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lunedì 27 aprile 2015

Gli infortuni in agricoltura in calo, ma aumentano le malattie professionali

In relazione al quinquennio 2009-2013, un’analisi pubblicata sul periodico statistico “Dati Inail” ha evidenziato che, nel settore agricolo, a fronte di una flessione degli incidenti denunciati, pari al 23,5%, è stato registrato l’incremento eccezionale del 141% delle malattie professionali, passate da circa quattromila a quasi 9.500.

 I dati elaborati dall’Istituto confermano, in sostanza, l’elevato tasso di rischio infortunistico al quale, tradizionalmente, risultano esposti i lavoratori del settore agricolo, sia in termini assoluti sia, soprattutto, in termini relativi.  Per ogni mille addetti, infatti, i dipendenti del comparto indennizzati sono stati ben 49, contro i 24,33 dell’industria e dei servizi.

Il maggior numero di infortuni (un caso su tre) si è verificato nel Nord-Est del Paese, in particolare in Emilia Romagna (5.200) e Veneto (oltre 3.500), mentre in Puglia e in Sicilia, che hanno il maggior numero di lavoratori e di aziende e la più estesa superficie agricola utilizzata, gli infortuni risultano più contenuti (2.700 e 2.200).

Per gli uomini, la classe di età più coinvolta negli infortuni è quella compresa tra i 35 ed i 49 anni (34,5%), mentre per le donne è quella  tra i 50 ed i 64 anni (44,8%).

La componente straniera, invece, è pari a circa il 12% del totale, cui concorrono soprattutto, tra i lavoratori di origine europea, i romeni (3,3%) e gli albanesi (1,5%) e, tra i non europei, quelli provenienti dai Paesi africani (2,6%) ed asiatici (2,4%).

Le lavorazioni più rischiose sono legate alla coltivazione del terreno, sia per la forte componente di opera manuale che per i mezzi meccanici comunque utilizzati. A prevalere sono le cadute (un terzo dei casi), soprattutto da strutture edili e superfici, e la perdita di controllo (un quarto dei casi) di utensili, materiali, veicoli terrestri, macchine e attrezzature portatili.

Tra le malattie professionali, invece, l’86% dei casi riguarda il sistema osteo-articolare e dei muscoli, l’8,3% quello nervoso e degli organi di senso e il 2,4% l’apparato respiratorio.

L’analisi in commento ha approfondito, inoltre, i pericoli legati alla radiazione solare ultravioletta (cancerogeno di gruppo 1),  che possono provocare una serie conseguenze per la salute di chi lavora all’aperto, con effetti sia nel breve che nel lungo termine.

Anni di sovraesposizione senza idonee protezioni, infatti, possono causare gravi danni alla pelle, che vanno da un prematuro invecchiamento ad un aumentato rischio di insorgenza del cancro, così come problemi significativi agli occhi.

I raggi ultravioletti UVA e UVB possono penetrare nella pelle anche nei giorni in cui il cielo è coperto, visto che le nuvole non sono in grado di trattenerli. Di qui la necessità di utilizzare sempre adeguati prodotti antisolari, che dovrebbero essere applicati almeno 20 minuti prima dell’esposizione al sole – con particolare attenzione a volto, cuoio capelluto, orecchie, labbra, collo e dorso delle mani – ed applicati nuovamente dopo due-tre ore, soprattutto in caso di attività che comportano grande sudorazione.

Vanno inoltre indossati indumenti composti da tessuti a trama fitta in cotone/poliestere o, per i soggetti più fotosensibili con storie di cancro della pelle, capi con filtri antiUV, cappelli a larga tesa e occhiali da sole con protezione UV, tenendo in considerazione anche l’eventuale assunzione di farmaci che aumentano la sensibilità alla luce solare, come alcuni diuretici, antibiotici e antinfiammatori.

Per una prevenzione efficace, inoltre, ogni lavoratore dovrebbe effettuare un autoesame della pelle, per evidenziare precocemente eventuali anomalie, e privilegiare le mansioni lavorative all’interno o all’ombra nelle ore a maggiore esposizione.

Valerio Pollastrini

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