Con
ricorso al Tribunale di Pisa, un dipendente delle Poste Italiane Spa aveva
esposto:
-
che dal marzo del 1999, in seguito ad una
riorganizzazione aziendale, l'Area Patrimonio, Approvvigionamento e Logistica
da lui diretta era stata accorpata ad altra Area, alla quale era stato preposto
altro dipendente, trovandosi così in posizione di esubero presso la filiale di
Pisa;
-
che
nel mese di settembre era stato assegnato all'ufficio di Santa Croce per un
training formativo, presso il quale era rimasto sino al pensionamento;
-
che tali modifiche organizzative avevano
comportato il suo demansionamento, oltre a determinare una riduzione della
retribuzione per la perdita di talune indennità.
Per
quanto appena esposto, il lavoratore aveva chiesto, pertanto, di accertare
l'illegittimità della dequalificazione professionale subita, con conseguente condanna
della società al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali,
qualificati ed individuati in relazione alle lesioni, rispettivamente, alla
professionalità, alla carriera, all’immagine, nonché, in relazione al danno
alla salute, al danno morale e al danno esistenziale.
Il
giudice monocratico, in parziale accoglimento del ricorso, aveva quindi
condannato Poste Italiane Spa al risarcimento del danno biologico e morale,
nonché al rimborso di spese mediche, respingendo ogni altro capo di domanda.
Successivamente,
però, la Corte di Appello di Firenze, in accoglimento del gravame principale proposto
della società e rigettando quello incidentale del lavoratore, aveva respinto
integralmente la domanda da questi proposta in primo grado.
In
particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto in fatto che, "dopo la riorganizzazione delle Aree
dell'aprile del 1999", "compiute
le operazioni di passaggio delle consegne ed esaurito il periodo di ferie estive",
le Poste si erano attivate "subito
sia per la formazione/riconversione professionale del dipendente”,
attraverso il training formativo presso l'ufficio di Santa Croce, "sia per il reperimento di un incarico
direttivo, che gli fu offerto addirittura il 30 settembre 1999".
Ciò
premesso, il giudice dell’appello aveva considerato che tale incarico di direzione
dell'Ufficio Postale di Ponsacco, confacente alla posizione del lavoratore, non
venne accettato dal medesimo, perché sede lontana da casa e perché aspirava ad
altra sede.
Dallo
svolgersi della vicenda, dunque, il Collegio aveva tratto il convincimento che dovesse escludersi
non solo un intento vessatorio o discriminatorio da parte di Poste Italiane,
"ma, altresì, una condotta
illegittima di parte datoriale, essendo dimostrato che l'azienda ha sempre
messo in condizione il lavoratore di espletare mansioni adeguate al suo livello
di inquadramento nel rispetto dell’art. 2103 c.c.".
Per
tali ragioni, la Corte territoriale aveva ritenuto infondate tutte le pretese
risarcitone del dipendente.
Avverso
questa sentenza, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando
che Poste Italiane non avrebbe in alcun modo tenuto conto del suo bagaglio
professionale acquisito in tanti anni di servizio ed avrebbe cercato di imporgli un completo
cambiamento del ruolo, cercando di attribuirglene uno che, seppur astrattamente
e formalmente equivalente a quello ricoperto sino a quel momento, non gli
avrebbe consentito in alcun modo di utilizzare l'esperienza e le capacità
professionali sino a quel momento maturate ed utilizzate.
Investita
della questione, la Cassazione non ha ritenuto il ricorso passibile di
accoglimento.
Gli
ermellini hanno chiarito, infatti che, con la doglianza predetta, il ricorrente
aveva richiesto una ricostruzione della vicenda storica che, in fatto, costituisce un’indagine riservata al giudice
di merito e, dunque, preclusa al vaglio di legittimità.
La
Corte di Cassazione, infatti, non ha il potere di riesaminare il merito
dell'intera vicenda processuale, ma solo quello di controllare, sul piano della
coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione
compiuta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le
fonti del proprio convincimento, controllarne l'attendibilità e la concludenza,
nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente
idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così
liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo
i casi tassativamente previsti dalla legge (1).
Valerio
Pollastrini
1)
-
Cass. SS.UU., Sentenza n.5802/1998; Cass.,
Sentenza n.1892/2002; Cass., Sentenza n.15355/2004; Cass., Sentenza n.1014/2006;
Cass., Sentenza n.18119/2008;
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