Nella
sentenza n.2138 del 5 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che,
in caso di infortunio del dipendente, è il datore di lavoro che deve provare di
non essere imputabile per la violazione dell’obbligo di sicurezza.
Nel
caso di specie, la Corte di Appello di Roma aveva confermato la sentenza con la
quale il Tribunale di Frosinone, dichiarata una società civilmente responsabile dell’incidente subito
dal dipendente, aveva condannato la stessa al pagamento in favore dell’Inail
della somma di 122.354,49 €, a titolo di rimborso delle somme erogate dall’Istituto
a seguito dell’infortunio.
In
particolare, la Corte territoriale aveva osservato che, in tema di
responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell'art.2087
cod. civ., la parte che subisce l'inadempimento, ovvero l’Istituto assicuratore
che agisce in via di regresso (1), non è tenuta a dimostrare la colpa dell'altra parte,
dato che, ai sensi dell'art.1218 cod. civ., è il debitore-datore di lavoro che
deve provare l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della
stessa o, comunque, che il pregiudizio che abbia colpito la controparte sia derivato
da causa a lui non imputabile.
In
relazione alla vicenda ad oggetto, la Corte del merito, sulla base delle prove
testimoniali raccolte, era pervenuta alla convinzione della responsabilità del
datore di lavoro nella determinazione dell’infortunio, poiché non aveva
predisposto idonee misure di sicurezza.
Avverso
questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo
che l’Inail non avrebbe provato e neppure dedotta l’esistenza di un fatto ad essa
imputabile, costituente reato perseguibile d’ufficio.
Secondo
la ricorrente, inoltre, vertendo la questione nell’ambito della responsabilità
extracontrattuale ex art.2049 cod. civ., l’onere della prova incomberebbe su
chi aziona il credito e quindi sull’Inail e non sul datore di lavoro.
A
ciò la società aveva aggiunto che l’Inail non avrebbe dedotto né provato il fatto
costituente reato ex art.590 cod, pen., presupposto per l’azione di regresso,
sostenendo che detta azione di regresso da parte dell’Istituto sarebbe
subordinata alla prova della sussistenza del fatto costituente reato
perseguibile d’ufficio.
Investita
della questione, la Cassazione ha ritenuto infondate le censure predette,
ricordando come, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la
responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di sicurezza
previsto dall’art.2087 cod. civ. ha natura contrattuale, derivando tale
qualificazione in base alla considerazione che, da un lato, il contenuto del
contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (2) dalla suddetta
norma e, dall'altro, che la responsabilità contrattuale è configurabile tutte
le volte che risulti fondata sull’inadempimento di un’obbligazione giuridica
preesistente, comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato.
In
particolare, il diritto al risarcimento è subordinato alla sussistenza dei
presupposti rispettivi della
responsabilità civile, contrattuale oppure extra contrattuale (3).
Infatti,
la colpa risulta, bensì, essenziale per qualsiasi tipo di responsabilità
civile, ma solo per quella contrattuale vige il regime particolare per la ripartizione
dell'onere probatorio (4).
Ne
risulta, infatti, stabilita - in deroga ai principi generali nella stessa
materia (5), applicabili
invece ad ogni altro tipo di responsabilità - la presunzione legale di colpa,
appunto, a carico del responsabile del
danno da risarcire (6).
Di
conseguenza, risulta dispensato dall'onere
probatorio relativo proprio il creditore
danneggiato, che - in quanto agisce per il risarcimento - ne sarebbe gravato in
base ai principi generali in materia.
Sul
punto, ad avviso della consolidata giurisprudenza di legittimità (7), la responsabilità del datore di lavoro per
inadempimento dell’obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.), gli impone l'adozione delle misure - di
sicurezza e prevenzione, appunto - che, "secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori
di lavoro".
D'altro
canto, secondo gli ermellini nessun dubbio può sussistere sulla prospettata
qualificazione giuridica della stessa responsabilità - di natura contrattuale,
appunto - ove si consideri, da un lato, che il contenuto del contratto
individuale di lavoro risulta integrato - per legge (ai sensi dell'art.1374
c.c.) - dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e, dall'altro, che la responsabilità
contrattuale è configurabile tutte le volte che risulti fondata
sull'inadempimento di un’obbligazione giuridica preesistente, comunque assunta
dal danneggiarle nei confronti del danneggiato.
Dalla
prospettata natura contrattuale della responsabilità, la stessa giurisprudenza
ricava, per quel che qui interessa, significative implicazioni sul piano della
distribuzione degli oneri probatori relativi.
