Il
caso di specie è quello che ha riguardato il conducente di un’azienda di trasporti pubblici che, arrestato dai Carabinieri nell'ambito di un
processo per omicidio colposo, era stato licenziato dopo un’assenza dal
servizio protrattasi per oltre cinque
giorni.
Impugnato
il recesso, l’uomo aveva convenuto in giudizio l’azienda, sostenendo di essere
stato impossibilitato a svolgere la prestazione lavorativa.
In
accoglimento della domanda proposta dal dipendente, il Tribunale di Brescia
aveva disposto la sua reintegrazione in servizio, decisione confermata, successivamente,
anche dalla Corte di Appello.
Investita
della questione, la Cassazione ha rigettato il ricorso aziendale, ritenendo che
le giornate di assenza del lavoratore fossero riconducibili alla impossibilità
di svolgere le prestazioni, a seguito del suo arresto.
Sul
punto, del resto, la giurisprudenza di
legittimità è concorde nel ritenere che un provvedimento restrittivo della
libertà personale, quale causa di impossibilità sopravvenuta temporanea della
prestazione, dia luogo al meccanismo legale della sospensione del rapporto fino
al momento della cessazione dell'impedimento, salvo che l'azienda non riesca a dimostrare il venir meno del suo interesse alla
prosecuzione del vincolo contrattuale.
Valerio
Pollastrini
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