Tale
condotta, oltre ad essere astrattamente inquadrabile nella fattispecie penale
di cui all’articolo 635-bis c.p., costituisce una grave violazione dell’obbligo
imposto ai dipendenti di conservare diligentemente le merci e i materiali dell’impresa.
Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n.9900
del 14 maggio 2015
Svolgimento del
processo
1. Con sentenza
depositata in data 7 ottobre 2011, la Corte d’appello di Roma rigettava
l’appello proposto da (OMISSIS) contro la sentenza resa dal Tribunale della
stessa sede, che aveva rigettato la domanda dell’appellante avente ad oggetto
la condanna della (OMISSIS) s.r.l. (poi incorporata nella (OMISSIS) s.p.a.) al
pagamento di emolumenti collegati al rapporto di lavoro tra gli stessi
intercorso, la declaratoria dell’inefficacia o illegittimita’ del licenziamento
intimato dalla datrice di lavoro, con la condanna di quest’ultima alla
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ovvero alla sua riassunzione
in caso di non applicabilita’ della tutela reale, nonche’ la condanna al
risarcimento dei danni conseguenti al mobbing di cui il (OMISSIS) era stato
vittima.
2. La Corte
territoriale statuiva (per quanto qui ancora di interesse) che non erano stati
provati: a) lo svolgimento da parte del lavoratore di mansioni aggiuntive,
quale quello di business development manager, sicche’ nulla doveva essergli
riconosciuto a titolo di “compenso aggiuntivo, b) lo svolgimento di lavoro
straordinario; c) il mobbing lamentato. Con riguardo al licenziamento, ne
affermava la legittimita’ sia sotto il profilo del rispetto delle garanzie
procedimentali sia sotto quello della sussistenza della giusta causa, in quanto
il fatto addebitato al lavoratore, e costituito dall’aver cancellato tutti
documenti di lavoro dal suo computer, era risultato provato. Tale condotta,
oltre ad essere astrattamente inquadrabile nella fattispecie penale di cui
all’articolo 635 bis c.p., rientrava nella previsione dell’articolo 146, comma
2, e articolo 151 del C.C.N.L., in forza dei quali il lavoratore, in caso di
grave violazione dell’obbligo di conservare diligentemente le merci e materiali
dell’impresa, puo’ essere licenziato.
3. Contro la
sentenza, il (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, fondato su nove motivi,
illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la (OMISSIS) s.p.a.
Motivi della
decisione
1. Va in primo
luogo disattesa l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso per violazione
degli articoli 360 e 360 bis c.p.c., sollevata dalla controricorrente: i motivi
di ricorso sono sufficientemente specifici, rientrano nelle ipotesi previste
dall’articolo 360 c.p.c., e non risulta denunciata in modo manifestamente
infondato alcuna violazione dei principi regolatori del giusto processo,
sicche’ non sussistano i presupposti per la pronuncia ai sensi dell’articolo
360 bis c.p.c., n. 2, (Cass., 15 maggio 2012, n. 7558).
2. Con i primi
tre motivi, il ricorrente denuncia l’omessa, errata e contraddittoria
valutazione delle prove, nonche’ la violazione e/o falsa applicazione
dell’articolo 437 c.p.c., in relazione alle domande volte ad ottenere il
compenso per le mansioni aggiuntive e per il lavoro straordinario svolti
dall’1/4/2003 al 31/12/2004, nonche’ il risarcimento del danno da mobbing.
Assume che la Corte territoriale non avrebbe considerato i consistenti elementi
di prova, testimoniale e documentale, da cui erano emersi i fatti costitutivi
delle sue pretese.
3. Con il quarto
motivo denuncia l’errata valutazione delle prove e la violazione e falsa
applicazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 7, e della Legge n. 604 del
1966, articolo 2, con riferimento alla genericita’ della contestazione e
all’omesso esame dell’eccezione di invalidita’ del licenziamento per mancata
comunicazione dei motivi. In particolare, lamenta che, non essendo stati
indicati specificamente i documenti cancellati, gli era stato impedito di
valutare se effettivamente essi avessero un valore ed un’importanza essenziale
per Io svolgimento dell’attivita’ lavorativa e, quindi, per valutare la
gravita’ della sua condotta e la proporzionalita’ della sanzione.
