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venerdì 30 gennaio 2015

Licenziato in seguito all’assenza alla visita di controllo dell'Inps


Nella sentenza n.1603 del 28 gennaio 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che l’assenza del lavoratore in malattia alla visita medica di controllo dell’Inps può giustificare il licenziamento per giusta causa, specie in caso di recidiva.
 

Nel caso di specie, con ricorso alla Corte di Appello di Milano, un lavoratore aveva proposto gravame avverso la sentenza del Tribunale del primo grado, che ne aveva respinto la domanda di impugnazione del licenziamento, intimatogli dall’azienda in data 11 gennaio 2008.
 

L’appellante aveva lamentato che il primo giudice avesse giudicato legittimo il recesso in relazione al solo episodio, dei tre contestati, dell’assenza alla visita di controllo del 17 ottobre 2007, senza considerare che detta assenza sarebbe stata giustificata, per essersi egli recato presso il medico curante per sottoporsi ad un controllo.
 

In ogni caso, secondo il ricorrente  la sanzione espulsiva appariva sproporzionata, dato che, per tale violazione, il codice disciplinare aziendale prevedeva una semplice sanzione disciplinare conservativa.
 

Da ultimo, il lavoratore aveva contestato la valutazione dei suoi precedenti disciplinari, sostenendo la loro minima rilevanza e precisando che, il più grave tra essi, che aveva determinato l’irrogazione della sanzione della sospensione per quattro giorni, era stato annullato con sentenza del Tribunale di Milano.
 

Nel rigettare il gravame, il giudice dell’appello aveva osservato  che l’assenza del dipendente alla visita di controllo di malattia nella fascia di reperibilità del  17 ottobre 2007, costituiva una circostanza pacifica, come, parimenti, risultava  accertata anche la mancanza di idonea giustificazione.
 

Secondo la Corte territoriale tale comportamento, inserendosi in una serie di altre condotte sanzionate disciplinarmente nel biennio precedente, risultava sufficiente ad integrare una giusta causa di licenziamento.
 

Avverso tale pronuncia, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che la Corte territoriale non avrebbe dato corretta applicazione alle prescrizioni legali e negoziali (art.65 del CCNL) laddove, confermando la sentenza di primo grado, non avrebbe considerato che il venir meno di uno o più rilievi disciplinari (in tutto sette) indicati a titolo di recidiva nel provvedimento di contestazione, avrebbe sostanzialmente modificato “l’originario impianto accusatorio della missiva del 15 novembre 2007, fondato sull’ esistenza di quel preciso numero di sanzioni e non di un numero inferiore".
 

Secondo la tesi del ricorrente, inoltre,  il giudice dell’appello avrebbe mancato di motivare il rilievo disciplinare attribuito alla sua assenza alla visita medica di controllo e, per l’altro,  non avrebbe  applicato correttamente l’art.14 del codice disciplinare aziendale.
 

Investita della questione, la Cassazione ha ritenuto il ricorso privo di fondamento.
 

Nella premessa, gli ermellini hanno osservato come, invero, il ricorrente avesse incentrato la sua principale difesa sulla circostanza che, nella lettera di contestazione, l’azienda avrebbe assunto come dato di fatto, "imprescindibilmente e determinante", la circostanza di essersi reso responsabile di "altri ben enumerati" precedenti disciplinari e che tale fatto doveva considerarsi ontologicamente diverso da quello posto a base del licenziamento, giacché il recesso era stato motivato proprio sulla sussistenza dei sette menzionati precedenti, non tutti ancora esistenti.
 

Sul punto, vi sarebbe, in sostanza, l’erronea valutazione, da parte del giudice di appello, il quale non avrebbe considerato che il venir meno dei rilievi disciplinari, per effetto sia dell’accoglimento di specifica domanda giudiziale sia della stessa rilevanza, per considerazioni attinenti al merito, di altri distinti provvedimenti, avrebbe dovuto imporre un esame particolare del provvedimento di contestazione, prima, e di quello sanzionatorio, dopo.
 

Tuttavia, in relazione alla censura appena esposta, la Suprema Corte ha osservato che il ricorso è privo di autosufficienza, atteso che i summenzionati rilievi sono stati riportati in termini meramente riassuntivi e valutativi.
 

