Nel
caso di specie, il dipendente di un’azienda, della quale era anche socio, era
stato licenziato a causa degli atti di violenza compiuti ai danni della moglie,
anch’essa socia della datrice di lavoro.
La
Corte di Appello di Lecce, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva
rigettato l’impugnativa di recesso proposta dal dipendente.
In
particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto che detto licenziamento fosse
giustificato in quanto i reiterati atti di violenza commessi dal ricorrente nei
confronti della moglie, sebbene non strettamente inerenti alla prestazione
lavorativa, avevano comportato il venir meno del rapporto fiduciario con il
datore di lavoro, poiché svolti anche all’interno dell’azienda, in presenza di
estranei, ed avevano avuto come vittima uno dei soci.
Avverso
questa sentenza, l’uomo aveva proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che i
citati episodi di violenza sarebbero stati di scarsa importanza e, comunque,
estranei al rapporto di lavoro e, dunque, privi di rilevanza ai fini della
risoluzione del contratto.
Investita
della questione, la Suprema Corte ha ritenuto infondata la predetta censura, a
proposito della quale, gli ermellini hanno precisato che l’incidenza sul
rapporto fiduciario delle condotte addebitate al lavoratore fosse stata puntualmente
esaminata dal giudice dell’appello, il quale aveva accertato il numero elevato
delle violenze perpetrate ai danni della
moglie, che, in ogni caso, era socia dell’azienda.
Inoltre,
la Cassazione ha ricordato come la consolidata
giurisprudenza di legittimità sia concorde nel ritenere anche le condotte
extralavorative potenzialmente idonee a ledere detto rapporto fiduciario. Sul
punto, infatti, è stato rilevato che l’obbligo di fedeltà a carico del
lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art.2105
cod. civ., dovendo integrarsi con gli artt.1175 e 1375 cod. civ., che impongono
correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi,
necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (1) e che, in tema di licenziamento per violazione
dell’obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non
solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 cod. civ., ma anche
qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze,
risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e
nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di
attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente
produttiva di danno (2).
Infatti
gli artt.2104 e 2105 cod. civ., richiamati dalla disposizione dell’art.2106
relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno interpretati restrittivamente e
non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si
riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a
qualificare il rapporto obbligatorio di durata e si estenda a comportamenti che
per la loro natura e per le loro conseguenze appaiano in contrasto con i doveri
connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione
dell'impresa o creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi
dell’impresa (3).
Queste,
in definitiva, le considerazioni in base alle quali la Corte di Cassazione ha rigettato
il ricorso, confermando la legittimità del licenziamento irrogato al
lavoratore.
Valerio
Pollastrini
1)
-
cfr. Cass., Sentenza n.14176/2009;
2)
-
Cass., Sentenza n.6957/2005; Cass., Sentenza n.2474/2008;
3)
-
Cass., Sentenza n.3822/2011;
Nessun commento:
Posta un commento