4. Con il quinto
motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione della Legge n. 300 del
1970, articolo 7, dell’articolo 2697 c.c., degli articoli 112, 416 e 437
c.p.c., con riferimento alla questione della mancata affissione del codice
disciplinare. In particolare, deduce che, fin dal ricorso introduttivo del
giudizio, egli aveva eccepito tale circostanza e la convenuta, dopo aver
dedotto che il codice era presente nella rete intranet della societa’, non
aveva ulteriormente contestato la sua eccezione, ne’ aveva provato il suo
assunto. In ogni caso, tale modalita’ di affissione del codice era del tutto
inadeguata a soddisfare il requisito della pubblicita’. Quanto alla seconda
affermazione della Corte, secondo cui l’affissione non era necessaria, poiche’
la condotta ascrittagli costituiva una violazione del cosiddetto “minimo
etico”, il ricorrente rileva che tale questione non era mai stata sollevata
dalla convenuta e, sotto tale aspetto, la decisione si poneva in violazione
dell’articolo 112 c.p.c.. Aggiunge che, comunque, non essendosi in presenza di
un illecito penale, la condotta addebitatagli doveva essere necessariamente
prevista da un codice disciplinare, da rendere conoscibile attraverso le
modalita’ previste dall’articolo 7 citato.
5. Con il sesto
motivo denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della Legge n. 300 del
1970, articolo 7, e della Legge n. 604 del 1966, articolo 2, in ragione della
violazione del principio di immutabilita’ dei motivi di licenziamento e della
conseguente sua illegittimita’. Rileva, infatti, che nella memoria difensiva la
convenuta aveva allegato fatti mai contestati nella lettera di licenziamento,
ivi compresa la sua partecipazione ad una societa’ svolgente attivita’
concorrenziale con la datrice di lavoro.
6. Con il
settimo motivo denuncia l’errata, omessa e contraddittoria motivazione in
ordine all’accertamento dei fatti addebitati, nonche’ la violazione dell’articolo
437 c.p.c., per il mancato svolgimento di attivita’ istruttoria. Si duole della
sentenza nella parte in cui a) ha ritenuto provata e non contestata la
cancellazione di tutti documenti di lavoro dal suo computer; b) ha ritenuto non
provata l’esistenza di un CD-ROM su cui egli aveva riversato i dati cancellati
dal computer aziendale, circostanza questa confermata dal teste (OMISSIS) e
specificamente dedotta nella lettera di giustificazione prodotta in giudizio
(doc. 38, pag. 2, punti 17-18); b) ha ritenuto che il messaggio inviato al
ricorrente di cancellare i dati riguardasse esclusivamente le e-mail, non anche
l’ulteriore documentazione; c) non aveva valutato che, a seguito della
cancellazione dei dati, aveva ricevuto i complimenti del responsabile informatico
d) che inoltre tutti documenti erano stati archiviati nella banca dati
aziendali denominata “in touch” e che comunque erano stati recuperati; che,
pertanto, difettava la prova della gravita’ e irreparabilita’ del danno
cagionato.
7. Con l’ottavo
motivo, denuncia l’omessa e contraddittoria motivazione sulla giusta causa, la
violazione e falsa applicazione degli articoli 2119 e 2118 c.c., anche sotto il
profilo del difetto di proporzionalita’. Ribadisce quanto gia’ affermato nel
precedente mezzo ed aggiunge, quanto al supposto svolgimento da parte sua di
un’attivita’ concorrenziale con la datrice di lavoro, che si trattava di una
circostanza non provata e comunque mai fatta oggetto di contestazione.
Peraltro, egli aveva chiesto di provare la diversita’ delle attivita’ svolte
dalla societa’ di cui era socio rispetto a quelle della (OMISSIS). Infine, in
merito, infine, all’utilizzo del computer per finalita’ personali, il giudice
non aveva tenuto conto del fatto che esso si riduceva alla mancata richiesta di
autorizzazione per l’installazione di un programma, dato che il regolamento
aziendale prevedeva la possibilita’ di utilizzo del computer per motivi
personali.
8. Infine, con
il nono motivo, denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articoli
146 e 151 ccnl commercio e deduce che la sua condotta non rientrava nel
combinato disposto delle due norme.
9. I primi tre
motivi, di cui appare opportuna la trattazione congiunta in ragione della
connessione che li lega, sono inammissibili. Con riguardo ai dedotti vizi di
violazione di legge, l’inammissibilita’ sta nel fatto che la ricorrente non
indica quale affermazione della Corte territoriale sia in contrasto con le
norme indicate, in particolare con gli articoli 416 e 437 c.p.c.. Per ormai
consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, deve essere
dedotto, a pena di inammissibilita’, giusta la disposizione dell’articolo 366
c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate,
ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed
esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate
affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in
contrasto con le indicate norme regolatoci della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’,
diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale
compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta,
quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati
per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente
violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate
dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia,
(cfr. Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 19
gennaio 2005, n. 1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106).
