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lunedì 9 marzo 2015

Senza onere di rendicontazione, il bene aziendale si considera concesso al dipendente ad uso promiscuo

Nella sentenza n.3479 del 20 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha escluso che l’utilizzo a fini privati di autovettura, carta di credito e telepass aziendali possa legittimare il licenziamento del dipendente, a patto che l’imprenditore non abbia imposto precisi oneri di rendicontazione sull’uso di tali benefit.

Nel caso di specie, il Tribunale di Torino,  ritenuti  ingiustificati gli utilizzi suddetti, aveva rigettato il ricorso proposto dal  dipendente che aveva chiesto di dichiarasi l’illegittimità del licenziamento intimatogli per giusta causa.

Tuttavia, detto recesso era stato successivamente ritenuto illegittimo dalla Corte di Appello del capoluogo piemontese.

Nel motivare la propria decisione, la Corte territoriale aveva osservato come, una volta autorizzato l’uso privato dell’autovettura di servizio da parte della società ed una volta reputate, altresì, insussistenti le contestazioni concernenti le violazioni dell’obbligo di compilare sempre e comunque le “lettere di incarico” al fine di rendere controllabili la fondatezza delle richieste di rimborso spese, il giudice di primo grado fosse incorso in un evidente salto logico allorché aveva concluso – senza alcun valido riscontro probatorio ne’ scritto ne’ orale – che incombesse, invece, sul dipendente l’obbligo di giustificare l’uso privato del mezzo solo per le spese relative al telepass per le quali soltanto egli era tenuto a rimborsare alla società gli esborsi non strettamente collegati all’esercizio della attività lavorativa, diversamente da quanto avveniva per le spese di altro genere.

Inoltre, sempre a detta del giudice dell’appello, che la sentenza di primo grado non potesse essere condivisa risultava acclarato anche dalle dichiarazioni dei testi escussi, i quali avevano smentito che in relazione all’uso del telepass fosse stato imposto l’obbligo di un rimborso o di un semplice rendiconto, non diversamente, del resto, da quanto accadeva per il consumo del carburante e, più in generale, per l’utilizzo della autovettura aziendale.

Avverso tale sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente reputato che fosse un onere su di essa gravante quello di provare che la carta di credito aziendale ed il telepass non fossero in “uso promiscuo” e che il dipendente non potesse quindi utilizzarli senza obbligo di rendiconto per l’acquisto del carburante e per il pagamento dei pedaggi nel caso di uso in proprio dell’autovettura.

Nella stessa ottica, inoltre la società aveva rimarcato che il giudice dell’appello avrebbe inopinatamente  reputato che la concessione in uso dell’autovettura e l’assenza di puntuali controlli sui giustificativi di spesa potessero valere come autorizzazione implicita al dipendente dell’uso della carta di credito (per l’acquisto di carburanti) e del telepass (per il pagamento di pedaggi) anche in caso di uso privato dell’autovettura.

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto prive di fondamento le censure predette, giudicate inidonee a scalfire la fondatezza delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della impugnata sentenza, in quanto prive della necessaria specificità e, per di più, non conferenti con i passaggi motivazionali della impugnata decisione della Corte torinese, finendo per tradursi in una richiesta di nuovi accertamenti dei fatti di causa ed in un ulteriore esame delle risultanze processuali, il che non e’ consentito in sede di giudizio di legittimità.

Gli ermellini hanno quindi concluso osservando come  il giudice dell’appello avesse supportato la propria decisione non sulla base di mere presunzione ma su risultanze ritualmente acquisite al processo e sulla deposizione dei testi escussi che avevano costituito una prova capace di smentire l’assunto della società, consentendo alla Corte territoriale di ritenere provate le ragioni del dipendente, con il consequenziale effetto di determinare il rigetto del presente ricorso per Cassazione.

Valerio Pollastrini

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