consistito nell'essere rimasto assente dal lavoro a seguito della richiesta di fruizione di un’aspettativa retribuita ex art.4 della Legge n.53/2000, motivata e documentata in relazione allo stato di salute della madre, nonostante il diniego comunicatogli dalla società, tuttavia, riferito alla mera irregolarità dell'istanza che non aveva tenuto conto della previsione del CCNL che qualificava l’aspettativa per motivi familiari soltanto come non retribuita.

La Corte territoriale aveva così disposto ritenendo l’intimazione della massima sanzione sproporzionata in relazione alla condotta qualificata da semplice colpa, per essersi il lavoratore reso responsabile di aver, sia pur pervicacemente, ignorato la formalità della presentazione di una corretta istanza, cui la società gli aveva chiesto di adempiere, risultando soddisfatto ogni altro requisito, con riguardo, in particolare, all’adeguatezza della documentazione attestante il diritto a fruire dell'aspettativa, sia pur non nei termini richiesti sotto il profilo del trattamento economico.

Avverso questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla qualificazione dell’elemento soggettivo della condotta, individuato nella mera colpa con esclusione, dunque, di ogni intenzionalità idonea a riflettere abuso del proprio diritto o volontà di recare danno all'azienda.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure predette, osservando come la valutazione operata dal Giudice dell’Appello non possa ritenersi né illegittima, né illogica, allorché aveva inteso valorizzare il fatto/presupposto, tarando su quello il giudizio • di proporzionalità ed approdando, in coerenza con il rilievo minimale dell’inadempimento meramente formale imputato al lavoratore, alla conclusione per cui la reazione posta in essere dalla Società era da considerarsi eccessiva.

La vicenda, infatti,  avrebbe potuto rinvenire agevole e rapida soluzione ove la
società, anziché insistere, fino alle estreme conseguenze, nel pretendere dal lavoratore l’invio dell’istanza adeguata all’istituto di cui intendeva fruire, ne avesse consentito la fruizione accompagnandola con la precisazione che, in conformità alla disciplina contrattuale dell’istituto medesimo, non avrebbe dato corso al pagamento della retribuzione per il relativo periodo.

Queste, in sostanza, le considerazioni che hanno indotto gli ermellini a concludere con il rigetto del ricorso.

Valerio Pollastrini

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