Come
è già stato anticipato, infatti, la presunzione legale di colpa a carico del
datore di lavoro inadempiente all'obbligo di sicurezza deroga, parzialmente, il principio
generale che impone - a "chi vuol fare valere un diritto in giudizio"
- l'onere di provare i "fatti che ne
costituiscono il fondamento".
Non
ne risulta, tuttavia, una ipotesi di responsabilità oggettiva, né la dispensa,
da qualsiasi onere probatorio, del lavoratore danneggiato.
Questi,
infatti, resta gravato - in forza del ricordato principio generale - dell'onere
di provare il "fatto"
costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza, nonché il nesso di
causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito,
mentre esula dall'onere probatorio a carico del dipendente - in deroga,
appunto, allo stesso principio generale - la prova della colpa del datore di
lavoro nel danneggiarlo, sebbene concorra ad integrare la fattispecie
costitutiva del diritto al risarcimento.
Ai
sensi dell’art.1218 c.c., infatti, è lo stesso datore di lavoro ad essere
gravato - quale "debitore", in
relazione all’obbligo di sicurezza - dell'onere di provare la non imputabilità
dell'inadempimento (8).
Dopo
aver chiarito questo aspetto, la Suprema Corte ha poi ricordato che l’azione di
regresso promossa dall'Inail (9) è connotata da una sua peculiarità ed autonomia. Essa,
infatti, è concessa all'Istituto in funzione delle sue finalità ed è esperibile contro il datore di lavoro
responsabile del fatto da cui è derivato l'infortunio, attuando un autonomo
diritto dell'Ente derivante dal rapporto assicurativo.
Secondo
la disciplina di riferimento, in sostanza, il presupposto del diritto di regresso
è costituito dalla circostanza che il fatto di cui il datore di lavoro deve
rispondere civilmente costituisca reato perseguibile d’ufficio.
Sul
punto, la Cassazione ha ricordato, inoltre, che, per effetto degli interventi
della Corte Costituzionale (10), l'accertamento giudiziale dell’obbligazione del
datore di lavoro può avvenire sia in sede penale che in quella civile.
Il
processo penale, infatti, si può chiudere con sentenza di condanna o di
assoluzione che non fa stato, rispettivamente, nei confronti del datore di
lavoro o dell’Inail, rimasti estranei al giudizio, e, in tal caso, l'accertamento
deve essere compiuto nel giudizio civile.
Ne
consegue che le azioni in sede civile possono essere esperite indipendentemente
dal processo penale, salvo il riscontro dell'eventuale pregiudizialità penale.
Egualmente,
l'accertamento deve compiersi esclusivamente in sede civile quando, per qualsiasi
causa, non sia stato espletato in sede penale e lo stesso avviene se un
procedimento penale non si è mai aperto per difetto della relativa notitia criminis.
Discende
dal sistema, dunque, che perché nasca il credito dell'Istituto verso la persona
civilmente obbligata è necessario che il fatto costituisca reato perseguibile
di ufficio, ma l’accertamento giudiziale, sempre che si renda necessario in
mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario
componimento della lite, può avvenire sia in sede civile che in sede penale.
Sulla
base di tutte le richiamate considerazioni, pertanto, la Cassazione ha concluso
rigettando il ricorso.
Valerio
Pollastrini
- - ai sensi dell'art.11 del D.P.R. n.1124/1965;
- - ai sensi dell'art.1374 cod. civ.;
- - vedi, per tutte, Cass., Sentenze n.16250, n.2357 del 2003 e n.15133, n.1114 del 2002;
- - vedi, per tutte, Cass., Sentenza n.16250/2003; Cass., Sentenza n.15133/2002; Cass., Sentenza n.12763/1998;
- - di cui all’art.2697 c.c;
- - vedi, per tutte, Cass., Sentenza n.16250/2003; Cass., Sentenza n.2357/2003; Cass., Sentenza n.15133/2002; Cass., Sentenza n.3162/2002; Cass., Sentenza n.602/2000; Cass., Sentenza n.9247/1998; Cass., Sentenza n.7792/1998; Cass., Sentenza n.4078/1995;
- - vedine, per tutte, le sentenze n. 15133/02, cit., 9385/2001, 291/1999 delle sezioni unite e n. 16250, 2357/2003, 4129, 3162/2002, 14469, 5491, 1307, 602/2000, 7792/1999, 12763, 9247, 3367/1988 della sezione lavoro;
- - Cass., Sentenza n.12445 del 25 maggio 2006;
- - ai sensi degli artt.11 e 112, u.p., del D.P.R. n.1124/1965;
- - in particolare, si vedano le sentenze n. 102 del 1981, n. 118 del 1986 e n. 372 del 1988;
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