10. In merito ai
vizi motivazionali denunciati, la ragione dell’inammissibilita’ sta nel difetto
di autosufficienza delle censure, avendo la parte trascritto solo per stralcio
le deposizioni testimoniali che assume non valutate o mal valutate, non indica
dove le dette deposizioni sarebbero attualmente rinvenibili, mediante la
precisa indicazione del verbale di causa in cui sarebbero state raccolte e
della sua attuale allocazione nei fascicoli di parte o d’ufficio delle
pregresse fasi del giudizio, non riporta, neppure per sintesi, il contenuto dei
documenti della cui mancata o erronea valutazione si duole. Tali omissioni
violano il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in ossequio
al quale il ricorrente che, in sede di legittimita’, denunci il difetto di
motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla
valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha
l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il
contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di
merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di
legittimita’ il controllo della decisivita’ dei fatti da provare, e, quindi,
delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per
cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni
contenute nell’atto, alle cui lacune non e’ consentito sopperire con indagini
integrative. (Principio affermato ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., comma
1). (Cass., 30 luglio 2010, n. 17915). Infine, cio’ vale anche con riguardo al
mancato esercizio da parte del giudice del merito dei suoi poteri istruttori,
non avendo la parte precisato quando, come e dove avrebbe sollecitato, ed in
che termini, i poteri istruttori ufficiosi del giudice del merito (Cass., 16
maggio 2002, a 7119).
11. Infine, i motivi
sono inammissibili dal momento che con essi la parte intende far valere la non
rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito alla
sua personale opinione e, in particolare, prospetta un soggettivo, migliore e
piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti: tali aspetti del
giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli
elementi di prova e degli apprezzamenti del fatto, attengono al libero
convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo
rilevanti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Diversamente il
motivo del ricorso per cassazione si risolverebbe in una inammissibile istanza
di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni
raggiunte dal giudice di merito, cui non puo’ imputarsi di aver omesso
l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e la disamina degli elementi di
giudizio ritenuti non significativi, giacche’ ne’ l’una ne’ l’altra gli sono
richieste (ex plurimis, Cass., 25 maggio 2006, n. 12446; Cass., 6 febbraio
2007, n. 2577).
12. Peraltro,
nel caso in esame, la Corte ha svolto un ragionamento congruo ed esaustivo,
oltre che sonetto da precisi riferimenti alle evidenze istruttorie acquisite
nel corso del giudizio, escludendo che al ricorrente sia mai stata attribuita
la superiore qualifica di generai development manager – e, conseguentemente,
negandogli il diritto ai compensi aggiuntivi -, cosi’ come ha ritenuto
indimostrato lo svolgimento di lavoro straordinario, in considerazione del dato
accertato che il (OMISSIS) non aveva l’obbligo della doppia timbratura ed era
pertanto libero di entrare in orari non predeterminati, nonche’ della mancanza
di prova di una durata della prestazione lavorativa eccedente i limiti della
ragionevolezza in rapporto alla tutela, costituzionalmente garantita, del
diritto alla salute. Anche in ordine al mobbing, la motivazione e’ completa e
priva di interne contraddizioni, poiche’ i giudici del merito hanno accertato
l’insussistenza in concreto di una condotta vessatoria tenuta dalla datrice di
lavoro ai danni del ricorrente, avendo ritenuto insussistenti gli elementi
sintomatici del mobbing indicati dal ricorrente, come la disponibilita’ di una
segretaria personale che gli sarebbe stata poi inopinatamente sottratta;
l’esclusione dalla partecipazione a riunioni (giacche’ queste in realta’
riguardavano i dirigenti e non anche i quadri, come il ricorrente), la mancata
stipulazione di contratto promosso dal (OMISSIS), essendo essa conseguita ad
una valutazione di convenienza della datrice di lavoro, e non gia’ sorretta da
fini meramente ritorsivi.