In particolare, il ricorrente aveva omesso del tutto di riprodurre il testo della contestazione nella sua integrità, limitandosi a riportare alcuni stralci.
 

Va a tal proposito rammentato come,  in tema di ricorso per Cassazione, occorra indicare specificamente nel ricorso gli atti processuali su cui esso si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, in ossequio al principio di autosufficienza, provvedendo, inoltre, alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione,  al fine di renderne possibile l’esame (1).
 

Inoltre, il ricorso per Cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie (2).
 

Per completezza, deve ancora considerarsi che spetta in via esclusiva al giudice del merito il compito, rispettivamente, di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (3).
 

Orbene, nella gravata sentenza gli ermellini non hanno ravvisato alcun vizio di omessa motivazione e neppure alcuna contraddizione nel ragionamento della Corte del merito.
 

A sostegno della propria decisione,  infatti, la Cassazione ha osservato che l’assenza del lavoratore alla visita di controllo di malattia nella fascia di reperibilità del giorno 17 ottobre 2007, costituiva una circostanza pacifica e che, parimenti, risultava accertata la mancanza di idonea giustificazione.
 

Ciò chiarito, la Suprema Corte ha poi aggiunto come, nella specie, l’assenza alla visita di controllo fosse sufficiente ad integrare una giusta causa di licenziamento, considerato che  tale comportamento -  inserendosi in una serie, ritualmente contestata al dipendente dall’angolazione della recidiva, di altri sei condotte sanzionate disciplinarmente nel biennio, di cui una analoga a quella in esame e altre tre in "area", riguardando la procedura relativa alla gestione dei certificati medici, mentre una settima sanzione era stata annullata dal Tribunale di Milano -  esprimeva una sorta di pervicacia del lavoratore nell’ignorare i suoi doveri, segnatamente quelli inerenti al modo di comportarsi in caso di malattia, tale da ledere in modo irreversibile la fiducia del datore di lavoro.
 

Sotto il medesimo punto di vista, inoltre, a rafforzare il giudizio d’inaffidabilità del dipendente, la Cassazione ha sottolineato che, stante il mancato controllo del 17 ottobre 2007 e la circostanza che il giorno successivo non poteva essere fatta alcuna verifica ambulatoriale da parte dell’INPS per essere ormai avvenuta la guarigione -  si poneva il dubbio sulla stessa effettività dello stato patologico, tanto più che, da un lato, il medico che aveva rilasciato il certificato non era stato in grado di precisare la diagnosi e, dall’altro, che, secondo la stessa ammissione del lavoratore in sede di interrogatorio libero, la malattia era coincisa con il trasloco che lo stesso doveva compiere quel medesimo giorno.
 

Inoltre, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, gli ermellini hanno  osservato come l’art.65 del C.C.N.L. del settore autorizzasse il licenziamento senza preavviso in caso di mancanze relative a doveri pur non espressamente richiamati nel contratto stesso, ma di  entità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, sicché mentre, per un verso, le fattispecie ivi indicate avevano solo portata esemplificativa, come espressamente detto nella medesima disposizione contrattuale, per altro verso, la suddetta recidiva specifica induceva a ritenere la condotta in oggetto appunto di grave entità, costituendo essa un meccanismo di aggravamento di originali contestazioni.
 

Sulla base di tutte le richiamate considerazioni, la Cassazione ha concluso, pertanto, con il rigetto del ricorso.



Valerio Pollastrini

 

  1. - explurimis, Cass., Sentenza n.8569/2013; Cass., Sentenza n.4420/2012;
  2. - cfr. ex plurimis, Cass., Sentenza n.824/2011; Cass., Sentenza n.13783/2006; Cass., Sentenza n.11034/2006; Cass., Sentenza n.4842/2006; Cass., Sentenza n.8718/2005; Cass., Sentenza n.15693/2004; Cass., Sentenza n.2357/2004; Cass., Sentenza n.16063/2003; Cass., Sentenza n.12467/2003; Cass., Sentenza n.3163/2002;
  3. - cfr. ex plurimis, Cass., SU, Sentenze nn.13045/1997 e 5802/1998;

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