Nel
caso di specie, il Tribunale di Torino, ritenuti ingiustificati gli utilizzi suddetti, aveva
rigettato il ricorso proposto dal dipendente che aveva chiesto di dichiarasi l’illegittimità
del licenziamento intimatogli per giusta causa.
Tuttavia,
detto recesso era stato successivamente ritenuto illegittimo dalla Corte di
Appello del capoluogo piemontese.
Nel
motivare la propria decisione, la Corte territoriale aveva osservato come, una
volta autorizzato l’uso privato dell’autovettura di servizio da parte della
società ed una volta reputate, altresì, insussistenti le contestazioni
concernenti le violazioni dell’obbligo di compilare sempre e comunque le “lettere di incarico” al fine di rendere
controllabili la fondatezza delle richieste di rimborso spese, il giudice di
primo grado fosse incorso in un evidente salto logico allorché aveva concluso –
senza alcun valido riscontro probatorio ne’ scritto ne’ orale – che incombesse,
invece, sul dipendente l’obbligo di giustificare l’uso privato del mezzo solo
per le spese relative al telepass per le quali soltanto egli era tenuto a
rimborsare alla società gli esborsi non strettamente collegati all’esercizio
della attività lavorativa, diversamente da quanto avveniva per le spese di
altro genere.
Inoltre,
sempre a detta del giudice dell’appello, che la sentenza di primo grado non
potesse essere condivisa risultava acclarato anche dalle dichiarazioni dei
testi escussi, i quali avevano smentito che in relazione all’uso del telepass
fosse stato imposto l’obbligo di un rimborso o di un semplice rendiconto, non
diversamente, del resto, da quanto accadeva per il consumo del carburante e,
più in generale, per l’utilizzo della autovettura aziendale.
Avverso
tale sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente
reputato che fosse un onere su di essa gravante quello di provare che la carta
di credito aziendale ed il telepass non fossero in “uso promiscuo” e che il dipendente non potesse quindi utilizzarli
senza obbligo di rendiconto per l’acquisto del carburante e per il pagamento
dei pedaggi nel caso di uso in proprio dell’autovettura.
Nella
stessa ottica, inoltre la società aveva rimarcato che il giudice dell’appello
avrebbe inopinatamente reputato che la
concessione in uso dell’autovettura e l’assenza di puntuali controlli sui
giustificativi di spesa potessero valere come autorizzazione implicita al
dipendente dell’uso della carta di credito (per l’acquisto di carburanti) e del
telepass (per il pagamento di pedaggi) anche in caso di uso privato
dell’autovettura.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto prive di fondamento le censure
predette, giudicate inidonee a scalfire la fondatezza delle ragioni di fatto e
di diritto poste a base della impugnata sentenza, in quanto prive della
necessaria specificità e, per di più, non conferenti con i passaggi
motivazionali della impugnata decisione della Corte torinese, finendo per
tradursi in una richiesta di nuovi accertamenti dei fatti di causa ed in un
ulteriore esame delle risultanze processuali, il che non e’ consentito in sede
di giudizio di legittimità.
Gli
ermellini hanno quindi concluso osservando come il giudice dell’appello avesse supportato la
propria decisione non sulla base di mere presunzione ma su risultanze ritualmente
acquisite al processo e sulla deposizione dei testi escussi che avevano
costituito una prova capace di smentire l’assunto della società, consentendo
alla Corte territoriale di ritenere provate le ragioni del dipendente, con il
consequenziale effetto di determinare il rigetto del presente ricorso per Cassazione.
Valerio
Pollastrini
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