13. Il quarto
motivo e’ infondato. La Corte, anche qui con ragionamento congruo ed esaustivo,
ha ritenuto specifica la contestazione, non solo per la ragione che il
lavoratore e’ stato in grado di difendersi adeguatamente, quanto piuttosto per
il contenuto stesso della lettera di contestazione, con cui si e’ addebitata al
lavoratore la distruzione di tutti i documenti aziendali presenti sul suo computer,
ivi compresa la corrispondenza elettronica. Ogni ulteriore specificazione
sarebbe stata, pertanto, a giudizio della Corte, superflua. Va poi rilevato che
il canone della specificita’, nella contestazione dell’addebito, non richiede
l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, come accade nella formulazione
dell’accusa nel processo penale, ma esso e’ rispettato ogniqualvolta assolva
alla funzione di consentire al lavoratore incolpato di esercitare pienamente il
proprio diritto di difesa (Cass., 30 dicembre 2009, n. 27842; Cass., 3 marzo
2010, n. 5115). Diritto di difesa che, nella specie, e’ stato compiutamente
esercitato.
14. Anche il
quinto motivo e’ infondato. Va ricordato che, secondo la giurisprudenza
costante di questa Corte, non e’ necessaria la previa affissione codice
disciplinare, in presenza della violazione di norme di legge e comunque di
doveri fondamentali del lavoratore, riconoscibili come tali senza necessita’ di
specifica previsione (Cass., 3 ottobre 2013, n, 22626; Cass., 29 agosto 2014,
n. 18462).
15. In
applicazione del suddetto principio, il giudizio espresso dalla Corte circa il
disvalore sociale della condotta tenuta dal lavoratore, – poiche’ ha ritenuto
intrinseco ai doveri di fedelta’ e diligenza del lavoratore quello di non distruggere
i beni aziendali, tra cui rientrano senz’altro i documenti informatici,
rimarcando che tale condotta costituisce reato ex articolo 635 bis c.p. -,
appare congruo e motivato, rientrando nel potere del giudice di merito di
apprezzare i fatti e di inquadrarli nell’esatta cornice normativa, senza che
con cio’ possa dirsi violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed
il pronunciato (cfr. sul potere del giudice di convenire il licenziamento per
giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, senza violare
il principio di corrispondenza tra il chiesto il pronunciato v. Cass., 9 giugno
2014, n. 12884).
16. A fronte,
invero, dell’immutabilita’ dei fatti oggetto di contestazione, la
qualificazione della condotta ascritta al lavoratore e la sua inclusione nel
concetto di “minimo etico” – piuttosto che tra le violazioni di prassi
operative o disposizioni aziendali per le quali e’ necessaria l’inclusione nel
codice disciplinare e la sua pubblicita’ -, richiedono un’attivita’ valutativa
da parte dell’interprete tramite valorizzazione di fattori esterni relativi
alla esistenza generale, che non puo’ essere censurata ih sede di legittimita’
allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata
della specificita’ dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto.
Rimane, invece, praticabile il sindacato di legittimita’ per vizio ex articolo
360 c.p.c., n. 3, in quei casi in cui gli standards valutativi, sulla cui base
e’ stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi
costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme
suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, ed, infine, anche in
quei casi in cui i suddetti standards valutativi si pongano in contrasto con
regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione
giurisprudenziale e per il carattere di generalita’ assunta – come vero e
proprio “diritto vivente” (cosi’, Cass., 17 agosto 2004, n. 16037). Nel caso in
esame, la decisione della Corte d’appello risulta pronunziata all’esito di una
attenta valutazione del materiale probatorio ed e’ la risultante di un iter
argomentativo sorretto da una esauriente e logica motivazione.
17. Il sesto
motivo e’ infondato. Il principio di immutabilita’ della contestazione
dell’addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell’articolo 7 dello
statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi,
diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati
e situati a distanza di tempo dal recesso, quali circostanze confermative della
significativita’ di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine
della valutazione della complessiva gravita’, sotto il profilo psicologico,
delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalita’ o meno del
correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro (Cass., 19 gennaio
2011, n. 1145). Nel caso in esame, la circostanza relativa alla partecipazione
del lavoratore ad altra societa’ e’ stato valorizzato dalla Corte non gia’ come
causa autonoma del licenziamento bensi’ come circostanza sintomatica della
inaffidabilita’ del dipendente e della lesione del vincolo fiduciario. Risulta
cosi’ assorbita la questione circa la mancanza di prova dello svolgimento di una
attivita’ in concorrenza con la societa’, trattandosi di circostanza non
decisiva.
18. Gli ultimi
tre motivi di ricorso sono, in parte, inammissibili e, in parte, infondati.
