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domenica 18 gennaio 2015

Illegittimità della dequalificazione professionale - Accertamento

Nella sentenza n.17 del 7 gennaio 2015, la Corte di Cassazione è stata chiamata, per l’ennesima volta, ad accertare l’eventuale sussistenza dell’illegittima dequalificazione professionale supposta da un lavoratore.

Con ricorso al Tribunale di Pisa, un dipendente delle Poste Italiane Spa aveva esposto:

-          che dal marzo del 1999, in seguito ad una riorganizzazione aziendale, l'Area Patrimonio, Approvvigionamento e Logistica da lui diretta era stata accorpata ad altra Area, alla quale era stato preposto altro dipendente, trovandosi così in posizione di esubero presso la filiale di Pisa;

-         che nel mese di settembre era stato assegnato all'ufficio di Santa Croce per un training formativo, presso il quale era rimasto sino al pensionamento;

-          che tali modifiche organizzative avevano comportato il suo demansionamento, oltre a determinare una riduzione della retribuzione per la perdita di talune indennità.

Per quanto appena esposto, il lavoratore aveva chiesto, pertanto, di accertare l'illegittimità della dequalificazione professionale subita, con conseguente condanna della società al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, qualificati ed individuati in relazione alle lesioni, rispettivamente, alla professionalità, alla carriera, all’immagine, nonché, in relazione al danno alla salute, al danno morale e al danno esistenziale.

Il giudice monocratico, in parziale accoglimento del ricorso, aveva quindi condannato Poste Italiane Spa al risarcimento del danno biologico e morale, nonché al rimborso di spese mediche, respingendo ogni altro capo di domanda.

Successivamente, però, la Corte di Appello di Firenze, in accoglimento del gravame principale proposto della società e rigettando quello incidentale del lavoratore, aveva respinto integralmente la domanda da questi proposta in primo grado.

In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto in fatto che, "dopo la riorganizzazione delle Aree dell'aprile del 1999", "compiute le operazioni di passaggio delle consegne ed esaurito il periodo di ferie estive", le Poste si erano attivate "subito sia per la formazione/riconversione professionale del dipendente”, attraverso il training formativo presso l'ufficio di Santa Croce, "sia per il reperimento di un incarico direttivo, che gli fu offerto addirittura il 30 settembre 1999".

Ciò premesso, il giudice dell’appello aveva  considerato che tale incarico di direzione dell'Ufficio Postale di Ponsacco, confacente alla posizione del lavoratore, non venne accettato dal medesimo, perché sede lontana da casa e perché aspirava ad altra sede.

Dallo svolgersi della vicenda, dunque, il Collegio aveva  tratto il convincimento che dovesse escludersi non solo un intento vessatorio o discriminatorio da parte di Poste Italiane, "ma, altresì, una condotta illegittima di parte datoriale, essendo dimostrato che l'azienda ha sempre messo in condizione il lavoratore di espletare mansioni adeguate al suo livello di inquadramento nel rispetto dell’art. 2103 c.c.".

Per tali ragioni, la Corte territoriale aveva ritenuto infondate tutte le pretese risarcitone del dipendente.

Avverso questa sentenza, il lavoratore aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando che Poste Italiane non avrebbe in alcun modo tenuto conto del suo bagaglio professionale acquisito in tanti anni di servizio  ed avrebbe cercato di imporgli un completo cambiamento del ruolo, cercando di attribuirglene uno che, seppur astrattamente e formalmente equivalente a quello ricoperto sino a quel momento, non gli avrebbe consentito in alcun modo di utilizzare l'esperienza e le capacità professionali sino a quel momento maturate ed utilizzate.

Investita della questione, la Cassazione non ha ritenuto il ricorso passibile di accoglimento.

Gli ermellini hanno chiarito, infatti che, con la doglianza predetta, il ricorrente aveva richiesto una ricostruzione della vicenda storica che, in fatto,  costituisce un’indagine riservata al giudice di merito e, dunque, preclusa al vaglio di legittimità.

La Corte di Cassazione, infatti, non ha il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l'attendibilità e la concludenza, nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (1).

Valerio Pollastrini

 
1)      -  Cass. SS.UU., Sentenza n.5802/1998; Cass., Sentenza n.1892/2002; Cass., Sentenza n.15355/2004; Cass., Sentenza n.1014/2006; Cass., Sentenza n.18119/2008;

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