Il
caso di specie è quello che ha riguardato la dipendente di un’impresa
alberghiera che, assunta per occuparsi dell’amministrazione di un nuovo hotel,
era stata inizialmente adibita a mansioni diverse, visto lo slittamento
dell’apertura della struttura.
La
donna era stata licenziata perché, dopo essere stata riassegnata alle originali
mansioni, si era rifiutata di sottostare gerarchicamente al direttore
amministrativo, nel frattempo assunto dalla società.
Impugnato
il recesso, la donna aveva convenuto in
giudizio la datrice di lavoro per ottenere la reintegrazione in servizio ed il
risarcimento del danno da mobbing.
Nel
rigettarne la domanda, la Corte di Appello di Roma aveva osservato che il rifiuto della lavoratrice di sottostare al
neoassunto direttore fosse
ingiustificato e, dunque, sufficiente a legittimarne il licenziamento per giusta causa, atteso che
le diverse mansioni rientravano, in ogni caso, tra quelle di carattere
amministrativo.
In
particolare, il giudice dell’appello aveva motivato la propria decisione
affermando che il potere del datore di
lavoro di organizzare l’attività produttiva determina, inevitabilmente,
l’illegittimità del rifiuto del singolo dipendente di attenersi alla struttura
gerarchica configurata dal primo.
Detta
pronuncia è stata confermata in pieno dalla Cassazione, che, investita della questione,
ha ribadito la sussistenza, in capo al datore di lavoro, del diritto di organizzare
la propria attività e, conseguentemente,
di mutare le mansioni dei dipendenti.
Riguardo
alla supposta condotta mobbizzante, gli ermellini hanno precisato, infine, che, nella vicenda in commento, l’assegnazione
delle diverse mansioni risultava giustificata
dalla mancata apertura dell’hotel, circostanza utile ad escludere il
carattere dequalificante della nuova assegnazione.
Valerio
Pollastrini
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