19. Va in primo
luogo rilevato che la Corte territoriale ha accertato che l’ordine di
cancellare i dati riguardava solo i messaggi di posta elettronica e non anche
l’ulteriore documentazione presente nel computer del lavoratore, mentre ha
ritenuto non provate le giustificazioni addotte da quest’ultimo, e, in
particolare, il fatto di aver riversato tutti i dati su un CD-ROM messo a
disposizione della societa’. Quanto alla circostanza dedotta dal ricorrente,
secondo cui la societa’ avrebbe comunque recuperato tutti dati da lui
cancellati, la Corte territoriale l’ha espressamente smentita, dando rilievo
alle deposizioni testimoniali da cui era emerso che la societa’ aveva potuto
recuperare solo parte dei files cancellati attraverso il sistema back up.
20. Tali
accertamenti, in quanto sorretti da precise risultanze processuali (in particolare
le deposizioni dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)), sono insindacabili
in questa sede. Nei motivi di ricorso, cosi’ come nella memoria ex articolo 378
c.p.c., il lavoratore insiste diffusamente (negandole) sulle indicate
circostanze, ritenendo che sul punto la Corte territoriale sarebbe incorsa in
un travisamento dei fatti, che invece sarebbero diversi secondo quanto
desumibile dalle deposizioni del testi e dal Contenuto della secondo quanto
desumibile dalle deposizioni dei testi e dal contenuto della sua lettera di
giustificazione (doc. 38, pag. 2, punto 18). I motivi, tuttavia, difettano di
autosufficienza, dal momento che la parte riporta solo stralci delle
deposizioni che ritiene fondanti le sue censure, mentre non trascrive il
contenuto della lettera di giustificazione, dal cui dovrebbe emergere la messa
a disposizione del CD-ROM contenente tutti i dati cancellati.
21. Si
richiamano qui i principi gia’ espressi nei punti che precedono (sub 10 e 11),
in tema di autosufficienza (cui adde, ex plurimis, Cass., 28 febbraio 2006, n.
4405; Cass., 28 giugno 2006, n. 14973; Cass., 21 luglio 2010, n. 17097).
22. A fronte
della su descritta ricostruzione del quadro fattuale da parte dei giudici del
merito, la valutazione della gravita’ degli addebiti e della loro idoneita’ ad
integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto
riservato al giudice di merito, il quale per stabilire in concreto l’esistenza
di una giusta causa di licenziamento, tale da comportare una grave negazione
degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello
fiduciario, deve valutare da un lato la gravita’ dei fatti addebitati al
lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle
circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensita’ dell’elemento
intenzionale, dall’altro la proporzionalita’ fra i fatti e la sanzione
inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la
collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o
meno la massima sanzione disciplinare, definitivamente espulsiva (cfr. ex
plurimis Cass. 4 giugno 2002 n. 8107; Cass., 8 settembre 2006, n. 19270; Cass.,
26 aprile 2012, n. 6498; Cass., 25 maggio 2012, n. 8293).
23. Anche sotto tale
profilo, il giudizio della corte appare congruo ed esaustivo; esso inoltre e’
sorretto dalle specifiche previsioni del C.C.N.L. il quale prevede la sanzione
del licenziamento in caso di “grave violazione degli obblighi di cui
all’articolo 146, commi 1 e 2, seconda parte” (articolo 151) tra cui rientra
“l’obbligo di conservare diligentemente le merci e i materiali dell’impresa”
(articolo 146, comma 2). Tale valutazioni in termini di gravita’ non puo’
essere disgiunta dalla considerazione, pure rinvenibile in sentenza, del
rilievo penale della condotta ascritta al lavoratore, sotto la specie del reato
di danneggiamento di dati informatici previsto dall’articolo 635 bis c.p., il
quale deve ritenersi integrato anche quando la manomissione ed alterazione dello
stato di un computer sono rimediabili soltanto attraverso un intervento
recuperatorio postumo comunque non reintegrativo dell’originaria configurazione
dell’ambiente di lavoro. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la
sussistenza del reato in un caso in cui era stato cancellato, mediante
l’apposito comando e dunque senza determinare la definitiva rimozione dei dati,
un rilevante numero di file, poi recuperati grazie all’intervento di un tecnico
informatico specializzato) (Cass. pen., ud. 18 novembre 2011, n. 8555, dep. 5
marzo 2012).
24. In
definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della
controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 100,00
per esborsi e euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali e
oneri accessori come per legge.
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