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martedì 17 febbraio 2015

Quando lo scherzo può costare il licenziamento

Nella sentenza n.2904 del 13 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad un lavoratore in seguito ai numerosi scherzi organizzati in azienda.

Nel caso di specie, il dipendente aveva adito il Giudice del Lavoro chiedendo che dichiarasse illegittimo il recesso intimatogli dopo lo scherzo compiuto ai danni di un suo collega.

In particolare, il datore di lavoro aveva contestato al ricorrente di “avere sulla linea di assemblaggio dello schienale anteriore dell’Alfa Mito, volutamente inserito nei tubi “Protech” carte ed altro materiale di risulta”.

Dopo che il Tribunale del primo grado aveva parzialmente accolto la domanda del lavoratore, trasformando il recesso per giusta causa nel più lieve licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la Corte di Appello aveva successivamente ritenuto illegittimo l’atto espulsivo, condannando la società alla reintegra del lavoratore ed al risarcimento del danno secondo quanto previsto dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori.

Pur avendo accertata la veridicità dei fatti contestati al dipendente, la Corte territoriale aveva ritenuto, infatti, che la sanzione del licenziamento fosse sproporzionata.

Questa decisione, tuttavia, è stata sconfessata dalla Cassazione, che, investita della questione, ha precisato come, nel corso dei giudizi del merito, fosse stato accertato che, a di là dei fatti all’oggetto del licenziamento di cui è causa, il lavoratore, in passato, avesse più volte posto in essere comportamenti dello stesso tenore.

A detta degli ermellini, in sostanza, il giudice dell’appello, dopo aver accertato il prolungarsi di una condotta  tradottasi in  un grave inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza gravanti sul lavoratore subordinato, aveva errato nell’escludere in relazione ai fatti predetti la legittimità della massima sanzione espulsiva.

Valerio Pollastrini

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